N°52 – 30/12/23 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO.

A TUTTI NOI TANTI AUGURI DI BUON ANNO

01 – Andrea Carugati*: Il Capodanno di Mattarella tra guerre, lavoro e femminicidi. QUIRINALE. Nel discorso di stasera l’esigenza di antidoti per fermare il conflitto mondiale «a pezzi». L’assillo per la pace in Ucraina e Medio Oriente. Le sfide del clima, delle diseguaglianze e dell’intelligenza artificiale. La fiducia nell’Italia.
02 – Andrea Fabozzi*: L’anno che verrà, l’olio e l’ingranaggio – SFIDARE LA DESTRA. Forse perché distratti da una guerra da 750mila morti a dieci ore di automobile dall’Italia o dalla carneficina di Gaza che in meno di tre mesi ha fatto più vittime di ogni altra guerra; forse perché preoccupati dai segni del cambiamento climatico; forse perché storditi dalla destra al governo, forse per queste o per altre disgrazie che hanno deviato la nostra attenzione non ci siamo accorti che il 2023 è stato un anno di record positivi
03 – Ascanio Bernardeschi*: Con il Mes comanda il capitale. Il Mes è un tassello del disegno europeo di affermazione del dominio del capitale sulla politica. Il governo di destra abbandona le promesse sovraniste e cerca di negoziare qualche briciola
04 – Christian Luca Di Benedetto*: Allerta per l’epidemia di Dengue: scatta l’emergenza sanitaria. Dati allarmanti: Il 93% dei contagi senza viaggi in zone tropicali.
05 – Christian Luca Di Benedetto*: Covid-19: nuova ondata natalizia in Italia, casi in aumento. L’Italia affronta un nuovo picco di infezioni da Covid-19 durante le festività, con una significativa crescita dei casi.
06 – Sonia Bonvini*: Treni, stazione di Napoli centrale in top 10 europea. La stazione ferroviaria di Napoli centrale è tra le migliori dieci d’Europa, nonché la migliore d’Italia.
07 – Gianni Beretta* Miss Universo in esilio: Il regime orteguista si è felicitato per l’elezione della 23enne Sheynnis Palacios. Poi si è accorto che l’aveva schedata come «oppositrice». In festa i giovani che guidarono la ribellione del 2018
08 – Andrea Cegna*: È in marcia la carovana più grande dell’anno. USA/MESSICO. Migranti diretti negli Stati Uniti. 8mila persone partite a piedi dal confine tra Messico e Guatemala. Così è fallito il piano Biden.

 

01 – Andrea Carugati*: IL CAPODANNO DI MATTARELLA TRA GUERRE, LAVORO E FEMMINICIDI. QUIRINALE. NEL DISCORSO DI STASERA L’ESIGENZA DI ANTIDOTI PER FERMARE IL CONFLITTO MONDIALE «A PEZZI». L’ASSILLO PER LA PACE IN UCRAINA E MEDIO ORIENTE. LE SFIDE DEL CLIMA, DELLE DISEGUAGLIANZE E DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE. LA FIDUCIA NELL’ITALIA.

Sarà un discorso realista, che non nasconderà le tante ombre che il disordine mondiale proietta anche sull’Italia. Ma Sergio Mattarella, stasera (ore 20.30) al suo nono discorso di fine anno dal Quirinale, ribadirà anche un concetto che ha più volte espresso in questi anni: «Ho fiducia nell’Italia. Che ha le risorse per affrontare il tempo nuovo».

L’IDEA DI FONDO È CHE l’Italia abbia già dimostrato, durante la recente pandemia, di saper affrontare «momenti difficili» grazie al senso di unità e alle qualità del nostro popolo. Nel 2024, in particolare, il nostro paese assumerà la presidenza del G7, e questa sarà «una grande opportunità per favorire soluzioni più avanzate su cruciali questioni globali», come le migrazioni (tema su cui il presidente si è più volte espresso auspicando flussi regolari e la fine di ogni sentimento di intolleranza), il cambiamento climatico e la regolazione dell’intelligenza artificiale, una grande innovazione tecnologica che non può e non deve restare prerogativa di pochi gruppi multinazionali ma essere appunto guidata dalla politica, degli stati e degli organismi sovranazionali, per non costituire un pericolo per la vita delle democrazie.
NEI SUOI ULTIMI DISCORSI, Mattarella ha più volte sottolineato i rischi derivanti da quella che già anni fa Papa Francesco aveva definito «guerra mondiale a pezzi», con un vecchio ordine mondiale ormai sbriciolato senza che «se ne veda all’orizzonte uno nuovo». Di qui l’esigenza di irrobustire gli organismi come l’Onu, rendendoli più adatti ai tempi presenti con una «riforma strutturale», ma senza rinunciare a «un sistema multilaterale, capace di sviluppare ulteriormente forme di collaborazione e di integrazione».
Collaborazione come unica strada per affrontare un «tornante della storia» che vede «disorientamenti e sconvolgimenti ben superiori a quelli che si manifestarono all’inizio dell’Ottocento con la prima rivoluzione industriale». L’obiettivo prioritario è contrastare quel che può insidiare le nostre libertà e il funzionamento dei sistemi democratici. Compreso un sentimento di paura e rassegnazione che ha già allontanato milioni di cittadini dall’esercizio della partecipazione democratica.
AL CENTRO DEL RAGIONAMENTO dell’inquilino del Quirinale c’è la ricerca della pace, a partire dai due focolai più allarmanti che ci riguardano da vicino, l’Ucraina e il Medio Oriente, dove si assiste a «un numero inaccettabile di vittime civili». Una pace «giusta» quella invocata da Mattarella, che non significa mai resa alle ragioni del più forte o alla logica delle armi. Una pace cui l’Europa e l’Italia possono e devono contribuire più attivamente: e per farlo l’Ue dovrà «mettere mano a quel complesso di riforme istituzionali» indispensabili per poter avere una voce chiara nel consesso internazionale.
IL PRESIDENTE, A QUANTO si apprende, parlerà anche di altri temi a lui cari, dal lavoro, in particolare per i più giovani, alla violenza degli uomini contro le donne, che nel 2023 si è imposta come tema chiave nel dibattito pubblico. E la Costituzione, vista come un programma ancora da attuare, anche in relazione al costante aumento delle disuguaglianze.
Il 20 dicembre il presidente ha ricordato ancora una volta i divari sociali che si allargano e le «gigantesche ricchezze appannaggio di pochi» che stridono a fronte del disagio di tanti, «con una distanza mai prima registrata né in Italia né altrove». Senza dimenticare i cambiamenti climatici i cui effetti, ha detto Mattarella, «abbiamo potuto toccare con mano» anche quest’ anno con le alluvioni in Emilia- Romagna e Toscana.
DIFFICILE ASPETTARSI accenni diretti ai tanti temi del dibattito politico. Il presidente non citerà i dossier più caldi, dalla riforme costituzionali che prevedono l’elezione diretta del premier a quella della giustizia. E non lancerà neppure moniti a Camere e governo su temi da lui già affrontati, come l’abuso dei decreti e dei voti di fiducia. Quanto al rapporto con il governo, la linea è quella della «correttezza» e della «leale collaborazione», che non deve neppure essere sottolineata. Ci sarà un riferimento alla necessità di collaborazione tra maggioranza e opposizione, nell’interesse del paese, con la speranza che il confronto in vista delle europee di giugno non degeneri in una sterile contrapposizione ideologica. Ma sempre restando a debita distanza da un confronto in cui il Quirinale intende ribadire il suo ruolo di arbitro super partes,
*(Fonte: Il Manifesto. Andrea Carugati, Giornalista professionista, fotografo, autore di libri, produttore cinema e tv. Ho lavorato per ANSA per oltre vent’anni in qualità prima di redattore)

 

02 – Andrea Fabozzi*: L’ANNO CHE VERRÀ, L’OLIO E L’INGRANAGGIO – SFIDARE LA DESTRA. FORSE PERCHÉ DISTRATTI DA UNA GUERRA DA 750MILA MORTI A DIECI ORE DI AUTOMOBILE DALL’ITALIA O DALLA CARNEFICINA DI GAZA CHE IN MENO DI TRE MESI HA FATTO PIÙ VITTIME DI OGNI ALTRA GUERRA; FORSE PERCHÉ PREOCCUPATI DAI SEGNI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO; FORSE PERCHÉ STORDITI DALLA DESTRA AL GOVERNO, FORSE PER QUESTE O PER ALTRE DISGRAZIE CHE HANNO DEVIATO LA NOSTRA ATTENZIONE NON CI SIAMO ACCORTI CHE IL 2023 È STATO UN ANNO DI RECORD POSITIVI
Forse perché distratti da una guerra da 750mila morti a dieci ore di automobile dall’Italia o dalla carneficina di Gaza che in meno di tre mesi – tanto è passato dal brutale assalto di Hamas che ha scatenato Israele – ha fatto più vittime di ogni altra guerra in quei territori già tanto insanguinati; forse perché preoccupati dai segni del cambiamento climatico, il 2023 è stato per il pianeta l’anno più caldo di sempre e c’è già almeno uno stato al mondo che annega ufficialmente, tanto che ai suoi abitanti viene riconosciuto il raro diritto di rifugiarsi altrove (è una di quelle piccole isole che la Cop28 ha lasciato fuori dalla porta quando ha firmato il suo inutile compromesso finale); forse perché storditi dalla destra al governo qui da noi, che taglia diritti e redditi ma chiede alle donne tanti nuovi bambini, probabilmente poveri, sicuramente bianchi perché se non lo sono che affoghino pure in mare, forse per queste o per altre disgrazie che hanno deviato la nostra attenzione non ci siamo accorti che il 2023 è stato un anno di record positivi.
Fortunatamente ce lo ha ricordato ieri il Sole 24 Ore, prova che i giornali servono ancora a qualcosa: l’anno che si chiude è stato quello «record per Borse, bond e oro». Lo è stato un po’ ovunque nel mondo, principalmente per le scommesse su inflazione e tassi (in discesa), ma per qualcuno è andata particolarmente bene.
Quel qualcuno siamo noi, nel senso dell’Italia: gli indici azionari della Borsa di Milano sono saliti in un anno di oltre 28 punti, più di Wall Street e di qualsiasi altra Borsa europea (8 punti più di Francoforte, 12 più di Parigi), sfiorando di uno zero virgola Tokyo. La maggiore impennata l’hanno fatta segnare le quotazioni delle banche italiane, «performance stellare» la definisce giustamente il quotidiano di Confindustria: +48% quando la media europea è meno della metà (+20%) e quella americana la metà della metà (+10%).
Se vi state chiedendo perché tanta grazia, la ragione è semplice: le banche italiane nel 2023 hanno fatto una valanga di utili e anche in questo caso c’entrano gli alti tassi di interesse che per chi ha un mutuo o ha bisogno di un prestito sono una condanna ma per chi ha il contante sono una benedizione.
Le banche italiane sono particolarmente fortunate (e la Borsa se n’è accorta) perché il nostro governo ha fatto solo finta di interessarsi ai loro extraprofitti e l’imposta, che era già una carezza, alla fine non l’hanno pagata neanche le banche controllate dal governo che avrebbe dovuto tassarle.
Pochi si sono accorti di tutta questa ricchezza che evidentemente pervade il nostro paese. Non solo perché la teoria economica dello «sgocciolamento» si è dimostrata una stupidaggine almeno quarant’anni fa, essendo provato il contrario e cioè che i ricchi riescono più facilmente a spremere fino all’ultima goccia i poveri, ma anche perché guardandosi attorno è più facile vedere crisi aziendali, servizi sociali tagliati, sfratti, beni un tempo di prima necessità diventati proibitivi.
Si notano le file alla Caritas, non quelle dai gioiellieri, che ricevono su appuntamento, eppure quello dei preziosi è uno dei settori che va meglio per la domanda interna, insieme a tutto il mercato del lusso. La ricchezza va pur messa al riparo.
Nell’economia capitalistica le crisi producono da sempre aumento delle diseguaglianze, pandemia e guerra non hanno fatto eccezione. L’Italia del boom della Borsa è all’avanguardia nel creare nuove sperequazioni e allargare quelle esistenti. I
l governo che attualmente l’amministra con il piglio di chi vuol durare un ventennio (ma vedremo) è l’olio nell’ingranaggio. Anti sistema nelle memorie e talvolta ancora nelle movenze e nei tic, la destra al potere è perfettamente funzionale al sistema che arricchisce i ricchi e impoverisce i poveri.
Ideal tipo del populismo delle classi dominanti, la destra di Giorgia Meloni che resiste al 30% nei sondaggi è quella che grida contro la perfidia delle tecnocrazie europee e poi non può che accordarsi ai loro rigori, che agita la retorica degli straccioni contro i potenti e poi agisce in modo da moltiplicare i primi e far felici i secondi, tagliando e cancellando i redditi bassi e diminuendo le tasse ai redditi alti.
È la destra che si impalca a Nazione e poi restringe l’area dell’intervento pubblico e teorizza lo Stato minimo: che gli ultimi si arrangino a trovare un sussidio, una scuola, un medico.
Tutto questo non può sorprenderci, sappiamo da tempo che in politica la reazione va a braccetto con la conservazione dei privilegi, che non c’è separazione logica tra l’attacco ai diritti civili e quello ai diritti sociali, che le pulsioni neo fasciste non hanno mai disturbato il capitale che si affretta anzi a giustificarle. E se non lo sapessimo, l’ultimo esempio di liberismo illiberale lo vediamo in Argentina mentre il prossimo rischiamo di rivederlo negli Stati uniti.
Tutto questo però ci dà la dimensione della sfida che ci attende, che non è solo quella di contrastare la destra al governo, opporsi alle sue scelte politiche, cercare di mandarla in crisi il primo possibile. È soprattutto quella di scardinare il modello economico e sociale che le sta dietro, di cui si nutre e in nome e per conto del quale agisce.
Non è una sfida tattica, non si può vincere sulla superficie della propaganda elettorale, ed è un lavoro che attende tutta la sinistra proprio nel momento in cui è più debole e disarticolata. La sinistra che, confusamente magari, ha individuato nel sistema capitalista la causa delle disuguaglianze e della devastazione ambientale e anche la sinistra che questo non sa fare, dichiarandosi tale senza aver fatto ancora niente per dimostrarlo.
Ed è un compito che attende anche questo giornale, con i suoi piccoli mezzi e la sua grande volontà, accresciuta dall’attenzione e dall’affetto che ci avete dimostrato negli ultimi mesi. Purtroppo per il 2024 un altro mondo non è affatto probabile, ma è sempre più necessario.
Buon anno, dunque.
*(Andrea Fabozzi. è stato nominato nuovo direttore del quotidiano il Manifesto. Prende il posto di Norma Rangeri, …)

 

03 – Ascanio Bernardeschi*: CON IL MES COMANDA IL CAPITALE. IL MES È UN TASSELLO DEL DISEGNO EUROPEO DI AFFERMAZIONE DEL DOMINIO DEL CAPITALE SULLA POLITICA. IL GOVERNO DI DESTRA ABBANDONA LE PROMESSE SOVRANISTE E CERCA DI NEGOZIARE QUALCHE BRICIOLA. L’OPPOSIZIONE DI “SINISTRA” EVITA DI OCCUPARE LO SPAZIO DI UNA CRITICA ALLE DEVASTANTI POLITICHE SOCIALI DELL’UNIONE EUROPEA PERCHÉ È PIÙ REALISTA DEL RE. SPETTA AI COMUNISTI INDICARE UNA DIVERSA STRADA.

L’economista Emiliano Brancaccio ebbe a dichiarare che con il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) siamo di fronte a un disegno di rilancio del dominio del capitale sulla politica. Io più che di rilancio parlerei di accelerazione, perché dall’istituzione dell’Unione Europea (Ue) in poi, fin dal contenuto dei trattati istitutivi, il leitmotiv è stato proprio la sottomissione della politica ai voleri del capitale, fino a stravolgere la stessa democrazia liberale, figuriamoci il compromesso sociale contenuto nella nostra Costituzione.

PER MOTIVARE QUESTA AFFERMAZIONE VEDIAMO DI CHE SI TRATTA.
Il Mes, detto anche fondo salva-Stati, non è solo un meccanismo ma un vero e proprio soggetto istituito dall’Ue in sostituzione del Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (Fesf) che venne varato nel 2010 per fare fronte ai dissesti finanziari conseguenti alla grande crisi mondiale del capitalismo del 2007-8 e che oggi è rimasto in piedi solo per portare a termine le operazioni già avviate nei confronti di alcuni Stati (Irlanda, Portogallo, Cipro e Grecia). Quindi non è l’Ue, per quanto anch’essa fondata su basi ademocratiche, a gestire il meccanismo ma una istituzione apposita che si regge su basi ancor meno rappresentative.
Ha per scopo dichiarato quello di garantire la stabilità finanziaria della zona euro – quindi possono accedervi solo i paesi che hanno adottato l’euro – e ha sede in Lussemburgo. È gestito dal Consiglio dei governatori, formato dai ministri finanziari dell’area euro, da un Consiglio di amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e da un direttore generale. Vi partecipano come osservatori senza diritto di voto il commissario Ue agli affari economico-monetari e il presidente della Banca Centrale Europea (Bce).
Esso opera attraverso “aiuti” ai paesi in difficoltà che consistono in prestiti (sottoscrizione di titoli del debito degli Stati) e mai in trasferimenti a fondo perduto.

IL CAPITALE COMPLESSIVO È DI 702 MILIARDI, DI CUI OLTRE 80 GIÀ CONFERITI DEGLI STATI MEMBRI.
Gli 80 miliardi di partecipazione sono stati ripartiti fra gli Stati in proporzione alle rispettive quote di partecipazione alla Bce le quali tengono di conto sia delle rispettive dimensioni demografiche che del Prodotto interno Lordo (Pil). Anche il diritto di voto è in proporzione alle rispettive partecipazioni. L’Italia, per esempio, ha sottoscritto il 125,3 miliardi e ne ha già versati oltre 14 (17,8% del capitale complessivamente versato) e quindi il suo voto vale il 17,8%.
Il Mes di norma opera all’unanimità ma il requisito richiesto nei casi di minaccia per la stabilità finanziaria ed economica dell’area dell’euro, e a seguito di richiesta di intervento urgente da parte della Commissione Europea e della Bce, si limita a una maggioranza qualificata dell’85 per cento del capitale. Germania, Francia e Italia, che detengono ciascuna partecipazioni superiori al 15% (27%, la Germania, 20,3 la Francia e 17,8 l’Italia) hanno nella sostanza il diritto di veto.
Nel caso vengano richiamati (“con breve preavviso”!) ulteriori versamenti del capitale sottoscritto lo Stato inadempiente perde il diritto di voto finché non salda il debito.
Il Mes può emettere obbligazioni da collocare sul mercato. Poiché tali titoli saranno assistiti dalla garanzia dei paesi dell’area euro, ciascuno in proporzione alle proprie quote di partecipazione al capitale, si presuppone che saranno ben considerati dai “mercati” e quindi collocabili a tasso di interesse contenuto, consentendo così di effettuare prestiti agli Stati in difficoltà a condizioni migliori di quelle che essi stessi avrebbero potuto spuntare sul mercato.

TUTTO BENE QUINDI? VEDIAMO L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA.
Il Mes è un organismo di diritto pubblico ma gestito con criteri privatistici, con il diritto di voto proporzionato al capitale, come nelle Società per Azioni, e con la selezione dei prestiti in base alla solvibilità del debitore. Lo conferma l’ex governatore Ignazio Visco il quale ha affermato: “come per qualsiasi prestatore, non avrebbe senso erogare credito a chi ha un debito che non è considerato sostenibile, visto che si tratterebbe di un trasferimento a fondo perduto”. Pertanto i prestiti del Mes “erano e restano doverosamente rigorosi”. È stato messo in piedi quindi un organismo di carattere privatistico ma finanziato con soldi pubblici.
Mark Twain ebbe a dire che le banche sono come coloro che ti prestano l’ombrello solo quando non piove e lo rivogliono indietro quando piove. In questo il Mes non si distingue dalle banche, è una super banca, che finirà di rifarsi sul tracollo dei debitori, cioè dei Paesi più deboli che accedono ai suoi finanziamenti. Infatti i paesi “beneficiari” vengono distinti in buoni e cattivi e il relativo trattamento dipende dalla rispettiva collocazione.
I buoni sono gli Stati che chiedono il sostegno per shock temporanei, ma hanno i fondamentali in regola e in particolare un debito pubblico inferiore al 60% del Pil e il rispetto del patto di stabilità. A loro viene fornita una “assistenza finanziaria precauzionale”, e l’unica condizione è che il beneficiario presenti una generica “lettera di intenti”. È presumibile che difficilmente tali Stati abbiano necessità di ricorrere agli aiuti. Probabilmente non pioverà.
Ai cattivi, cioè a quelli che devono affrontare la pioggia, i quali è molto più probabile che abbiano avere necessità di ricorrervi – l’Italia rientra fra questi – il prestito viene concesso “a condizioni rafforzate” dettate da un memorandum (art. 13) da stilare con i criteri stabiliti dal Mes e della Commissione Europea che preveda un programma di correzioni macroeconomiche e il “rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite” (art. 12). Il memorandum d’intesa viene siglato senza l’obbligo di ratifica da parte dello Stato membro. La politica viene quindi espropriata dal capitale. In buona sostanza lo Stato che avesse necessità di ricorrervi sarebbe commissariato e gli verrebbero imposte scelte di politica economica, cioè le consuete direttive e “riforme strutturali”, leggasi taglio alla spesa pubblica, in particolare alle pensioni, privatizzazioni, flessibilizzazione delle leggi sul lavoro, allo scopo dichiarato di rendere nuovamente sostenibili i conti pubblici e a quello non dichiarato di sostenere i profitti e la “competitività” attraverso l’abbattimento del costo del lavoro e in generale delle condizioni di vita dei lavoratori. Era prevista originariamente anche la ricapitalizzazione delle banche ritenute poco solvibili (cioè il sistema bancario dei paesi deboli poteva essere acquisito dalle banche dei paesi forti).
Visto l’esiguo potere contrattuale dello Stato che ricorre all’assistenza, le condizioni del memorandum sono decise dalla Troika, anzi in questo caso da una tetrarchia, perché alla Troika (Commissione europea, Bce e Fondo Monetario Internazionale) si aggiungerebbe il Mes. Attualmente i Paesi che hanno un rapporto debito/Pil superiore al 60% sono: Grecia, Italia, Portogallo, Belgio, Cipro, Francia, Spagna, Austria, Slovenia e Irlanda.
Nonostante il carattere sostanzialmente privatistico, la veste formale pubblica del Mes ha consentito una sorta di immunità sia del suo patrimonio, ovunque si trovi e chiunque lo detenga, che di tutti i suoi membri, non soggetti a procedimenti legali penali, civili e amministrativi in relazione al loro comportamento nell’esercizio delle proprie funzioni, sia infine dei loro atti e documenti ufficiali. Una banca sostanzialmente privata ma che non risponde alla legge è il massimo della creatività giuridica dell’Ue. Come ha sostenuto il Prof. Paolo Maddalena, giudice costituzionale emerito, “eliminato questo cardine (della punibilità, nda), i poteri forti faranno in modo che essi siano al di sopra del Diritto, siano effettivamente ‘Sovrani’”, distruggendo la sovranità degli Stati.
Ciascuno Stato mantiene invece l’obbligo “irrevocabile e incondizionato” (art. 8, c. 4) di contribuire al capitale autorizzato, anche se, essendo già in difficoltà, diviene beneficiario o riceve assistenza finanziaria dal Mes. In caso di mancato pagamento non potrà esercitare i propri diritti di voto fino a quando non avrà adempiuto al saldo.
In sostanza per avere diritto a un prestito a condizioni leggermente migliori di quelle di mercato occorre: sottoscrivere il capitale del Mes, versare le quote quando richiamate, offrire le garanzie e accettare severissimi steccati alla politica economica.
Per questi motivi l’adesione dell’Italia al Mes è stato un atto di autolesionismo. I fautori di questa scelta si difesero sostenendo che aderire non avrebbe significato ricorrervi ma deve essere considerato che aderire senza usufruirne è doppiamente autolesionistico perché restano a carico gli oneri pur non essendoci l’intenzione di accedere ai finanziamenti.
Non solo. Il capitale sottoscritto e versato peggiora il bilancio e quello non versato figura come un debito verso il Mes e quindi aumenta la posizione debitoria del Paese che di conseguenza viene considerata dai creditori più rischiosa. Pertanto il collocamento dei titoli di Stato nel mercato diventerà più oneroso anche senza avere chiesto l’aiuto. Se invece lo si chiede abbiamo di fronte lo scenario greco. Come ricorderà il lettore, la Grecia, nonostante il No del referendum popolare, si fece prestare 326 miliardi al costo di riforme socio-economiche (aumento dell’Iva, riforma delle pensioni, nuove leggi sul lavoro e incremento delle imposte indirette) che cacciarono quel paese in una profonda povertà.
Ormai è chiaro che l’obiettivo dell’attuale sistema economico predatorio neoliberista e dell’imperialismo europeo, vassallo degli Usa è l’annichilimento della forza della classe lavoratrice, lo smantellamento del “patrimonio pubblico” e la “privatizzazione” di tutti gli aspetti della vita, la loro sussunzione sotto il dominio del capitale. Da qui la stessa messa in soffitta del compromesso keynesiano e del compromesso della nostra Costituzione che in parte vi si ispira. Tutto deve essere subordinato alle esigenze dell’accumulazione capitalistica. Le regole europee tutelano la concorrenza, proibiscono l’intervento dello Stato nell’economia, salvo quando si tratta di avvantaggiare il profitto, non pongono paletti alla speculazione, lasciando i capitali liberi di vagare incontrollati fra le nazioni. Tutto questo nonostante le crisi ricorrenti e sempre più gravi mostrino tutti i limiti del capitale e il suo carattere distruttivo.
Il Mes in definitiva non è che un ulteriore tassello del disegno reazionario dell’Unione Europea la quale mette in discussione la stessa democrazia e non a caso vede l’affermazione della peggiore destra in molti Stati membri.
Evitiamo di addentrarci nelle procedure previste per attivare i prestiti, che prevedono l’intervento della Commissione Europea, per passare al dibattito e alle polemiche di questi giorni.
Come ho scritto sopra l’Italia è già dentro il Mes. Tuttavia è l’unico paese che non ha ratificato la sua recente riforma che prevede soprattutto una sorta di rete di protezione delle banche. Il sistema bancario era già dotato di un Fondo di Risoluzione per le crisi degli istituti di credito finanziato dalle banche stesse. Il Mes riformato vi aggiunge proprie garanzie per ovviare a eventuali insufficienze del primo. Un’altra clausola della riforma prevede che per accedere al finanziamento occorre che lo Stato destinatario ristrutturi preventivamente il debito pubblico (una sorta di concordato preventivo non pattuito con i creditori, il che può avere conseguenze gravi per il sistema delle imprese e per i risparmiatori. Quindi la novità essenziale si sostanzia in un paracadute per quelle banche che rischiano di precipitare, e che vedranno invece salire il valore delle loro azioni, e in più pesanti imposizioni ai paesi che necessitano di aiuto. Necessità che per lo più è una conseguenza delle regole di Maastricht le quali hanno amplificato la forbice delle disuguaglianze fra nazioni e impedito loro un’autonoma politica monetaria e fiscale.
In Italia la Camera e il Senato, con una risoluzione del giugno 2019, invitarono il governo gialloverde (Conte 1) a non approvare modifiche che penalizzino gli Stati membri più deboli e di sospendere ogni decisione fino al pronunciamento in merito del Parlamento. Fu una decisione opportuna perché anche questa revisione si inserisce nel processo di smantellamento dei poteri dello Stato in ambito economico avviato con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht. Fu l’ex Governatore della Banca d’Italia Guido Carli ad affermare in un colloquio riservato che i nostri politici non avevano compreso che, sottoscrivendo quel patto, accettavano la trasformazione profonda della natura dello Stato il quale si sarebbe ridotto ai minimi termini, cosa che all’ex Governatore della Banca d’Italia non dispiaceva affatto.
Occorre considerare anche il contesto in cui si inserisce questo meccanismo. La nostra economia si sta riconvertendo in economia di guerra. Nonostante la lezione da trarre dalla pandemia, la spesa militare ha superato quella per la sanità. Gli aiuti all’Ucraina, da cui si stanno defilando gli Usa ma che il nostro Governo pare voler continuare, stanno incidendo significativamente sul nostro bilancio. Nel calcolo dei parametri previsti dalle regole europee sembra che non verranno conteggiate le spese per sostenere questa guerra ma, al di là dei trucchi contabili, il debito effettivo salirà. Anche gli assurdi rialzi dei tassi decisi dalla Bce contribuiranno a rendere meno sostenibile il debito. La nostra solvibilità ne patirà le conseguenze e i mercati potranno speculare su questa situazione il cui peggioramento potrebbe divenire un buon pretesto per accedere al Mes. In tal caso, per sostenere la guerra, ci consegneremo al grande capitale finanziario e perderemo ogni capacità di politica fiscale autonoma.
Giorgia Meloni ha affermato che sul Mes “non ha cambiato idea” e che intende affrontare il tema nel quadro più ampio dell’esame delle “regole della governance europea”. Il Mes è quindi per lei “una micro-questione nel tema complessivo che stiamo trattando”. In sostanza pare che voglia attingersi a ratificare la riforma per ottenere la contropartita di qualche cambiamento delle regole europee. Avendo mietuto consensi sulla base di una posizione sovranista, si trova ora a mendicare briciole, dato che i fili delle decisioni politiche fondamentali non risiedono a Roma.
Le banche europee stanno conseguendo profitti enormi. Il nostro governo aveva promesso di tassarli ma poi se n’è guardato bene. Il Mes riformato servirà invece a far fare un nuovo balzo alle quotazioni azionarie di queste banche, messe al sicuro dalle garanzie pubbliche. Tuttavia in questi giorni il governo cela questa evidenza e storna l’attenzione sulla riforma del “Patto di stabilità”, questione di grande rilievo ma che non può essere affrontata con dei do ut des.
Ma che dire della sinistra di regime e del suo assoluto silenzio? Essa ha fatto molto clamore, con azioni plateali, sulla questione del reddito di cittadinanza, elevando barricate a difesa di una proposta per la verità del tutto insufficiente, ma manca di una qualsiasi visione critica delle politiche europee. La sua insensata fedeltà all’Ue e alla Nato le fa avere le traveggole e le critiche al governo riguardano tutt’al più la sua indecisione. Si accusa la destra non perché si oppone troppo blandamente (e ipocritamente) alle politiche europee, ma perché non è abbastanza europeista. Ancora una volta lascia alle destre lo spazio della critica alle politiche economiche e sociali dell’Ue.
Se questa è la sinistra (?) di governo, i comunisti debbono avere chiara la natura di questa Europa e i danni provocati alla classe lavoratrice e al Paese dal trattato di Maastricht in poi. Dovranno fare uno sforzo per far conoscere ai lavoratori, ai disoccupati, ai pensionati, agli studenti, ai ricercatori, a chi ha bisogno di cure pubbliche il nesso esistente fra le guerre in atto, le devastazioni sociali e le politiche dell’Ue
* Della redazione e del Centro Studi “Domenico Losurdo”
*(fonte: Sinistrainrete. Ascanio Bernardeschi, pubblicista, interessato a politica e scienze sociali.)

 

04 – Christian Luca Di Benedetto*: ALLERTA PER L’EPIDEMIA DI DENGUE: SCATTA L’EMERGENZA SANITARIA. DATI ALLARMANTI: IL 93% DEI CONTAGI SENZA VIAGGI IN ZONE TROPICALI. IMPATTO SENZA PRECEDENTI DEL VIRUS IN ARGENTINA SOTTO CONTROLLO LA RAPIDA DIFFUSIONE DEL VIRUS: MISURE URGENTI PER PREVENIRE ULTERIORI CONTAGI DALL’EPIDEMIA DI DENGUE.

L’Argentina è al centro di una preoccupante epidemia di Dengue, con 135.676 casi confermati e 68 vittime nel solo anno 2023. Questa situazione ha spinto il Ministero della Salute a dichiarare l’emergenza sanitaria. Questa decisione è stata presa per “rinforzare le misure di protezione ed evitare la diffusione del virus“, segnando un momento critico nella gestione della salute pubblica nel paese sudamericano. Il dato più allarmante rivelato dalle autorità sanitarie è che il 93% dei contagi è avvenuto all’interno del paese, tra persone che non hanno viaggiato in regioni tropicali dove il virus è endemico. Questo evidenzia una trasmissione locale significativa del virus, una dinamica che solleva serie preoccupazioni sulla sua rapida diffusione.
La Dengue è una malattia virale trasmessa dalle zanzare Aedes aegypti. I sintomi, tra cui febbre, eruzioni cutanee e dolori muscolari e articolari, possono variare da lievi a estremamente gravi. Nei casi più critici, la malattia può causare emorragie interne e risultare fatale.

IMPATTO SENZA PRECEDENTI DEL VIRUS IN ARGENTINA
L’Argentina sta affrontando un’epidemia senza precedenti di Dengue. Per la prima volta, sono state registrate infezioni durante tutto l’anno, senza interruzioni durante i mesi più freddi, un cambiamento preoccupante che suggerisce un adattamento del virus e delle zanzare vettori alle condizioni locali. Questo fenomeno mette in luce la necessità di una risposta sanitaria robusta e di strategie di prevenzione efficaci per contenere l’espansione del virus.
In risposta a questa emergenza, il Ministero della Salute ha implementato una serie di misure urgenti. Tra queste, campagne di sensibilizzazione sulla prevenzione del contagio, l’eliminazione dei focolai di zanzare e il rafforzamento dei sistemi di sorveglianza epidemiologica. La popolazione è invitata a adottare comportamenti precauzionali, come l’uso di repellenti e la protezione degli ambienti domestici.
L’Argentina si trova di fronte a una sfida sanitaria di proporzioni notevoli. La lotta contro la Dengue richiede un impegno collettivo e la responsabilizzazione di ogni cittadino. Ognuno può contribuire alla prevenzione, adottando misure di autoprotezione e collaborando con le autorità sanitarie. In questo momento critico, la sinergia tra le azioni governative e la responsabilità individuale diventa fondamentale per superare l’epidemia e proteggere la salute pubblica
*(Fonte Wired. Christian Luca Di Benedetto, giornalista)

05 – Christian Luca Di Benedetto*: COVID-19: NUOVA ONDATA NATALIZIA IN ITALIA, CASI IN AUMENTO. L’ITALIA AFFRONTA UN NUOVO PICCO DI INFEZIONI DA COVID-19 DURANTE LE FESTIVITÀ, CON UNA SIGNIFICATIVA CRESCITA DEI CASI.
In Italia, l’ultima settimana ha segnato un’impennata nel numero di infezioni da Covid-19, superando i 60.000 casi. Questo rappresenta un aumento di quasi il 10% rispetto alla settimana precedente, avvicinando il paese alla soglia di un’epidemia con un Rt che si avvicina all’1, passando da 0,80 a 0,96. Secondo l’ultimo monitoraggio del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, nonostante l’aumento dei casi, la situazione dei ricoveri rimane stabile, con il tasso di occupazione dei posti letto in area medica e in terapia intensiva che mostra leggere variazioni.
FASCIA DI ETÀ PIÙ COLPITA E VARIANTI DEL VIRUS
Il segmento della popolazione più colpito è quello degli ultranovantenni, con un tasso di incidenza settimanale elevato. Questa fascia di età registra anche il maggior numero di ricoveri e la mortalità più alta. Riguardo alle varianti del virus, la JN.1 è in netta crescita, diventando la variante dominante e superando EG.5. Nonostante un aumento diffuso dei casi in quasi tutte le regioni italiane, si nota una forte variabilità geografica nell’incidenza, con Abruzzo, Veneto e Umbria che registrano i numeri più alti, e Sicilia, Sardegna e Basilicata i più bassi.
IMPATTO SULLE FARMACIE E VACCINAZIONI
L’ondata di Covid-19 ha avuto ripercussioni anche sulle farmacie italiane, con un incremento del 20% nelle richieste di tamponi. Secondo Marco Cossolo, presidente di Federfarma, c’è stata una particolare domanda per i test fai-da-te, e un focus sull’influenza stagionale. Tuttavia, le vaccinazioni contro il Covid-19 non hanno raggiunto i livelli sperati, rimanendo ben al di sotto dei numeri registrati nel 2021 e 2022. Nonostante alcune regioni abbiano avuto performance migliori, il quadro generale mostra una tendenza non ottimista.
La situazione in Italia riguardo il Covid-19, sebbene non critica in termini di ricoveri, mostra segnali di preoccupazione con un’incidenza crescente di casi e una pressione rinnovata sul sistema sanitario e farmaceutico. Le autorità sanitarie continuano a monitorare l’evoluzione della pandemia, sottolineando l’importanza delle misure preventive, compresa la vaccinazione, per fronteggiare questa nuova ondata.
*(Fonte: Wired. Christian Luca Di Benedetto, Copywriter, Redattore Web, Organizzatore, IT Technician)


06 – Sonia Bonvini*: TRENI, STAZIONE DI NAPOLI CENTRALE IN TOP 10 EUROPEA. LA STAZIONE FERROVIARIA DI NAPOLI CENTRALE È TRA LE MIGLIORI DIECI D’EUROPA, NONCHÉ LA MIGLIORE D’ITALIA.

La Stazione centrale di Napoli è l’unica in Italia ad essere entrata nel top 10 europea. La città partenopea entra a pieno titolo nell’European Railway Station Index, ossia la classifica delle migliori 50 stazioni ferroviarie europee.
Napoli Centrale miglior stazione d’Italia
La stazione di Napoli centrale ha una serie di servizi offerti, accessibilità e collegamenti wi-fi superiore a tutte le altre stazioni italiane e batte alla grande anche le stazioni ferroviarie di Milano, Bologna e Roma. Ma non è tutto perché il capoluogo campano conquista anche un super posto a livello europeo, piazzandosi tra le dieci stazioni migliori e tra le più apprezzate dai viaggiatori. A dirlo è l’European Railway Index 2023. La Stazione centrale di Napoli è in Top 10 d’Europa al pari di grandi capitali e cittadine svizzere. Al fianco del suo nome compaiono altre grandi città europee come Parigi, Madrid, Vienna, Berlino e Amsterdam.
Napoli centrale è inserita al settimo posto nella classifica European Railway Station Index 2023. Il rapporto prende vita da un ente americano indipendente, il Consumer Choice Center. Alla sua quarta edizione, la classifica si basa su parametri di efficienza, politiche favorevoli ai cittadini e innovazione. Insomma, una vera guida dalla parte del consumatore.

NAPOLI SUPERA PARIGI E MADRID
Aldilà dei soliti pregiudizi, la stazione di Napoli entra a pieno titolo nella classifica europea dei migliori servizi offerti ai viaggiatori, al pari di grandi capitali europee. Al primo posto della classifica di miglior stazione d’Europa c’è Zurigo, la città Svizzera, con 102 punti, a seguire troviamo Vienna Hauptbahnhof con 94 punti, poi Berlino e Berna a pari merito con 90 punti.
La stazione di Napoli centrale occupa il settimo posto con ben 86 punti. Napoli riesce addirittura a battere Parigi, Madrid e Amsterdam. Per restare in Italia, invece, tutte le altre stazioni italiane sono distanziate di molti punti dalla città partenopea. Infatti, la capitale italiana, cioè Roma, ottiene solo un 16esima posto con 78 punti. Peggio ancora la stazione di Bologna Centrale in 26esima posizione con 71 punti e Milano Centrale che si piazza alla 29esima posizione della classifica con soli 68 punti.
*(Sonia Bonvini. Consulente Digital Marketing e Social Media Marketing dal 2005. Docente Corsi di Formazione Social Media Marketing e Produttività)

 

07 – Gianni Beretta* MISS UNIVERSO IN ESILIO: IL REGIME ORTEGUISTA SI È FELICITATO PER L’ELEZIONE DELLA 23ENNE SHEYNNIS PALACIOS. POI SI È ACCORTO CHE L’AVEVA SCHEDATA COME «OPPOSITRICE». IN FESTA I GIOVANI CHE GUIDARONO LA RIBELLIONE DEL 2018
Neanche il realismo magico di Gabriel Garcìa Màrquez sarebbe potuto arrivare a tanto. In poco più di un mese è accaduto di tutto in Nicaragua, con l’inaspettata attribuzione alla 23enne Sheynnis Palacios del titolo di “Miss Universo”. A cominciare dallo spiazzante annuncio in diretta tv (dalla vicina San Salvador) con i nicas che si riversavano in massa per le strade di tutto il paese per festeggiare con balli, urla e pianti l’evento, in una sorta d’irrefrenabile quanto liberatoria euforia. Sfidando le drastiche proibizioni poliziesche di manifestare in vigore dal 2018 quando la rivolta popolare anti regime di quei tre fatali mesi fu soffocata nel sangue con un bilancio di 350 morti e duemila feriti.
Rosario Murillo. Assistiamo a tentativi di manipolazione del meritato trionfo di una bella ragazza. Si tratta di malvagia comunicazione terroristica di vampir
i.

PALACIOS FU FOTOGRAFATA allora mentre sventolava una bandiera bianca e azzurra nazionale (assurta oggi a simbolo di resistenza). Ma soprattutto apparve cantando Nicaragua, Nicaraguita al fianco del cantautore per eccellenza del decennio rivoluzionario: Carlos Mejia Godoy (oggi in esilio a San Francisco), autore pure dello storico inno del Fronte Sandinista. La giovane mantenne in seguito un profilo piuttosto basso. Fino a riproporsi con orgoglio quest’anno con tanto di laurea in Comunicazione sociale, giusto poco prima della clamorosa chiusura e confisca dell’Università Centroamericana dei gesuiti che frequentava.
Il titolo conferito a Sheynnis costituisce una sorta di riscatto per gli studenti nicaraguensi che guidarono quella ribellione, gran parte dei quali sono stati costretti a lasciare il paese. Figlia di una ragazza madre, si manteneva grazie a una borsa di studio e vendendo buñuelos (tipico dolce casereccio locale).

DANIEL ORTEGA e la copresidente (oltre che consorte) Rosario Murillo in un primo momento non hanno potuto che abbozzare uno stentato «il Nicaragua è in festa con la sua Regina»; oltre a inviare un messaggio di felicitazioni ai suoi familiari tramite l’altrettanto giovane sindaca di Managua. Salvo scoprire a posteriori che già prima dell’imprevedibile verdetto, avevano disposto che Palacios non potesse più fare ritorno nel proprio paese. Con tanto di avviso alla compagnia aerea Avianca (poi prontamente rimosso). Come è accaduto del resto in questi cinque anni a centinaia fra oppositori, giornalisti, attivisti sociali e religiosi nicaraguensi recatisi all’estero.

Non solo. Il Canal 13, di proprietà di tre dei figli della coppia presidenziale, aveva definito spregiativamente la candidata nicaraguense (in trasmissioni dei giorni precedenti, subito cancellate) come Miss Buñuelo, Miss Tranquera (barricadiera) e persino Miss Covid.

DI LÌ A POCO MURILLO ha iniziato col mettere le mani avanti di fronte ai «tentativi di manipolazione del meritato trionfo di una bella ragazza». A farne per prima le spese, da capro espiatorio, è toccato a Karen Celebertti, proprietaria del marchio Miss Nicaragua, che al rientro all’aeroporto capitalino è stata rimessa sull’aereo (con destino Città del Messico) e privata seduta stante della nazionalità per «tradimento alla patria», accusata di aver manipolato il concorso «in favore di oppositrici del governo, convertendolo in un’imboscata politica finanziata da agenti stranieri». Ma prima ancora suo marito e il figlio, tornati per primi da San Salvador, erano stati tradotti direttamente in carcere. Con loro portavano i voluminosi bagagli di Sheynnis (perquisiti dagli agenti). Mentre la premiata si è trasferita direttamente a New York per prendere possesso per un anno (come da protocollo) dell’appartamento di Miss Universo. Non senza inviare prima un messaggio solidale all’«amica» Karen e dichiarandosi «onorata di rappresentare il paese nel resto del mondo».

A nulla è servito, al momento, che Celebertti abbia rinunciato alla titolarità della griffe di Miss Nicaragua. L’erede designata dovrebbe essere nientemeno che la nuora degli Ortega, Xiomara Blandino (ex Miss Nicaragua 2007, quando già Celebertti dirigeva la kermesse) accasata con il loro figlio Juan Carlos, a sua volta direttore del Canal 8.

TUTTO SAREBBE ORA RIENTRATO nei ranghi in Nicaragua, compresa la riverniciatura imposta dalla polizia di un murale a Estelì che riproduceva la nuova Miss Universo. Ma il caso ha assunto una tale risonanza internazionale da scatenare le ire furibonde di Murillo, che in uno dei suoi grotteschi discorsi radio quotidiani del mezzogiorno, ha parlato di «malvagia comunicazione terroristica di vampiri». La bruja (strega) o papessa, come la chiamano laggiù, aveva appena finito di “normalizzare” l’ultimo baluardo indipendente del paese, la Chiesa cattolica, vietando le messe nei cimiteri nel giorno dei morti e le processioni per la festa della “Purissima” (8 dicembre). Lei antiabortista, con una trentina di anelli alle dita (ognuno contro un malocchio differente) che tiene sotto ricatto il marito per averlo coperto dalle accuse della figliastra Zoilamerica per abusi subiti da bambina.

OSSESSIONATA dalle crepe interne del regime che l’hanno portata il mese scorso a destituire ben 900 funzionari della Corte suprema, a partire dalla sua presidente. Che ha appena cacciato dal paese la Croce Rossa Internazionale. E che deve far fronte alle critiche di esiliati sandinisti di prim’ordine come il Premio Cervantes Sergio Ramirez, o la Premio Poesia Iberoamericana Gioconda Belli (entrambi a Madrid) o ancora della mitica comandante guerrillera Dora Maria Tellez (negli Usa); tutti privati della cittadinanza nicaraguense nonché espropriati dei propri beni.
Mentre Vilma Nuñez (ai domiciliari, per dirigere la commissione dei diritti umani) e il vescovo Rolando Àlvarez (raggiunto in carcere proprio l’altro giorno da un altro prelato, monsignor Isidoro Mora) sono stati tra i finalisti del recente Premio Sakarov del Parlamento Europeo. Ci mancava solo Miss Nicaragua incoronata Miss Universo…
LEI HA DETTO di non avere timore di tornare in Nicaragua. Ammesso che la facciano rientrare. Imprigionarla sarebbe il colmo. Ma anche impedire una sua visita sarebbe assai imbarazzante. Di certo è in corso una trattativa su eventualmente il quando, il che dire e il che fare.
Sta di fatto che Sheynnis Palacios, senza averlo cercato, è diventata un emblema della resistenza al regime orteguista.
Di certo col suo ultimo vestito dai colori bianco e azzurro della bandiera nazionale sarà in antitesi all’altro bicolore rosso/nero del Frente Sandinista di Liberación Nacional, un tempo sinonimo di lotta rivoluzionaria. E che oggi vediamo misteriosamente abbinato all’”insolito” ambasciatore del Nicaragua in Spagna (oltre che in Grecia, Slovacchia, Cechia e Andorra) Maurizio Gelli: figlio di quel “venerabile” Licio che ricevette direttamente dalle mani del dittatore Francisco Franco l’onorificenza di primo e più giovane legionario fascista italiano. Ma, come se non bastasse, abbinato pure al nipote del capo piduista (figlio di Maurizio) che si chiama Licio come il nonno, ambasciatore degli Ortega/Murillo a Montevide.
*(Gianni Beretta. Corrispondente dal Centro America per il Manifesto, collaboratore di Epoca e Panorama e di diverse testate radiofoniche).

 

08 – Andrea Cegna*: È in marcia la carovana più grande dell’anno. USA/MESSICO. Migranti diretti negli Stati Uniti. 8mila persone partite a piedi dal confine tra Messico e Guatemala. Così è fallito il piano Biden.
Una nuova carovana migrante si è mossa, dietro allo striscione «Esodo dalla Povertà» da Tapachula, città di confine tra Messico e Guatemala, il 24 dicembre. Almeno 8mila persone da Cuba, Ecuador, Honduras, Guatemala e Haiti in marcia verso gli Stati Uniti d’America. Il gruppo è formato per lo più da donne, bambine e bambini, e ha superato alcuni posti di blocco. Per ora Guardia Nazionale e Polizia Migratoria osservano passo passo gli spostamenti, senza intervenire, e aspettando che stanchezza e qualche misura tampone spezzi l’unità migrante, seguendo la pratica iniziata dal governo di Lopez Obrador dopo le manganellate del 2021.

«SONO PARTITI PERCHÉ le autorità non danno i salvacondotti per transitare legalmente nel territorio nazionale. Il sistema migratorio messicano è tenuto per le mani e per i piedi dal governo degli Stati uniti» ha dichiarato Luis Garcia Villagran, coordinatore del Centro dei Diritti Dignificacion Umana. La più grande carovana del 2023, si muove parimenti ad un’altra, chiamata “Latinoamerica Unito”, che sta attraversando lo stato di Veracruz.
L’inverno messicano non è certo il miglior periodo per un viaggio lungo e articolato dove il freddo del deserto del nord o delle zone montuose obbligherà a uno sforzo ulteriore per chi dopo mesi d’attesa, di silenzi, di diritti negati sta cercando di prendersi un po’ di luce e dignificare la propria condizione. Le carovane che partono da Tapachula sono purtroppo ordinarie e strutturali, si generano a causa dei lunghissimi tempi d’attesa per le risposte d’asilo, di ricongiungimento o per l’ottenimento dei documenti che permettono l’attraversamento del Messico per brevi periodi di tempo, e allo stesso tempo per l’impossibilità di trovare, in territorio chiapaneco, lavori e case che permettano di vivere degnamente.
LE DUE CAROVANE sono molto “politiche” e provano a sfidare non solo le terribili politiche migratorie messicane ma anche quelle prepotenti e violente che dagli Stati Uniti si abbattono, anche a causa dei governi centro-americani che non si emancipano dalle pressioni e dai ricatti di Washington.
L’azione segue di poche ore l’annuncio, il 21 dicembre di un viaggio del segretario degli Affari esteri Usa, Antony Blinken, del segretario della Sicurezza nazionale Mayorkas e l’assessora per la sicurezza nazionale Liz Sherwood-Randall in terra messicana. Discuteranno con López Obradoril fenomeno migratorio che oggi vede, tra le varie misure di blocco per migranti, la chiusura straordinaria dei valichi di frontiera per i treni a Eagle Pass e El Paso, in Texas, e la frontiera di Lukeville in Arizona. Solo nei primi 18 giorni di dicembre ci sono state oltre 10.800 richieste di asilo e di ingresso negli Usa, un numero record secondo quanto riferito dalle autorità di Washington e che mostra il fallimento del protocollo migratorio inaugurato da Biden nel luglio 2022 e che prevedeva la concessione di 300mila visti temporanei di lavoro e allo stesso tempo induriva le misure per chi escluso dalla lotteria dei permessi lavorativi decideva di entrare “illegalmente” negli Stati uniti.
*(Andrea Cegna agitatore sociale, giornalista e organizzatore di concerti, è redattore di Radio Onda d’Urto, collaboratore di Radio Popolare e il Manifesto).

 

 

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