n°12 – 19/3/2022 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO.

01 – Manifesto contro la guerra. L’appello. È giunto il momento che gli oppositori alla guerra di tutti i paesi si uniscano prima che sia troppo tardi. Il pericolo di usare armi nucleari è reale.
02 – Michele Bollino*: È di notte che arrivano i disertori: «Non voglio morire, ho diritto al futuro»
Crisi ucraina. Ucraini in fuga dalla leva obbligatoria di Kiev. In Ungheria ne arrivano una decina ogni giorno.
03 – Schirò (Pd)* : sostenere con misure urgenti e adeguate i connazionali coinvolti nella guerra in ucraina. Una mia interrogazione al Governo con la capogruppo PD Lia Quartapelle
04 – Cosa cambia in Italia dal 1° aprile su green pass e mascherine. Termina l’obbligo di presentare il super green pass sul luogo di lavoro per gli over 50. Non sarà più necessario il green pass all’aperto e sui mezzi di trasporto locale. Mentre le mascherine resteranno obbligatorie fino al 30 aprile.
05 – Peter Bloom*: UCRAINA. I giganti mondiali delle armi fanno miliardi grazie alla guerra.
L’invasione russa dell’Ucraina è stata ampiamente condannata per la sua ingiustificata aggressione.
06 – Intanto nel mondo*.
07 – Schirò (Pd)*: gli italiani all’estero e il pasticcio dell’assegno unico. Sono molti i nostri connazionali residenti all’estero che mi scrivono lettere ed e-mail perché l’improvvisa . perdita a partire dal mese di marzo delle detrazioni per i figli a carico e dell’ANF (Assegno al nucleo familiare) ha creato inaspettati disagi economici.
08 – Alfiero Grandi*: Il movimento per la fine della guerra in Ucraina deve crescere e superare la prova di una unità.

 


 

01 – MANIFESTO CONTRO LA GUERRA. L’APPELLO. È GIUNTO IL MOMENTO CHE GLI OPPOSITORI ALLA GUERRA DI TUTTI I PAESI SI UNISCANO PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI. IL PERICOLO DI USARE ARMI NUCLEARI È REALE. DOBBIAMO FARE DI TUTTO PER IMPEDIRLO. QUESTA È LA NOSTRA RESPONSABILITÀ VERSO I NOSTRI FIGLI E NIPOTI!

ATTIVISTI DEI MOVIMENTI SOCIALI, LAVORATORI, SCIENZIATI, OPERATORI CULTURALI DI TUTTI I PAESI!
Il mostruoso è accaduto: la guerra è nuovamente tornata nella nostra quotidianità in Europa. Attualmente, le grandi città in Ucraina stanno diventando campi di battaglia. Persone pacifiche vengono fatte a pezzi da proiettili e razzi o seppellite sotto le macerie delle loro case.
Coloro che sopravvivono agli attacchi barbarici nelle cantine o nelle gallerie della metropolitana sono spinti a fuggire dalla fame, dal freddo, dalla mancanza d’acqua e dall’oscurità. La barbarie è tornata.
Per più di 20 anni, questo inferno si è andato sviluppando e si è diffuso: prima in Cecenia e Jugoslavia, poi in Afghanistan, Iraq, Libia e oggi in Yemen, Siria e altre regioni del Medio Oriente.
Ora ha raggiunto di nuovo l’Europa e ha assunto proporzioni catastrofiche con la guerra di aggressione russa contro l’Ucraina. Gli agglomerati metropolitani abitati da milioni di persone sono diventati la zona di battaglia più importante per i due eserciti.
La brutalità dei conflitti militari ha molte cause. Esprime la crescente rivalità tra le grandi potenze imperialiste, che si sono costruite negli ultimi decenni dietro le facciate della globalizzazione economica mondiale.
Il sistema mondiale capitalista ha mostrato ancora una volta la doppia faccia. Da un lato, ha fatto affidamento sulla proficua pace mondiale delle catene di merci e dei sistemi informativi globalizzati per ridefinire lo sfruttamento delle classi lavoratrici e raggiungere con esso gli angoli più remoti del pianeta.

D’altra parte, ha scatenato lotte sempre più violente per il controllo delle zone di influenza geostrategiche. Tipico di questo è la Cina, che ha combinato il suo progetto di collegamento tra i continenti della Nuova Via della Seta con rivendicazioni territoriali su Taiwan e il Mar Cinese Meridionale.

Anche il comportamento degli USA è esemplare, in questo senso . Al fine di garantire la sua egemonia mondiale sotto il profilo economico, Washington ha fatto della sua controparte in Asia orientale l’estensione territoriale del suo potenziale produttivo.
Allo stesso tempo, Washington sta sabotando il progetto cinese della Nuova Via della Seta a tutti i livelli e sta facendo tutto il possibile per minare le relazioni economiche pacifiche tra Cina, Russia ed Europa.

Contestualmente, il governo degli Stati Uniti ha posizionato il suo sistema di alleanze militari, la NATO, contro la Federazione Russa per impedire che il successore del defunto impero sovietico venga integrato in un’Europa allargata con un ordine di pace stabile e garanzie di sicurezza reciproca.

Il sabotaggio del North Stream 2 mostra che qui la pressione economica è importante tanto quanto lo è nel posizionamento contro la Cina: ciò che gli USA hanno ottenuto contro la Russia si è rivelato un boomerang nel caso della Cina e ha favorito l’ascesa della Cina a potenza mondiale concorrente.

Infine, come terzo fattore di barbarie, è entrato in gioco il fondamentalismo islamico, una variante profondamente regressiva dell’antimperialismo che aspira a una teocrazia patriarcale.
Questi sviluppi sono diventati minacciosi per l’umanità perché tutte le parti coinvolte nel conflitto sono state in grado di fare affidamento su materiale bellico la cui avanzata tecnologia ne accresce il potenziale distruttivo rispetto ai sistemi d’arma convenzionali.

Perché la storia dell’attacco russo non può essere ignorata

La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, scatenata il 24 febbraio, può essere compresa solo in questo contesto. Quanto sta accadendo può essere spiegato anche da questi collegamenti.
Quando l’impero sovietico è crollato, gli Stati Uniti hanno acquisito l’approvazione della Russia per l’inclusione di una Germania unificata nella NATO in cambio della promessa di non espandere ulteriormente la NATO nell’Europa orientale. A quel tempo, le possibilità di democratizzazione e apertura della Russia verso l’Europa erano abbastanza buone.

Tuttavia, questa opportunità è stata persa dopo alcuni anni. Dal 1997 è iniziata l’espansione apertamente promossa verso est della NATO e, al suo seguito, dell’Unione Europea. Questa evoluzione è stata vista come un’umiliazione e un pericolo dall’élite del potere russo e dalla maggioranza della popolazione.

C’erano anche tendenze opposte a questo processo, soprattutto in Francia e Germania; tuttavia, sono state vanificate dalla nuova alleanza privilegiata tra gli USA e gli stati dell’Europa orientale. Questa arroganza ha creato le condizioni esterne in Russia per l’attuazione di una strategia di imperialismo revisionista che era stata propagata da parti dell’élite di potere sin dalla caduta dell’Unione Sovietica e poi culminata nell’era di Putin.

Anche i segnali di allarme provenienti da questo nuovo corso – la guerra in Georgia del 2008 e l’annessione della Crimea nel 2014 – sono stati ignorati. Invece, la costruzione dell’infrastruttura della NATO è stata portata avanti in Ucraina, sebbene il paese fosse stato coinvolto in una guerra civile con il coinvolgimento indiretto della Russia dal 2014.

Le manovre congiunte delle forze armate ucraine con la Nato nel settembre 2021 hanno poi segnato il superamento della linea rossa.
L’avanzata diretta della NATO di 1.200 km verso il confine occidentale della Russia è stata insopportabile per la potenza e l’élite militare russa, che hanno deciso di condurre una guerra aggressiva contro l’Ucraina prima che l’Ucraina entrasse formalmente nella NATO.

Queste considerazioni non sono una giustificazione. Niente può legittimare la guerra di aggressione contro l’Ucraina.
Si tratta solo di chiarire che questa catastrofica guerra di aggressione è stata preceduta da atti di aggressività imperialista, anche da parte dell’Occidente, che hanno provocato una logica geostrategica comune a tutte le élites di potere imperialistiche nella Russia di Putin.

Immaginiamo se la Federazione Russa avesse firmato un patto militare con Cuba e il Messico e stesse costruendo un’infrastruttura militare contro di loro nei Caraibi e appena fuori dal confine meridionale degli Stati Uniti!
Questo confronto chiarisce che non possiamo essere parte in questo gioco catastrofico delle potenze imperialiste. Condanniamo con la massima fermezza l’aggressione russa. Ma respingiamo anche risolutamente le élites di potere dell’Occidente.

Invece di ammettere il fallimento dei loro obiettivi di espansione eccessiva, ora stanno imponendo un giro di vite all’escalation bellica e stanno conducendo una campagna per una guerra economica globale, nonché per operazioni di soccorso militare di vasta portata e di consegne di armi.
Siamo consapevoli che con questa posizione rappresentiamo attualmente solo una piccola minoranza rispetto alle parti in gioco, dirette e indirette, nella guerra in Ucraina..

PER USCIRE DALLA LOGICA DEI GUERRAFONDAI

Ma non dobbiamo rinunciare alla nostra identità, alla nostra cultura che si è formata nelle lotte sociali e di emancipazione per l’uguaglianza e l’autodeterminazione, contro la logica della guerra imperialista e il cinismo dei guerrafondai di tutte le parti.
Il massacro militare, l’uccisione di civili, i bombardamenti, la fame e lo sfollamento di massa della popolazione ucraina debbono cessare immediatamente e si debba fermare la distruzione delle infrastrutture sociali.

Non dobbiamo permettere alla NATO e all’Occidente di consentire all’Ucraina una difesa fino all’ultimo uomo né dobbiamo permettere allo Stato maggiore russo di mandare alla morte decine di migliaia di soldati e di coscritti.
I nostri figli e nipoti non dovranno chiederci perché non abbiamo fatto nulla per impedire che il conflitto ucraino degenerasse in una grande guerra europea o addirittura in un Armageddon nucleare.
Questo pericolo è cresciuto costantemente a causa del massiccio supporto militare degli USA e della NATO e delle gravi sanzioni economiche. Non possiamo essere spettatori passivi. Se la vite dell’escalation viene girata ulteriormente, nelle prossime settimane potremmo trovarci tutti di fronte agli orrori della guerra, proprio come lo è attualmente la popolazione civile ucraina.
Chiediamo:
1. Un cessate il fuoco immediato e il ritiro di tutte le truppe armate da ogni centro abitato
2. Il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina. Il disarmo e lo scioglimento di tutte le forze paramilitari sul territorio dell’Ucraina
3. L’immediata cessazione delle consegne di armi e il coinvolgimento segreto della NATO nella guerra
4. L’immediata revoca delle sanzioni e la fine della guerra economica
5. L’avvio dei negoziati di pace tra Russia e Ucraina sotto la supervisione dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione). Garanzia della neutralità permanente dell’Ucraina e smantellamento dell’infrastruttura NATO in Ucraina in cambio di garanzie di sicurezza russe complete e sostenute a livello internazionale.
6. L’istituzione dell’Ucraina come Stato ponte indipendente tra NATO/UE e Russia sotto l’egida dell’OSCE. Ricostruzione bilaterale e trattati economici dell’Ucraina con l’UE e l’Unione doganale post-sovietica.
Siamo ben consapevoli che queste richieste rimarranno parole al vento finché non saranno fatte proprie dai movimenti sociali, dalle classi lavoratrici e dall’intellighenzia critica in uno sforzo coordinato a livello internazionale.
È quindi giunto il momento di mobilitare un’ampia resistenza antimilitarista che sia integrata in modo completo e transnazionale nelle lotte sociali. Questo approccio non è affatto senza speranza, come ha mostrato la resistenza contro la guerra del Vietnam nella rivolta sociale globale della fine degli anni ’60.

PROPONIAMO QUINDI COME PRIMI PASSI DI MOBILITAZIONE:
1. L’interruzione di tutte le consegne di armi all’Ucraina e alle altre zone di guerra del mondo attraverso azioni di boicottaggio
2. Il lancio di una campagna di rifiuto del servizio militare in tutti gli eserciti coinvolti direttamente o indirettamente nella guerra in Ucraina: disobbedienza alla coscrizione e agli ordini, diserzione dalle unità di combattimento e rifornimento di Russia, Ucraina e NATO. Sviluppo di un ampio movimento di solidarietà per gli obiettori di coscienza
3. Partecipazione alle operazioni di soccorso per tutti i rifugiati provenienti dall’Ucraina e da altre zone di guerra e di guerra civile indistintamente
4. È giunto il momento di prendere posizione contro il disorientamento del movimento per la pace e di protesta. Le manifestazioni di massa nel mondo e gli interessi delle classi lavoratrici sono diretti contro tutte le potenze imperialiste e non devono schierarsi unilateralmente.
Il loro obiettivo era ed è quello di superare lo sfruttamento, l’oppressione patriarcale, il razzismo, il nazionalismo, la distruzione della natura; è quello dell’affermazione dei diritti umani individuali e sociali. Ora si è aggiunta la lotta contro la barbarie risorgente.
È giunto il momento che gli oppositori alla guerra di tutti i paesi si uniscano prima che sia troppo tardi. Il pericolo di usare armi nucleari è reale. Dobbiamo fare di tutto per impedirlo. Questa è la nostra responsabilità verso i nostri figli e nipoti!

*(Fonte, Il Manifesto – Primi firmatari: Cesare Bermani, storico, Orta; Sergio Bologna, storico e consulente logistico, Milano; Rüdiger Hachtmann, storico, Berlino ; Erik Merks, funzionario sindacale in pensione, Amburgo; Karl Heinz Roth, storico e medico, Brema; Bernd Schrader, sociologo, Hannover)

 

02 – MICHELE BOLLINO*: È DI NOTTE CHE ARRIVANO I DISERTORI: «NON VOGLIO MORIRE, HO DIRITTO AL FUTURO» CRISI UCRAINA. UCRAINI IN FUGA DALLA LEVA OBBLIGATORIA DI KIEV. IN UNGHERIA NE ARRIVANO UNA DECINA OGNI GIORNO. LA STORIA DI I., 26ENNE DI KHARKIV: «CHI RESTA LO FA PER DIFENDERE QUALCOSA O QUALCUNO. NOI NON ABBIAMO PIÙ FAMIGLIA. NESSUNO, NÉ PUTIN NÉ ZELENSKY, PUÒ DECIDERE PER LE NOSTRE VITE»
«Non voglio morire e nessuno può obbligarmi ad arruolarmi». I., 26 anni, è fuggito dalle bombe russe su Kharkiv e dal divieto di lasciare il paese imposto agli uomini dal governo di Kiev.

Sarebbe dovuto restare a combattere e ora, davanti al flusso continuo di donne, vecchi e bambini che arrivano dall’Ucraina, si sente in imbarazzo. Aspetta in disparte, la testa china. Sa che il suo posto non è quello.

A Beregsurany, Ungheria, le guardie di frontiera chiudono gli uffici della dogana alle 19 in punto. Al loro posto prendono posizione i militari. Chi è ancora in fila dal lato ucraino torna indietro. La notte è fredda, ma «è di notte che arrivano i disertori, passando per i campi o per il bosco», dice il parroco del luogo che, con la Caritas ungherese, lavora all’help center a poche centinaia di metri dal confine.

«UNA DECINA OGNI NOTTE. Arrivano stremati, fuggono da chi li dovrebbe proteggere – aggiunge il parroco – Noi li aspettiamo qui, sanno dove trovarci. Poi li portiamo alla stazione di polizia perché i loro documenti non sono in regola e noi non possiamo registrarli. Però non respingiamo nessuno, lo status di rifugiato viene dato anche agli uomini».

I. ha i pantaloni strappati e sporchi di sangue e fango. È passato attraverso un cespuglio di rovi, un ramo gli ha ferito la coscia. Cerca un ricambio nella grande pila di vestiti che i volontari hanno messo a disposizione dei profughi.

«Ma da uomo qui non c’è niente – dice – Mi mancano i miei abiti. Quando trovai lavoro, mio padre mi regalò cinque vestiti fatti su misura e cinque camicie con le iniziali ricamate. Erano il ricordo più importante che avevo di lui, ma non sono riuscito a portarle con me».

La sua fuga è iniziata il primo giorno dell’invasione russa. «Siamo stati svegliati da un gran boato. Kharkiv è stata bombardata subito. Con la mia fidanzata abbiamo deciso di andarcene immediatamente, avevamo paura di restare in trappola come è successo a molti nostri amici. Abbiamo preso i nostri due gatti, messo in valigia due pc e qualche cambio e siamo partiti per Dnipro con la macchina».

PER RAGGIUNGERE la città sul fiume Dnepr, distante poco più di 200 chilometri, «ci abbiamo messo un giorno intero, le file ai benzinai erano infinite e i posti di blocco continui». Una sosta di una notte a casa di amici, poi di nuovo in viaggio verso il confine con la Romania: «Lì abbiamo provato a corrompere le guardie di frontiera con tutto il contante che ci era rimasto. Ci hanno respinto, ma si sono presi i soldi, dicendo che era il prezzo per non arrestarci».

Il viaggio di I. è poi continuato verso la Transcarparzia. «Sapevo che in questa zona ci sono solo campi e piccoli boschi e attraversarla a piedi è facile, mentre la mia fidanzata può passare con l’auto. Ma arrivare qui non è stato semplice. La benzina è razionata, se ne possono comprare solo 20 litri a persona ogni giorno. Abbiamo dormito in macchina per una settimana. Avevamo dimenticato di prendere le coperte e all’inizio è stata molto dura. La prima notte passata in strada pensavamo di morire. Per fortuna, la sera dopo un’auto dell’esercito si è fermata a controllare chi fossimo e ci hanno dato delle coperte. Non so se ce l’avremmo fatta senza quell’aiuto».

Ma è proprio dal suo esercito che I. sta scappando. «Molti pensano che rimanere e combattere sia la cosa giusta. Qualcuno pensa anche che si possa vincere. Ma io non ci credo, ho paura. Un mio caro amico combatteva nel Donbass, di lui non è rimasto nulla. Ai genitori hanno spedito una bara vuota, io non voglio fare quella fine. Voglio pensare al futuro».

NEL FUTURO di I. c’è il matrimonio con la sua fidanzata. Si sarebbe dovuto celebrare già a gennaio, ma la morte di sua madre li ha costretti a rinviare la data.

«Poi i figli, ne vogliamo quattro – dice – Fino allo scoppio della guerra, avevamo una vita normale. Io sono un ingegnere, ho studiato per un anno a Londra, la mia fidanzata è architetta. Cercheremo lavoro, forse in Polonia, in Germania o in Inghilterra. Restare non ha senso: abbiamo lavorato insieme alla costruzione di un palazzo a Kharkiv, ieri i nostri amici ci hanno mandato una foto. È completamente distrutto».
Chi è rimasto, dice I., «rispetta la mia scelta. Non mi giudicano, anzi. Capiscono la mia situazione. Chi resta lo fa per difendere qualcosa o qualcuno. Noi non abbiamo più famiglia, siamo da soli. Abbiamo il diritto di ricominciare da qualche altra parte. Nessuno, né Putin né Zelensky, può decidere per le nostre vite».
*(Fonte DIRE agenzia di stampa nazionale, Michele Bollino giornalista. “Togli la cera, metti la cera”. Gli insegnamenti del maestro Miyagi di Karate Kid mi guidano in questa professione dove le certezze non esistono, il dubbio è una bussola e la curiosità l’unica benzina necessaria. )

 

03 – SCHIRÒ (PD)* : SOSTENERE CON MISURE URGENTI E ADEGUATE I CONNAZIONALI COINVOLTI NELLA GUERRA IN UCRAINA. Una mia interrogazione al Governo con la capogruppo PD Lia Quartapelle.
Gli sviluppi della guerra in Ucraina accrescono di giorno in giorno le esigenze di solidarietà, accoglienza e sostegno verso la popolazione civile, la vittima più esposta di questo inumano conflitto. Una responsabilità che nell’immediato si sta scaricando sui paesi confinanti, ma che riguarda tutta l’Europa e, in particolare, l’Italia, dove risiede per lavoro il maggior numero di cittadini ucraini. 16 marzo 2022
Tra la popolazione civile dell’Ucraina, per altro, vi sono numerose componenti straniere, tra le quali quella italiana, composta da alcune migliaia di persone. Il lodevole comportamento del personale diplomatico e dell’Unità di crisi della Farnesina, a cui si è aggiunta l’azione solidale dei COMITES di Romania, Polonia e Austria, ha favorito l’allontanamento dal teatro di guerra di molti nostri connazionali, ma non sono pochi quelli che per diverse ragioni vi sono restati.

Sia verso coloro che sono stati costretti a uscire dal paese per mettersi in salvo che verso coloro che vi permangono, si pongono evidentemente problemi urgenti di sostegno e di continuità nel godimento di diritti socio-previdenziali acquisiti. Allo stesso tempo, un’analoga esigenza si pone per i cittadini ucraini che dopo avere maturato in Italia con il loro lavoro diritti previdenziali, hanno fatto ritorno in Ucraina e oggi si trovano nella materiale impossibilità di usufruirne.

Altrettanta attenzione va posta per la situazione dei connazionali residenti in Russia che a loro volta, a causa delle ripercussioni delle sanzioni imposte a seguito dell’ingiustificata aggressione, dovranno fronteggiare la crisi delle loro attività economiche e delle loro situazioni di lavoro e professionali.
Per questa ragione, ho presentato nella Commissione esteri, assieme alla collega capogruppo del PD, Lia Quartapelle, un’interrogazione al Governo per sollecitare l’adozione di misure di sostegno immediato sia per i connazionali e le loro famiglie che rientrino in Italia che per i connazionali e le loro attività che permangono in Ucraina. Abbiamo anche chiesto di predisporre misure adeguate per sostenere la ricollocazione dei connazionali che dovranno abbandonare la Russia e per sostenere la situazione di coloro che, per ragioni familiari e di lavoro, decidano di restarvi.
Tutto questo probabilmente comporta anche un intervento volto a reintegrare i capitoli dei fondi per l’assistenza, sui quali già pesano gli oneri derivanti dalle conseguenze sociali indotte dalla pandemia.
Abbiamo invitato, infine, i Ministri degli Esteri e del Lavoro a rappresentare al nostro Istituto nazionale di previdenza (INPS) l’esigenza di adottare modalità specifiche e straordinarie per evitare l’interruzione delle erogazioni delle prestazioni previdenziali agli aventi diritto che vivono in Ucraina o che rientrano in Italia e di valutare l’opportunità di sospendere per le aree interessate al conflitto le consuete campagne di verifica e accertamento reddituale e di esistenza in vita finché il ritorno a condizioni di concreta agibilità non ne consenta il ripristino.
*(Angela Schirò Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati)

 

04 – COSA CAMBIA DAL 1° APRILE SU GREEN PASS E MASCHERINE. TERMINA L’OBBLIGO DI PRESENTARE IL SUPER GREEN PASS SUL LUOGO DI LAVORO PER GLI OVER 50. NON SARÀ PIÙ NECESSARIO IL GREEN PASS ALL’APERTO E SUI MEZZI DI TRASPORTO LOCALE. MENTRE LE MASCHERINE RESTERANNO OBBLIGATORIE FINO AL 30 APRILE

Il prossimo 31 marzo terminerà, dopo due anni, lo stato di emergenza epidemiologica dovuto alla pandemia da Covid-19. Per questo, il governo ha presentato un nuovo decreto che contiene le regole post-emergenza. Tra le novità più importanti ci sono la fine dell’obbligo di green pass all’aperto e sui mezzi di trasporto locali e dell’obbligo di super green pass sul luogo di lavoro per gli over 50, lo scioglimento del Comitato tecnico scientifico e della struttura commissariale. L’annuncio è stato dato in conferenza stampa, dal presidente del Consiglio Mario Draghi e dal ministro della Salute Roberto Speranza.
Il successo della campagna vaccinale è l’elemento chiave che ha portato alla fine dello stato di emergenza, grazie al numero sempre inferiore di ricoveri in terapia intensiva e il diminuire dei contagi, malgrado il diffondersi della cosiddetta variante omicron. L’uscita dallo stato di emergenza infatti non indica la fine della pandemia, ma la possibilità di affrontare il contagio di Covid-19 con minori disagi. Pertanto il governo ha deciso di continuare a muoversi con prudenza, stilando un calendario per la fine delle restrizioni.

QUALI RESTRIZIONI SONO GIÀ STATE ALLENTATE
Dal 10 marzo, sono state allentate le regole per accedere agli ospedali per far visita a conoscenti e familiari ricoverati, pur restando necessario esibire il green pass rafforzato fino al prossimo 31 dicembre. Mentre sempre dal 10 marzo è stato reso possibile consumare cibo e bevande nei cinema e negli impianti sportivi.

LE REGOLE DAL PRIMO APRILE
In base a quanto stabilito dal governo, il green pass non sarà più richiesto per accedere alle attività di ristorazione all’aperto, per praticare attività sportive, sempre all’aperto, e per usare il trasporto pubblico locale. Mentre sarà necessario solo quello base, cioè ottenuto con un tampone negativo, per consumare al chiuso, così come per accedere agli alberghi.
Inoltre, decadono le restrizioni sulle capienze per il pubblico negli stadi, ai concerti o nelle discoteche all’aperto che potranno funzionare al 100% della loro disponibilità.

ADDIO AL SUPER GREEN PASS PER ACCEDERE AL LUOGO DI LAVORO PER LE PERSONE OVER 50, CHE DOVRANNO PERÒ CONTINUARE A PRESENTARE QUELLO BASE FINO AL 15 GIUGNO.

Per quanto riguarda la scuola invece, cambiano solo le regole per la didattica a distanza (Dad). Decade infatti l’obbligo di isolamento in caso di contatto con persone positive e la Dad resterà solo per chi è stato contagiato.
Dal primo aprile decadranno anche tutte le sanzioni, tranne quella pecuniaria da 100 euro, per le persone non vaccinate che fanno parte delle categorie lavorative per cui vale l’obbligo vaccinale fino al 15 giugno. Da quel momento in poi avrà l’obbligo di vaccinarsi solo il personale sanitario e quello delle residenze sanitarie assistenziali.
INFINE, DAL PRIMO APRILE verranno sciolti il Comitato tecnico scientifico e la struttura commissariale, al loro posto verrà istituita un’unità operativa del ministero della Salute.

LE MODIFICHE DAL PRIMO MAGGIO
Dal prossimo primo maggio non sarà più obbligatorio esibire il green pass in nessuna occasione, né all’aperto, né al chiuso. Stesso destino anche per le mascherine, che sarà obbligatorio indossare in tutti i luoghi al chiuso fino al 30 aprile. Resta anche fino al primo maggio l’obbligo di mostrare il green pass sui trasporti a media e lunga percorrenza.

 

05 – Peter Bloom*: UCRAINA. I GIGANTI MONDIALI DELLE ARMI FANNO MILIARDI GRAZIE ALLA GUERRA. L’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA È STATA AMPIAMENTE CONDANNATA PER LA SUA INGIUSTIFICATA AGGRESSIONE. CI SONO LEGITTIMI TIMORI DI UN REVIVAL DELL’IMPERO RUSSO E PERFINO DI UNA NUOVA GUERRA MONDIALE. MA NON ALTRETTANTO SI PARLA DI UN SETTORE, QUELLO DEGLI ARMAMENTI, CHE VALE QUASI CINQUECENTO MILIARDI DI DOLLARI E CHE RIFORNISCE ENTRAMBE LE PARTI. NÉ DEI NOTEVOLI PROFITTI CHE QUESTO FARÀ GRAZIE ALLA GUERRA. 14 marzo 2022

Il conflitto ha già generato un notevole aumento delle spese militari. L’Ue ha annunciato di voler comprare e consegnare all’Ucraina armi per 450 milioni di euro. Gli Stati Uniti hanno invece promesso 350 milioni di dollari d’aiuti militari, che si aggiungono alle oltre novanta tonnellate di forniture militari, per un valore di 650 milioni di dollari, solo nel 2021.

Complessivamente, gli Stati Uniti e la Nato hanno inviato 17mila armi anticarro e duemila missili antiaerei Stinger, per esempio. Un gruppo di paesi – di cui fanno parte Regno Unito, Australia, Turchia e Canada – sta inoltre armando la resistenza ucraina.

Le opportunità della guerra
Si tratta di una vera e propria manna per le principali aziende nel mondo che producono armamenti. Per fare solo qualche esempio, la Raytheon produce i missili Stinger e, insieme alla Lockheed Martin, produce i missili anticarro Javelin che sono forniti da paesi come gli Stati Uniti e l’Estonia. Le azioni di entrambe le aziende statunitensi, la Lockheed e la Raytheon, sono cresciute dall’inizio dell’invasione, rispettivamente del 16 e del 3 per cento, mentre l’indice S&P500 in generale è calato dell’1 per cento.

Oltre a vendere armi ai belligeranti, le industrie del settore trarranno vantaggi dall’annunciato aumento delle spese militari in altri paesi

La BAE systems, la principale produttrice nel Regno Unito e in Europa, è cresciuta del 26 per cento. Delle cinque principali aziende del settore, solo la Boeing ha avuto un calo, dovuto tra le altre cose alla sua esposizione nel settore della produzione di aerei.

Alla vigilia del conflitto, le principali aziende d’armamenti occidentali si vantavano agli occhi degli investitori di una probabile crescita dei loro profitti. Gregory J. Hayes, amministratore delegato del gigante della difesa statunitense Raytheon, aveva dichiarato il 25 gennaio, durante una videoconferenza dedicata agli utili dell’azienda: “Basta guardare alla settimana scorsa, e all’attacco di droni negli Emirati Arabi Uniti… E naturalmente alle tensioni in Europa orientale e a quelle nel mare Cinese meridionale. Tutte queste cose stanno mettendo pressione sulle autorità locali, spingendole a spendere di più. Ho piena fiducia che ne trarremo un qualche beneficio economico”.

Già all’epoca si prevedeva che il settore degli armamenti sarebbe cresciuto del 7 per cento nel 2022. Il principale rischio per gli investitori, secondo le parole di Richard Aboulafia, amministratore delegato dell’azienda statunitense di consulenza militare AeroDynamic Advisory, è che “tutto questo si riveli un castello di carte russo e che la minaccia scompaia”.

VOCAZIONE GLOBALE
Adesso che non ci sono segni che questo accada, le aziende d’armamenti stanno traendo vari benefici dalla situazione. Oltre a vendere direttamente armi alle parti in guerra, e a rifornire altri paesi che donano armamenti all’Ucraina, vedranno una crescita della domanda da parte di paesi come la Germania e la Danimarca, che hanno dichiarato che aumenteranno le loro spese militari.

Tutto il settore degli armamenti ha una vocazione globale. Gli Stati Uniti sono di gran lunga il leader mondiale, con il 37 per cento delle vendite di armi tra il 2016 e il 2020. Poi viene la Russia, con il 20 per cento, seguita dalla Francia (8 per cento), dalla Germania (6 per cento) e dalla Cina (5 per cento).

Oltre ai cinque principali esportatori, altri potrebbero trarre vantaggio da questa guerra. La Turchia ha ignorato gli avvertimenti russi e ha insistito nel rifornire di armi l’Ucraina, in particolare con droni ad alta tecnologia, con grandi benefici per il suo settore degli armamenti, che copre quasi l’1 per cento del mercato mondiale.

Quanto a Israele, responsabile di circa il 3 per cento delle vendite globali, uno dei suoi giornali, Haaretz, ha recentemente pubblicato un articolo intitolato: “Il primo vincitore dell’invasione russa: l’industria degli armamenti israeliana”.

La Russia dal canto suo, dal 2014 rafforza la sua produzione in risposta alle sanzioni occidentali. Il governo ha istituito un ampio programma di sostituzione delle importazioni, per ridurre la sua dipendenza dagli armamenti e dalle competenze provenienti dall’estero, oltre che per aumentare le vendite a paesi stranieri. In alcuni casi è stata prolungata la licenza di vendita di determinati armamenti, come quelli forniti dal Regno Unito alla Russia per un valore stimato di 3,7 milioni di sterline, ma la cosa è terminata nel 2021.

In qualità di secondo esportatore d’armi al mondo, la Russia si è rivolta a un ventaglio di clienti internazionali. Le sue esportazioni d’armi sono calate del 22 per cento tra il 2016 e il 2020, ma soprattutto a causa di una riduzione del 53 per cento delle vendite all’India. Allo stesso tempo la Russia ha decisamente rafforzato le sue esportazioni verso paesi come la Cina, l’Algeria e l’Egitto.

Secondo un rapporto del congresso degli Stati Uniti “gli armamenti russi potrebbero essere meno costosi e più facili da usare e sottoporre a manutenzione rispetto ai sistemi occidentali”. Le principali aziende di armamenti russe sono il produttore di missili Almaz-Antey (con un volume di vendite di 6,6 miliardi di dollari), la United Aircraft Corp (4,6 miliardi di dollari) e la United Shipbuilding Corp (4,5 miliardi di dollari).

I PUNTI IN COMUNE
Di fronte all’imperialismo di Putin, gli obiettivi realisticamente raggiungibili sono limitati. La possibilità di demilitarizzare l’Ucraina appare poco credibile di fronte al permanere delle minacce russe.

Ci sono stati tuttavia degli sforzi per attenuare la gravità della situazione. La Nato, per esempio, ha pubblicamente e chiaramente declinato la richiesta del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj d’istituire una no-fly zone. Ma questi sforzi sono minati dagli enormi incentivi finanziari, da entrambe le parti, ad aumentare le forniture di armamenti.

Quel che occidente e Russia hanno in comune è un articolato complesso industriale militare. Entrambi si affidano, rendono possibile, e sono influenzati dalle loro grandi industrie di armamenti. Questa situazione è stata rafforzata da nuove capacità offensive ad alta tecnologia, dai droni ai sofisticati sistemi militari autonomi basati sull’intelligenza artificiale.

ALLA LUCE DI QUESTA GUERRA, DOVREMMO ESPLORARE LE POSSIBILITÀ DI LIMITARE IL POTERE E L’INFLUENZA DEL SETTORE DEGLI ARMAMENTI

Se si vuole riuscire ad abbassare la tensione e arrivare a una pace duratura, è necessario attaccarsi alle radici economiche dell’aggressione militare. Ho accolto con favore il recente annuncio del presidente statunitense Joe Biden, che ha dichiarato che gli Stati Uniti sanzioneranno direttamente l’industria degli armamenti russa, rendendo più difficile l’approvvigionamento di materie prime e la vendita delle loro merci all’estero, che ostacolerebbe così la possibilità di reinvestire in altre strumentazioni militari.

Ciò detto, questa situazione potrebbe creare opportunità commerciali per le aziende occidentali. Potrebbe creare un vuoto temporaneo che permetterà alle aziende statunitensi ed europee di ottenere un ulteriore vantaggio competitivo, determinando un’intensificazione della corsa mondiale agli armamenti, creando così ulteriori incentivi finanziari per nuovi conflitti.

Alla luce di questa guerra, dovremmo esplorare le possibilità di limitare il potere e l’influenza del settore degli armamenti. Tra le mosse potrebbero esserci accordi internazionali che limitino la vendita di specifiche armi, un sostegno multilaterale ai paesi che s’impegnano a ridurre la loro industria degli armamenti, e sanzioni alle aziende che fanno pressione per un aumento delle spese militari. Servirebbe poi, soprattutto, il sostegno a movimenti che si battono contro l’ulteriore sviluppo delle capacità militari.

Una risposta chiara, ovviamente, non esiste, e non arriverà da un giorno all’altro. È tuttavia fondamentale riconoscere da parte nostra, come comunità internazionale, che una pace duratura è impossibile senza un’eliminazione, per quanto possibile, di un settore lucrativo come quello della produzione e della vendita di armi.
*( Fonte Internazionale. Peter Bloom, The Conversation, Regno Unito – Traduzione di Federico Ferrone. Questo articolo è uscito su The Conversation.)

06 – Intanto nel mondo*. 17 marzo 2022

UCRAINA-RUSSIA
Il 16 marzo le autorità ucraine hanno accusato l’esercito russo di aver distrutto un teatro in cui si erano rifugiate più di mille persone a Mariupol, nel sudest del paese. Non si conosce il bilancio delle vittime. Lo stesso giorno il presidente statunitense Joe Biden ha definito il suo collega russo Vladimir Putin un “criminale di guerra” e ha annunciato nuovi aiuti militari all’Ucraina, tra cui sistemi di difesa antiaerea. Intanto, la Corte internazionale di giustizia ha ordinato alla Russia di sospendere immediatamente la sua offensiva in Ucraina.

IRAN-REGNO UNITO
Il 16 marzo due persone di nazionalità britannica e iraniana – Nazanin Zaghari-Ratcliffe, 43 anni, e Anoosheh Ashoori, 67 anni – sono state scarcerate e hanno fatto ritorno nel Regno Unito. Erano state condannate rispettivamente per “complotto contro la repubblica islamica” e “spionaggio a favore d’Israele”, accuse che i due avevano sempre negato. Lo stesso giorno Londra ha annunciato di aver saldato un vecchio debito con Teheran da 394 milioni di sterline (470 milioni di euro).

CUBA
La corte suprema ha annunciato il 16 marzo che 128 persone accusate di aver commesso violenze durante le manifestazioni antigovernative all’Avana dell’11 e del 12 luglio 2021 sono state condannate a pene dai sei ai trent’anni di prigione. Altri 172 manifestanti erano stati condannati nei mesi scorsi.

HONDURAS-STATI UNITI
Il 16 marzo la corte suprema di giustizia dell’Honduras ha dato il via libera all’estradizione negli Stati Uniti dell’ex presidente Juan Orlando Hernández, accusato di complicità nel traffico internazionale di droga. Hernández, il cui secondo mandato alla guida del paese si è concluso il mese scorso, ha tre giorni di tempo per fare appello contro la decisione.

GUATEMALA
Il 15 marzo il parlamento ha rinunciato a una legge, approvata la settimana scorsa, che inaspriva le pene per le donne che ricorrono all’aborto, da tre a dieci anni di prigione, e vietava i matrimoni omosessuali e l’insegnamento della diversità sessuale nelle scuole. Il presidente conservatore Alejandro Giammattei aveva minacciato di mettere il veto, sostenendo che la legge violasse la costituzione e gli accordi internazionali del paese.

NIGER
Almeno ventuno persone, tra cui due poliziotti, sono morte il 16 marzo in un attacco jihadista contro un autobus e un camion nella regione di Tillabéri, nel sudovest del paese, vicino al confine con il Burkina Faso.

GIAPPONE
Il 16 marzo un terremoto di magnitudo 7,4 sulla scala Richter ha colpito la costa est del Giappone, causando quattro morti e 107 feriti. Più di due milioni di case sono rimaste senza elettricità. Le autorità hanno emesso un’allerta tsunami, poi revocata poche ore dopo. L’epicentro è stato registrato al largo della prefettura di Fukushima, a 60 chilometri di profondità.
*( Fonte da Intrnazionale)

 

07 – SCHIRÒ (PD): GLI ITALIANI ALL’ESTERO E IL PASTICCIO DELL’ASSEGNO UNICO. Sono molti i nostri connazionali residenti all’estero che mi scrivono lettere ed e-mail perché l’improvvisa . perdita a partire dal mese di marzo delle detrazioni per i figli a carico e dell’ANF (Assegno al nucleo familiare) ha creato inaspettati disagi economici. 18 marzo 2022

È la svantaggiosa conseguenza dell’introduzione dell’Assegno unico in Italia e della sua in esportabilità all’estero. È la conseguenza dell’abrogazione delle detrazioni e dell’Anf per i figli a carico che non sono ora erogabili né in Italia né all’estero (dove sono – erano – migliaia gli aventi diritto) ma che, pur tuttavia, per chi risiede in Italia sono stati rimpiazzati dall’Assegno unico. È l’ennesima dimostrazione che spesso si legifera senza pensare che esistono anche gli italiani all’estero – che sono tanti – e che le leggi vanno scritte con la dovuta attenzione ai loro diritti, soprattutto quelli acquisiti da anni (in questo caso una buona legge è diventata una preoccupazione per molti italiani all’estero).

Ma come è possibile non rendersene neanche conto?

Ci racconta P. pensionato italiano in convenzione con il Venezuela, vedovo con figlio disabile a carico e ora residente in un Paese europeo: il Venezuela non paga più le pensioni all’estero e le uniche mie possibilità di sopravvivenza sono la pensione italiana (un misero pro-rata di 118 euro lordi) e l’assegno familiare di 168 euro. L’assegno familiare ora gli è stato revocato: “sono ridotto alla miseria – mi dice P. – cosa mi posso aspettare per il futuro?”.

S. iscritto all’Aire vive invece in Spagna e scrive per farmi sapere che da marzo non percepisce più né l’Anf né le detrazioni per la figlia 15enne.

A., appartenente alle forze dell’ordine italiane, iscritto all’Aire e residente in Svizzera, si lamenta che il suo unico reddito è prodotto in Italia in qualità di dipendente della P.A., paga ovviamente le tasse in Italia ma a causa della sua residenza all’estero perderà assegno e detrazioni per i suoi due bambini ma non potrà avere diritto all’Assegno unico.

S.A. che risiede all’estero e produce più del 75% del suo reddito in Italia sostiene di aver sempre beneficiato delle detrazioni per i figli a carico ma ora dovrà pagare migliaia di euro in più sul suo reddito complessivo che non è affatto elevato e si appella alla normativa europea (il Ministero del Lavoro sta infatti verificando la compatibilità del vincolo territoriale dell’Assegno unico con il diritto comunitario e internazionale).

F. invece è residente in Italia ma ha due figlie minorenni a carico che vivono in Francia e sono iscritte all’Aire: rischia concretamente di perdere le agevolazioni fiscali e di non poter chiedere l’Assegno unico perché i figli, in base alla nuova normativa, devono essere conviventi con i genitori ai fini del diritto all’Assegno.

Come F. sono numerosi i cittadini italiani residenti in Italia ma con figli all’estero ai quali la legge nega, allo stato attuale delle cose, sia l’Assegno unico che detrazioni e Anf per figli a carico.

In queste situazioni sinteticamente su descritte si trovano ora migliaia di italiani residenti nel mondo che a partire da marzo hanno perso il diritto a detrazioni e Anf per i figli a carico e non potranno chiedere l’Assegno unico, che come ho detto è subordinato alla residenza in Italia. Una ingiustizia alla quale si deve porre rimedio.

È un anno che mi batto per sensibilizzare Governo, Ministeri, Istituzioni competenti, partiti, enti di tutela dei lavoratori e dei pensionati italiani all’estero ma ho l’impressione, almeno finora, che i diritti degli italiani all’estero non siano nel novero delle cose da tutelare, tanto è vero che anche gli emendamenti presentati al Senato dai colleghi Porta e Giacobbe nell’ambito della discussione del decreto “Sostegni-ter” – che se approvati avrebbero tutelato i diritti dei nostri connazionali all’estero consentendo il mantenimento delle detrazioni e dell’Anf per gli iscritti all’Aire – non sono stati accolti.

È chiaro che la nostra battaglia continuerà in tutti i modi e in tutte le sedi per ripristinare i diritti fiscali e previdenziali dei nostri connazionali che sono stati cancellati.

Restiamo fiduciosi tuttavia che con il nostro impegno, passato e futuro, e con il sostegno dei sindacati e delle associazioni dell’emigrazione riusciremo a sensibilizzare il governo al fine di correggere una normativa che penalizza iniquamente molti nostri connazionali.
*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati)

 

08 – Alfiero Grandi*: Il movimento per la fine della guerra in Ucraina deve crescere e superare la prova di una unità. Marzo 2022

È abbastanza evidente che alcuni commentatori hanno cercato di contrapporre la piazza di Firenze contro l’aggressione in Ucraina a quella precedente di Roma, cercando di perpetuare un equivoco che rischia di dividere un movimento plurale, diversificato, in qualche caso perfino con motivazioni opposte, ma che condivide l’obiettivo prioritario di fermare la guerra. Prova ne sia che l’appello ripetuto e insistito per la creazione della No-Fly zone o per la fornitura di aerei all’Ucraina è caduto nel vuoto, esattamente come nella precedente manifestazione di Roma e non poteva che essere così. Anche le rappresentanze presenti erano in buona parte le stesse. Questo tentativo di dividere il movimento o se si preferisce la grande opinione pubblica che vuole la fine della guerra in Ucraina, cercando un’intesa di pace, va indicato come pericoloso e controproducente. Perché le “piazze” per la pace hanno bisogno di estendersi e di rafforzarsi per contribuire a fermare la guerra. Il programma di chi vuole fermare la guerra è la fine dei combattimenti in Ucraina, garantendo la vita delle persone, di chi è sotto i bombardamenti, di chi oggi combatte, avviando una vera trattativa per regolare il contenzioso.

L’UNITÀ È SULL’OBIETTIVO, LE MOTIVAZIONI POSSONO ESSERE DIVERSE, MA È UN “SOGNO” CHE NON HA ALTERNATIVE.

Trattative per fermare i combattimenti e poi per un accordo di pace sarebbero un’autentica rivoluzione, perché ad oggi l’invasore russo e chi combatte per l’Ucraina non hanno intenzione di smettere. Le trattative in sostanza non decollano. Ciascuno pensa di riuscire a vincere o punta a conquistare posizioni di maggiore forza. Non basta che si offrano per le trattative “volenterosi” capi di governo, mossi anche da interessi propri, ma è urgente che entri in campo l’Onu, da troppo tempo messo nell’angolo, ridotto a teatro delle reciproche accuse, mentre deve essere protagonista delle soluzioni pacifiche. Ormai da decenni i colpi inferti al ruolo dell’Onu, creando fatti compiuti, ne ha indebolito la credibilità, la forza, alcuni errori hanno aggiunto ulteriori difficoltà. Ma la sostanza è che le grandi potenze hanno trovato più comodo per i loro interessi aggirare l’Onu, mettendo il mondo di fronte a fatti compiuti, scegliendo spesso di imporre le loro decisioni unilaterali. Eppure l’Onu non è mai stato così rappresentativo, oltre 200 membri, ma l’indebolimento politico si fa sentire.

Questa è una grande occasione per arrivare ad un accordo nella sede propria: l’Onu, inoltre potrebbe essere l’inizio di una regolazione di problemi che da tempo chiedono di essere risolti, a partire dal rilancio del disarmo nucleare, da una riduzione degli armamenti, anziché insistere sulla follia della logica dell’aumento degli armamenti. Quando si arriverà ad una vera trattativa si potrà forse valutare meglio la differenza con quello che si poteva tentare di concordare prima della guerra, senza i lutti, le distruzioni, i danni immediati e le tossine che resteranno anche quando il clamore delle armi cesserà. Del resto l’alternativa alla trattativa e alla pace oggi è che il mondo scivoli drammaticamente verso una guerra mondiale distruttiva.

Evolvere la funzione degli stati dell’Unione Europea in fornitori di armi all’Ucraina, tanto più che era in campo da tempo la Nato, non è stata una buona idea. In più per l’Italia c’è sempre l’articolo 11 della nostra Costituzione che troppi dimenticano o di cui danno interpretazioni di comodo. La distinzione tra sede politica, di governo e quella di un’alleanza militare dovrebbe essere l’abc della politica. Mentre la scelta dell’Europa di entrare direttamente in campo con forniture di armi all’Ucraina le ha inibito un ruolo di protagonista per la pace, per di più ha dovuto autoimporsi inevitabilmente dei limiti di qualità e di quantità, lasciando cadere richieste di No-Fly Zone e di aerei da combattimento, che continuano a venire dall’Ucraina e che Usa, Nato, Europa non possono accettare senza entrare direttamente in collisione militare con la Russia, con tutte le drammatiche conseguenze del caso.

L’invasione russa dell’Ucraina è stata un gravissimo errore, con conseguenze umane insopportabili e distruzioni drammatiche, fino a minare le fondamenta della fiducia e della reciproca comprensione, necessaria per regolare pacificamente i conflitti. Questo ha conseguenze anche sul ruolo internazionale della Russia. Inoltre l’uso delle armi per vincere ad ogni costo diventa sempre più cruento, inaccettabile, orribile.

GINO STRADA DISSE: LA GUERRA COME LE MALATTIE LETALI DEVE ESSERE PREVENUTA: VA ABOLITA.

L’Ucraina ha scelto di resistere, in parte ci è riuscita, ma può pensare di vincere? Nei discorsi di Zelensky c’è qualcosa che va oltre la rivendicazione della fiera battaglia dell’Ucraina e punta, non a caso, a coinvolgere la Nato. Basta ricordare la richiesta della No-Fly Zone o di aerei forniti dalla Nato, che renderebbero concreto il rischio di un conflitto mondiale, oppure la richiesta all’Europa di tagliare di colpo tutti i rifornimenti di gas e petrolio. Biden non ha difficoltà ad aderire al blocco di petrolio e gas della Russia, infatti ha perfino recuperato forniture dal Venezuela, fino a poco tempo fa al bando. L’Europa non è in grado di adottare una misura così drastica e immediata, pagherebbe un prezzo insostenibile, con conseguenze sociali ed economiche insopportabili. Come ha detto Draghi, in passato una politica energetica nazionale miope ha sottovalutato la dipendenza dell’Italia (e dell’Europa) dall’estero, perché le politiche energetiche hanno puntato sui fossili anziché scegliere di investire strategicamente nelle energie rinnovabili. Continuando a investire nelle rinnovabili come nel 2010/2013 oggi, conti alla mano, potremmo fare a meno dei 2/3 del gas russo. Occorrono proposte concrete per farlo da ora e nell’arco di 5/6 anni possiamo arrivare a quel risultato, ma per arrivarci occorre un piano preciso e occorrono risorse, non basta rincorrere il vertiginoso aumento dei prezzi dell’energia che non ha alcun fondamento oggettivo

Quando la dialettica tra entità politiche si presenta nella forma drammatica del conflitto armato è ancora più indispensabile puntare alla sintesi, cioè sulla fine del conflitto armato per impedire che tutto venga inquinato, distorto, che il mondo diventi molto peggio di quello che avevamo prima, per quanto insoddisfacente.

Solo qualche mese fa l’obiettivo era fermare l’alterazione del clima contenendo l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi. Per realizzarlo occorrono distensione, cooperazione. Riprendere il filo sarà dura, ma ci sono alternative che non siano morte e distruzione?

Dopo la fine della guerra fredda, e del patto di Varsavia, il sogno era un mondo aperto, in cui confrontarsi, competere, cooperare. Oggi gli scienziati russi del Cern rischiano di essere fuori dalla ricerca, mentre la cultura è segnata dal ritiro dei dipinti di proprietà russa in mostra in Italia. Davvero vogliamo che dopo questa terribile ed orribile guerra il mondo sia preda della forza, della sopraffazione, dell’isteria?

LA GUERRA NON È LA SOLUZIONE, È IL PROBLEMA.

Non lo è stata nella ex Jugoslavia, le cui conseguenze sono nascoste, ma ben vive, in un “sarcofago”, come Chernobyl. La guerra e la corsa agli armamenti, in particolare nucleari, non risolvono i conflitti armati, li provocano. Ha ragione Francesco, i soldi per le guerre e gli armamenti si trovano sempre, non quelli per affrontare i problemi delle persone: lavoro, equità sociale, che purtroppo sono considerati costi.

Il mondo deve riannodare il filo bruscamente tagliato da Putin, le cui responsabilità non verranno dimenticate. Ma se si tornerà a parlarsi, a confrontarsi, ad aprirsi qualcosa cambierà anche in Russia, come iniziava a cambiare prima che contenimento e isolamento da parte della Nato prendessero il posto delle reciproche garanzie, del necessario reciproco coinvolgimento.

Nel movimento per la pace c’è posto per tutti, per tutte le opinioni sulle responsabilità perché ciò che conta e deve unire è il salto di qualità dell’obiettivo di fondo: sospensione dei combattimenti, trattativa per ristabilire pace – se possibile in sede Onu – e riprendere la cooperazione tra diversi.

Per questo il movimento per la fine della guerra in Ucraina deve crescere e superare la prova di una unità tra diverse posizioni che debbono avere ben chiaro l’obiettivo principale: interrompere i combattimenti, garantire la vita delle persone (tutte), avviare vere trattative di pace, che per definizione hanno bisogno di mediazione e di composizione dei conflitti.
*(Alfiero Grandi)

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