28 marzo 2020 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL ESTERO ED ALTRE COMUNICAZIONI.

00 – La Marca (Pd): ho parlato con il ministro Mendicino per il rientro in Canada degli italo-canadesi che si trovino in Italia. 01 – Ripensare l’economia. Se non ora, Quando?. L’internazionalizzazione di un virus mette a nudo l’inconsistenza, il fai da te, dell’autonomia differenziata regionale.

02 – Il Corona virus impone cambiamenti epocali all’Italia e all’Europa, Alfiero Grandi. Coronavirus, occorre mettere a tema i cambiamenti che occorre fare. La pandemia del corona virus non è risolta.

03 – Schirò (Pd): L’Europa faccia presto e con coraggio. “Vivo da cittadina europea l’attesa di un intervento immediato ed efficace dell’Unione per fronteggiare in modo adeguato l’emergenza sanitaria e le conseguenze sociali ed economiche che essa sta provocando

04 – In tre milioni perdono il lavoro. Per Trump «non è rilevante» Stati uniti. Crollo della occupazione in una sola settimana. E restano fuori dal calcolo gli autonomi e i gig workers. Il presidente Usa: «I media sperano di farmi perdere le elezioni». Ma il consenso è il più alto di sempre

05 – Schirò (Pd): evitare possibili disservizi per il pagamento delle pensioni all’estero Giungono notizie dall’Inps che i pagamenti delle pensioni all’estero non dovrebbero subire ritardi nonostante il fatto che una buona parte dei dipendenti dell’Istituto, sia a livello centrale che periferico, stia lavorando da casa – con il metodo del cosiddetto “smart working” – a causa dell’emergenza coronavirus

06 – SCHIRÒ (PD): significativo atto di amicizia e di solidarietà della Germania verso l’Italia nella cura dei pazienti da coronavirus,

07 – SCHIRÒ (PD): LE AGEVOLAZIONI FISCALI PER I RIMPATRIATI NEL MODELLO REDDITI PF 2020. Nonostante la grave emergenza sanitaria di questi giorni, ritengo utile e opportuno continuare informare sulle questioni che attengono ai diritti e ai doveri del mondo dell’emigrazione e delle nuove mobilità.

08 – Si salvi (solo) chi può. L’arrivo del coronavirus a Città del Messico. Italia-Mexico. Il rischio pandemia approda in un paese rassegnato, sfiduciato, disuguale. Dove ci sono già il dengue, il narco, la violenza, i femminicidi, i sequestri, i terremoti, le inondazioni. Si cerca di arrivare vivi – e soprattutto vive – a casa a fine giornata. «Cosa ci può fare un virus».

09 – The New York Times .L’Italia, nuovo epicentro della pandemia, ha lezioni per il mondo. L’esempio italiano dimostra che le misure per isolare le aree colpite e limitare gli spostamenti della popolazione devono essere adottate immediatamente, messe in atto con assoluta chiarezza e fatte rispettare rigorosamente.

10 – PINOCCHIO un vero rivoluzionario. Esistono vari piani di lettura della storia del burattino più famoso al mondo.

11 – Lanzavecchia: «Nel nostro laboratorio non c’erano neanche pipistrelli». L’esperimento. Lo scienziato italiano, anche lui nella ricerca del 2015, smonta la bufala twittata da Salvini sul virus creato in vitro dai cinesi.

 

00 – LA MARCA (PD): HO PARLATO CON IL MINISTRO MENDICINO PER IL RIENTRO IN CANADA DEGLI ITALO-CANADESI CHE SI TROVINO IN ITALIA. “Ho parlato direttamente, su mia richiesta, con il Ministro canadese per l’immigrazione, dei rifugiati e della cittadinanza, On. Marco Mendicino, per esortarlo a considerare l’esigenza di favorire il rientro in Canada dei cittadini che si trovino all’estero e, in particolare, degli italo-canadesi che sono restati bloccati in Italia per le disposizioni precauzionali assunte in questi giorni. A seguito di sollecitazioni che mi erano pervenute nei giorni scorsi, avevo scritto direttamente al Ministro Mendicino per sensibilizzarlo alle questioni che con comprensibile allarme mi erano state poste. Il Ministro Mendicino, nel corso del nostro colloquio telefonico, ha avuto modo di confermarmi che il Canada, a sua volta toccato dall’epidemia che scuote il pianeta, ha posto un filtro per i voli in ingresso sul proprio territorio, ma che nessuna limitazione esiste per i cittadini canadesi, ovviamente anche se dotati di doppia cittadinanza. A condizione, tuttavia, che al momento dell’arrivo siano asintomatici. Per quanti rientreranno in queste ore, poi, vige l’obbligo di mettersi in quarantena per 14 giorni, al fine di garantire tutti da possibili, anche se involontari, contagi e di salvaguardare la loro stessa salute. Il Ministro, inoltre, mi ha chiesto di far presente agli interlocutori interessati al rientro di potersi mettere direttamente in contatto con il servizio di emergenza che lo stesso Governo canadese ha predisposto, chiamando al numero +1 613 996 8885 (EMAIL: sos@international.gc.ca ) e registrandosi alla pagina travel.gc.ca/register E’ bene che gli interessati richiedano direttamente al servizio di emergenza canadese notizie precise circa l’eventuale rimborso dei nuovi biglietti aerei fatti per sostituire quelli annullati per la cancellazione dei voli precedenti. In ogni caso, resto a disposizione di quanti vogliano informarmi di situazioni particolari per le quali in questo drammatico momento pensino di avere bisogno di aiuto. Coraggio, insieme ce la faremo!”

 

01 – RIPENSARE L’ECONOMIA. SE NON ORA, QUANDO?. L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DI UN VIRUS METTE A NUDO L’INCONSISTENZA, IL FAI DA TE, DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA REGIONALE. L’EMERGENZA SANITARIA E SOCIALE IMPONE A LAVORATORI E SINDACATI DI PRETENDERE UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO. PER CONTRIBUIRE A SALVAGUARDARE IL BENESSERE DELLA COLLETTIVITÀ E L’AMBIENTE. E METTERE IN SOFFITTA, UNA VOLTA PER TUTTE, LE “RICETTE” LIBERISTE E LE DISCRIMINAZIONE. Siamo in una vera emergenza sanitaria globale che investe il nostro Paese e il mondo intero. Uno shock che investe le popolazioni, che disorienta e spaventa le persone mettendo a nudo fragilità personali e collettive, che colpisce sistemi economici internazionalizzati accelerando tendenze già in atto. Pandemia di coronavirus e scontro sul prezzo del petrolio ridisegneranno un mondo dove la Cina avrà un ruolo sempre più decisivo. Dell’Europa e dell’Italia il rischio è che se ne perdano anche le tracce. Occorre cambiare in profondità il modello di sviluppo economico e sociale, preparare e costruire modelli alternativi, indicare strumenti che orientino la futura ripresa nella direzione della salvaguardia del pianeta e del benessere sociale della collettività. Trasformando il nostro sistema economico in senso ecologico, mettendo al centro delle politiche la prevenzione e la riduzione dei rischi sanitari, rispondendo alle conseguenze derivanti dalla crisi climatica e di un sistema capitalistico rapace e distruttivo. Rompendo i demenziali trattati europei dell’austerità, recuperando tutte le risorse economiche necessarie. Non in maniera occasionale ma in modo strutturale: non come elargizione ma come premessa per politiche economiche e sociali altre ed alternative. Allargando il perimetro pubblico, a partire dalla sanità: più risorse, più personale, più ridondanza dei sistemi in modo da poter far fronte alle emergenze. Con misure drastiche di prelievo sulla rendita fondiaria e finanziaria, che senza provvedimenti efficaci cresceranno ancora nel nostro Paese, con un ulteriore restringimento della base produttiva e allargamento delle già grandi diseguaglianze. Nuovi e rinnovati interventi e proprietà pubbliche nell’economia si impongono per riconquistare una sovranità popolare solidale: non con le frontiere blindate a chi fugge guerra e miseria, ma con la possibilità di decidere della propria politica economica e sociale nell’ambito di un mondo ormai interdipendente. Non con la comunità di sangue invocata dai nazionalisti xenofobi, ma con la solidarietà di classe, interloquendo con quel poco che resta di borghesia manifatturiera, nel rispetto delle dialogo e del conflitto sociale. Il sindacato non deve annichilirsi in un presunto patto dei produttori a perdere. Non ne usciremo come ci siamo entrati: molto dipenderà dalla nostra capacità di iniziativa e di proposta. Per costruire un sistema nuovo e alternativo dal punto di vista economico, sociale e ambientale, senza asservimento alle multinazionali, alla finanza e al mercato. Smettendo di affossare il bene comune e lo Stato sociale. Smettendo di ridurre il cittadino-lavoratore a mero consumatore. Cosi come dovremmo ripensare al ruolo e alla divisione delle competenze tra Stato centrale e Regioni, tra Nazione e Unione europea, tra Europa e istituzioni globali. L’internazionalizzazione di un virus mette a nudo l’inconsistenza, il fai da te del regionalismo, dell’autonomia differenziata. Non c’è adeguata difesa e prevenzione dinanzi a un’epidemia globale se non si hanno politiche sanitarie e protocolli universali. Questa emergenza esalta le nostre eccellenze sanitarie, la conquista della sanità pubblica universale, ma mette a nudo anche la nostra impreparazione a questa epidemia. Ci mette davanti alla gravità dei tagli imposti dalle spending review negli ultimi decenni, il blocco del turn over, la carenza dei medici e degli infermieri che, come aveva previsto l’Oms, ha reso debole la resistenza delle nostre società agli eventi come epidemie e disastri naturali. La protezione civile per settimane ha avuto difficoltà a trovare e fornire a medici e infermieri mascherine, guanti e camici adeguati. Un Paese di 60 milioni di abitanti ha solo poco più di 5 mila posti di terapia intensiva, mancano 50mila medici e altrettanti infermieri, sono stati tagliati ospedali e posti letto, la ricerca è stata mortificata e ora la popolazione ne paga le conseguenze. Non il mercato finanziario ma il finanziamento della salute pubblica garantisce crescita economica, benessere e prosperità sociale. L’epidemia di coronavirus ci impone un’assunzione di responsabilità individuale e collettiva per bloccare l’espandersi del virus. Occorre difendersi individualmente e collettivamente seguendo le indicazioni della scienza e del governo per interrompere la propagazione del virus e non far saltare il sistema sanitario messo a dura prova, e che per ora regge grazie al lavoro e all’abnegazione dei medici, degli infermieri, del personale non sanitario, dei lavoratori degli appalti e delle cooperative. Stare tutte e tutti a casa significa sostanzialmente stare nella propria abitazione se non si è impegnati in servizi essenziali per la salute pubblica e cambiare abitudini e comportamenti che permettano di non far collassare il sistema sanitario per il numero di pazienti che avranno bisogno di cure lunghe e importanti. Tali misure devono andare di pari passo con il blocco degli sfratti e dei licenziamenti, la immediata soluzione dell’annoso problema del sovraffollamento delle carceri, la garanzia di sicurezza e continuità di reddito a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori indipendentemente dalla tipologia contrattuale, dipendente o autonoma, ma economicamente dipendente. Occorre infatti prendersi cura di tutti i cittadini, dei lavoratori e delle lavoratrici a partire dai luoghi di lavoro, rispetto ai quali è necessario garantire le più strette norme di sicurezza, arrivando anche alla sospensione programmata delle attività produttive, garantendo salari e stipendi dei lavoratori. PRIMO VIVERE, DOPO PRODURRE. Non ci si salva affidandosi a Confindustria: noi stiamo con i lavoratori e le lavoratrici che scioperano perché impegnati in produzioni non essenziali per la salute e sicurezza della collettività in condizioni nelle quali non viene garantita la loro, di sicurezza ed incolumità. Tutto ciò senza distogliere lo sguardo dalle emergenze umanitarie che non sono altra cosa da quella sanitaria. Alle nostre porte oltre un milione di persone fuggono dalla guerra siriana, molti stanno morendo tra stenti e gelo. Una disumanità intollerabile. Non siamo i soli a soffrire, ad affrontare gravi difficoltà: non ci salveremo da soli. RISPETTIAMO LE DISTANZE FISICHE MA RIMANIAMO SOCIALMENTE E CULTURALMENTE UNITI E UMANI. Gli autori. Maurizio Brotini e Giacinto Botti sono membri del direttivo nazionale della Cgil

 

02 – IL CORONA VIRUS IMPONE CAMBIAMENTI EPOCALI ALL’ITALIA E ALL’EUROPA, ALFIERO GRANDI. CORONAVIRUS, OCCORRE METTERE A TEMA I CAMBIAMENTI CHE OCCORRE FARE. LA PANDEMIA DEL CORONA VIRUS NON È RISOLTA. Va bene scrutare i dati per scorgere un miglioramento, purtroppo l’Italia resta il paese europeo più colpito, seguito dalla Spagna. Attenzione e risorse vanno concentrate sull’obiettivo di sconfiggere questo nemico che sta mettendo a durissima prova il nostro paese. La vita è la priorità assoluta, tuttavia le misure per fermare la diffusione del virus portano danni serissimi all’economia, con conseguenze sulle imprese, sull’occupazione, sui redditi. Difficile per ora una stima precisa delle risorse necessarie per rimettere in piedi l’Italia, ci vorranno tanti soldi. Pensiamo al decreto Cura Italia, in conversione alle Camere. All’inizio si parlò di 3,6 miliardi di euro usando la flessibilità concessa dalla Commissione, poi ci si è resi conto che l’emergenza ha bisogno di ben altre risorse e il finanziamento è cresciuto a 12 poi a 17 miliardi, questo è il finanziamento del decreto entrato nel Consiglio dei Ministri, all’uscita erano diventati 25. E non è finita qui, a dimostrazione che il costo dell’emergenza sanitaria è enorme e la ripresa avrà bisogno di risorse ingenti. È preoccupante che parte delle istituzioni europee siano incapaci di comprendere la gravità della situazione, mettendo a rischio la tenuta stessa dell’Unione. La signora Lagarde, presidente della Bce, ha fatto dichiarazioni che hanno fatto crollare le borse per oltre 800 miliardi di euro e schizzare gli interessi sul debito pubblico dell’Italia e dei paesi più esposti verso l’alto. La dura reazione che ne è seguita ha costretto la Bce a cambiare posizione e ad intervenire, recuperando in parte l’errore commesso, predisponendo interventi di oltre 750 miliardi, immettendo liquidità, con interventi su titoli pubblici e privati, fino ad adottare una linea simile alla Federal Reserve Usa, che ha promesso interventi senza limiti per sostenere l’economia americana. La Commissione Europea ha deciso di sospendere le clausole di austerità ed espresso posizioni ispirate allo spirito europeo, ma ha risorse proprie limitate. Certo potrebbe contribuire ad usare la Banca Europea degli Investimenti per sorreggere la ripresa produttiva e gli investimenti, dopo lo tsunami corona virus. Mario Draghi ha lanciato un forte monito invitando l’Europa a comprendere la gravità del momento e ha posto alcune questioni di fondo: agire con rapidità; evidenziare il rischio non solo di una recessione economica – che potrebbe essere temporanea – ma di una depressione vera e propria, come è avvenuto dopo guerre, o crisi come quella del 29 negli Usa, descritta magistralmente da Steinbeck in Furore; accantonare gli attuali parametri di bilancio per potere usare tutte le risorse finanziarie dello stato necessarie per sostenere l’economia ed evitare l’avvitamento della crisi. Draghi parla esplicitamente di intervento dello stato, la sinistra dovrebbe prendere appunti. Del resto in una situazione eccezionale le misure non possono che essere eccezionali. Purtroppo malgrado l’articolo di Draghi sul FT, il Consiglio europeo (i governi), il giorno dopo, non è stato all’altezza della gravità della situazione. Si sapeva da tempo che c’erano due linee antitetiche nel Consiglio europeo. Quella rigorista ha bloccato gli eurobonds, titoli legati all’emergenza corona virus, altre misure innovative e un eventuale utilizzo del Fondo salvastati senza condizioni. È curioso che contemporaneamente si sia aperta la trattativa per l’adesione di due stati balcanici quando l’Unione non riesce ad affrontare questa crisi. La dura dichiarazione di Conte alla riunione del Consiglio europeo di giovedì 26 marzo è forte e corregge la precedente sottovalutazione del nodo politico delle resistenza da superare. Appare come uno strappo. Del resto in gioco c’è l’Europa, perché se in un momento di grave crisi sanitaria ed economica, per ora distribuita in modo non uniforme nei diversi paesi, non scatta un meccanismo di solidarietà e di reciproco sostegno va in crisi l’idea stessa di Unione Europea. Se la situazione non si sblocca l’intervento della Bce rimarrebbe forte ma limitato all’obiettivo di superare una fase difficile, i singoli stati dovranno risolversi per conto proprio il reperimento delle risorse per sostenere l’economia. L’idea stessa di Europa subirebbe un contraccolpo tremendo con esiti imprevedibili, comunque gravi. È sperabile che l’altolà di Conte, condiviso da altri 7 paesi, arrivi ai risultati sperati. In caso contrario il piuttosto “faremo da soli” deve diventare realtà. Conviene pensarci seriamente, da subito. L’Italia non può e non deve farsi commissariare dalla trojka, come è accaduto alla Grecia, lasciata purtroppo sola di fronte al rigorismo ad ogni costo. In Italia ci sono impazzimenti. Leader sperimentati si lanciano in richieste di decine di miliardi senza chiarire dove vanno presi. Non basta scriverli in una legge, occorre avere le risorse necessarie per evitare una drammatica crisi finanziaria. PER QUESTO OCCORRE METTERE A TEMA I CAMBIAMENTI CHE OCCORRE FARE. Non è più tempo di lasciare alla spontaneità, ad interessi di corto respiro le decisioni sui settori produttivi, sulla ricerca. Ci sono produzioni che debbono restare o tornare in Italia, perché sono strategiche, molto più delle armi. Alcune sono perfino ovvie. Per questo occorre una cabina di regia, un tempo si sarebbe chiamato Ministero per la programmazione, che guidi la riconversione e gli investimenti, garantisca l’occupazione anche attraverso i mutamenti nelle competenze. Ha ragione Draghi: il presupposto è che lo Stato deve sostenere fino in fondo il settore privato e deve organizzare una risposta corale del paese. Altrimenti i rigoristi si convinceranno che sono minacce a vuoto. Le spese non sono tutte uguali. La Francia ha deciso il ritiro dei militari dall’Iraq, gli Usa di ritirarsi dall’Afghanistan, l’Italia cosa aspetta a rivedere il quadro dei suoi impegni militari internazionali e interrompere l’acquisto degli F35 e di altri armamenti? In questo momento non ce li possiamo permettere, punto. Le truppe e i blindati della Nato che scorrazzano per l’Europa devastata dal corona virus lasciano attoniti. Occorre sostenere i redditi delle persone, aiutare il settore privato, aiutare innovazioni importanti, la ricerca, per questo occorrono risorse ingenti. La banche ad esempio debbono fare arrivare liquidità ai privati, senza incappare nei vincoli della vigilanza europea sugli Npl, solo così i finanziamenti della Bce possono arrivare a famiglie ed imprese. Qualcosa si è allentato ma il meccanismo identificato per le banche assomiglia troppo al Fondo salvastati. I crediti inesigibili non vengono conteggiati immediatamente ma restano ben visibili e prima o poi peseranno sui parametri e sui bilanci della banche. La vigilanza europea non è in contraddizione con politiche nazionali sulle ristrutturazioni bancarie, con clausole come la golden share da esercitare anche sulla composizione azionaria, come la Francia ha preteso sui cantieri, e con garanzie che incoraggino/obblighino le banche a dare credito ai privati a tassi molto favorevoli, sperimentando mutui di lungo periodo senza costi. Del resto se le garanzie sui conti correnti sono tuttora nazionali vorrà pur dire qualcosa. Anche sulle entrate c’è spazio per compattare il paese. Non si tratta solo della storica lotta all’evasione che si riproporrà con forza se il sostegno alla ripresa darà risultati. Recentemente Valerio Onida ha riproposto la tassazione delle rendite finanziarie e una tassazione straordinaria sui redditi alti e sui grandi patrimoni che potrebbero liberare risorse per la ripresa, non si può che essere d’accordo. Potrebbe essere utile creare una banca ad hoc per la ripresa con emissioni garantite dallo Stato, una sorta di Banca nazionale per gli investimenti che potrebbe ricorrere direttamente alla Bce, come fanno le case automobilistiche, per ottenere prestiti a lunghissimo termine, come ha proposto anche Mario Monti, con interessi pressochè nulli. Ci si potrebbe rivolgere a quanti hanno una disponibilità finanziaria con proposte in grado di attrarre capitali e risparmio delle persone, per recuperare le risorse necessarie, che verranno restituite a lungo termine. Per scelte di questo tipo occorrono coraggio e chiarezza. Non credo che Draghi si farà coinvolgere da proposte strumentali che hanno il solo scopo di azzerare il quadro politico, ha già svolto un ruolo nazionale ponendo il problema di fondo di questa ora grave per l’Italia, continuerà. Ora occorre decidere le scelte da fare, se gli Stati europei non riusciranno a farsi carico in comune dell’uscita da questa crisi senza precedenti si apriranno scenari imprevedibili e la rinuncia a strumenti come il Mes, meglio tardi che mai, resta comunque una scelta molto impegnativa. Molti non sanno che i prestiti del Mes andrebbero restituiti perfino in caso di uscita dall’Euro, sono debiti super privilegiati. Se “il faremo da soli” non è una battuta ad effetto, bisogna prepararsi a gestire un dissenso grave nell’Unione Europea, rivolgendosi al paese con un discorso chiaro e forte, in vista di una strada difficile ma necessaria, cambiando tutto, o quasi. L’emergenza sanitaria ha dimostrato che la maggioranza delle persone è in grado di comprendere la gravità del momento, perché non dovrebbe comprendere che occorre uscire insieme dalla crisi economica che sta provocando.

 

03 – SCHIRÒ (PD): L’EUROPA FACCIA PRESTO E CON CORAGGIO. “VIVO DA CITTADINA EUROPEA L’ATTESA DI UN INTERVENTO IMMEDIATO ED EFFICACE DELL’UNIONE PER FRONTEGGIARE IN MODO ADEGUATO L’EMERGENZA SANITARIA E LE CONSEGUENZE SOCIALI ED ECONOMICHE CHE ESSA STA PROVOCANDO. Vivo da italo-tedesca, con qualche amarezza che non voglio nascondere, la diversità di orientamento dei due Paesi, quello in cui sono nata e l’altro di cui sono parlamentare, in merito alle soluzioni che ognuno di essi ha avanzato nel Consiglio europeo che si è svolto da poche ore. Anche io penso che è arrivato il momento che l’Europa si metta finalmente in gioco in prima persona e che sia in grado di superare tentazioni isolazionistiche e remore nazionalistiche per ragionare con una sola testa e operare con un solo corpo. Se non lo fa con scelte ed atteggiamenti inequivoci di fronte a necessità tanto drammatiche, l’Europa, rischia di mettere seriamente in discussione il suo futuro comune. Spero, dunque, che i governi dei Paesi europei si rendano conto che le due settimane di tempo che si sono date servano non per diplomatizzare un dissenso, ma per costruire una soluzione condivisa nel più breve tempo possibile. Come cittadina europea auspico che allo sforzo per contrastare la diffusione del virus, si accompagni già da oggi, prioritariamente, lo sforzo a sostenere coloro che hanno perso o perderanno il lavoro e il reddito, le piccole imprese, spesso di natura familiare, che hanno una capacità di resistenza molto ridotta, e in particolare, i precari e i tanti che non hanno avuto il tempo o la possibilità di regolarizzare la loro posizione e che rischiano di ritrovarsi senza alcuna forma di tutela”. Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Dep

 

04 – IN TRE MILIONI PERDONO IL LAVORO. PER TRUMP «NON È RILEVANTE» STATI UNITI. CROLLO DELLA OCCUPAZIONE IN UNA SOLA SETTIMANA. E RESTANO FUORI DAL CALCOLO GLI AUTONOMI E I GIG WORKERS. IL PRESIDENTE USA: «I MEDIA SPERANO DI FARMI PERDERE LE ELEZIONI». MA IL CONSENSO È IL PIÙ ALTO DI SEMPRE di Marina Catucci NEW YORK La crisi economica che sta investendo gli Stati uniti è forse la più aggressiva dai tempi della seconda guerra mondiale. Ieri un rapporto del Dipartimento del Lavoro ha mostrato un aumento senza precedenti delle domande di sussidi di disoccupazione, passati da 282mila a quasi 3,3 milioni in una sola settimana. Molti economisti affermano che la recessione causata dall’emergenza coronavirus sia già iniziata e che si sia solo all’inizio di un massiccio aumento della disoccupazione che potrebbe portare oltre 40 milioni di americani a perdere il lavoro entro aprile. Il rapporto comprende le domande presentate dal 15 al 21 marzo, con i licenziamenti saliti alle stelle lunedì 16 marzo dopo la dichiarazione di Trump riguardo gli assembramenti di non più di dieci persone che ha costretto alla chiusura di ristoranti, bar e altri luoghi pubblici. Gli economisti prevedono per questa settimana un’altra ondata di oltre un milione di nuove richieste di sussidi. Il numero reale di disoccupati è probabilmente ben più alto di 3,3 milioni: molti lavoratori non hanno i requisiti necessari per richiedere la disoccupazione, come gli autonomi, i cosiddetti gig workers, le persone che l’anno scorso abitavano in uno Stato diverso o gli impiegati da meno di sei mesi. La Casa bianca ha reagito, ancora una volta, minimizzando: il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha definito il dato «non rilevante» e ha rimandato al piano da 2mila miliardi di dollari in aiuti all’economia approvato dal Senato. «L’economia Usa è in salute e tornerà in salute», ha detto Mnuchin riferendosi a una crescita del pil americano del 2,1% nel quarto trimestre e al pacchetto di sussidi economici approvati dal Senato per aiutare cittadini e imprese grandi e piccole. L’aplomb dalla Casa bianca sembra più ostentato che reale. Prima del rilascio del comunicato del Dipartimento del Lavoro, l’amministrazione Trump aveva fatto molte pressioni sui singoli Stati affinché non rilasciassero le cifre giornaliere sull’impennata della disoccupazione così da non spaventare mercati e opinione pubblica. Da giorni The Donald continua a ripetere, nonostante il parere contrario degli esperti, che questa diavoleria del lockdown deve finire il prima possibile, possibilmente per Pasqua, perché l’economia deve riprendere. Su Twitter ha scritto: «I lamentosi media sono la forza principale del tentativo di convincermi a tenere chiuso il nostro paese il più a lungo possibile nella speranza che ciò pregiudichi il mio successo elettorale. Le persone reali vogliono tornare al lavoro al più presto. Saremo più forti che mai!». Il timore di una recessione epocale proprio pochi mesi prima delle elezioni è ben presente nelle affermazioni di Trump che al momento, secondo Gallup, gode del più alto gradimento mai avuto dall’insediamento della sua presidenza nel 2017, pari al 49%. Il dato è per molti versi sorprendente, se si pensa a quanto possono essere aspri i giudizi di chi critica Trump. La critica maggiore che gli viene mossa è l’incredibile flusso di bugie con cui inonda le sue quotidiane conferenze stampa, al punto che la stazione radiofonica NPR, National Public Radio, di Seattle, ha smesso di mandarle in onda in quanto divulgano «informazioni fuorvianti e pericolose». A causa di una falsa affermazione di Trump riguardo l’efficacia di un farmaco da banco per la malaria a base di clorochina fosfata, a detta del tycoon utile per il trattamento e la prevenzione del Covid-19, si sono registrati molti casi di avvelenamento da questo farmaco. Una coppia di coniugi sessantenni è morta dopo averlo assunto.

 

05 – SCHIRÒ (PD): EVITARE POSSIBILI DISSERVIZI PER IL PAGAMENTO DELLE PENSIONI ALL’ESTERO GIUNGONO NOTIZIE DALL’INPS CHE I PAGAMENTI DELLE PENSIONI ALL’ESTERO NON DOVREBBERO SUBIRE RITARDI NONOSTANTE IL FATTO CHE UNA BUONA PARTE DEI DIPENDENTI DELL’ISTITUTO, SIA A LIVELLO CENTRALE CHE PERIFERICO, STIA LAVORANDO DA CASA – CON IL METODO DEL COSIDDETTO “SMARTWORKING” – A CAUSA DELL’EMERGENZA CORONAVIRUS, 26 MARZO 2020 Pur tuttavia mi è stato segnalato che a causa dei possibili disservizi postali in tutto il mondo, coloro i quali hanno scelto di riscuotere il rateo pensionistico tramite assegno postale (e che rappresentano poco meno del 10% dei pensionati all’estero) potrebbero avere problemi nella riscossione della pensione a seconda ovviamente della funzionalità del sistema postale del Paese ove risiedono. Mi attiverò per monitorare la situazione. Nell’anno 2019 le pensioni dell’Inps pagate all’estero sono state 331.220, in calo del 12% rispetto al 2015 e per un totale di € 1.251.822.665. Ricordo che per il pagamento delle pensioni all’estero, l’INPS si avvale di una banca che viene individuata a seguito dello svolgimento di una gara ad evidenza comunitaria, nel rispetto della normativa italiana ed europea in materia di appalti pubblici. Dal 1° febbraio 2012, il servizio di pagamento è affidato a Citibank N.A. L’Inps informa che il pensionato residente all’estero può chiedere il pagamento: – nel Paese estero di residenza, con accredito su conto corrente bancario o allo sportello; – in un Paese estero diverso da quello di residenza, tramite accredito su conto corrente bancario; – in Italia, con accredito su conto corrente bancario o allo sportello tramite delegato. In alcuni casi l’INPS può autorizzare la banca all’emissione e spedizione di un assegno di deposito non trasferibile. Il pagamento attraverso la spedizione di assegno risulta comunque in via di eliminazione. I pagamenti, attualmente, sono eseguiti per la maggior parte con cadenza mensile. Fanno eccezione le pensioni di modico importo, che vengono pagate annualmente o semestralmente. Il pensionato all’estero può aprire un conto corrente presso qualunque banca nel proprio paese di residenza e comunicarne i dati alla sede INPS che gestisce la sua pensione e alla banca che gestisce i pagamenti, al fine di avere l’accredito diretto delle proprie mensilità. Se viene richiesto di effettuare il pagamento in un paese facente parte dell’Unione europea, devono essere resi noti i codici IBAN e BIC del conto corrente. Per i pagamenti da effettuarsi al di fuori dell’ambito UE, devono essere comunicate le coordinate bancarie complete in uso nel Paese interessato. Il pensionato può riscuotere la pensione in contanti allo sportello presso i partner locali della banca che gestisce i pagamenti. Nella maggior parte dei Paesi, il pagamento viene localizzato presso agenzie Western Union. Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – – Camera dei Deputati

 

06 – SCHIRÒ (PD): SIGNIFICATIVO ATTO DI AMICIZIA E DI SOLIDARIETÀ DELLA GERMANIA VERSO L’ITALIA NELLA CURA DEI PAZIENTI DA CORONAVIRUS, 25 MARZO 2020 “Otto pazienti italiani, contagiati dal Coronavirus, sono atterrati in Sassonia per essere curati in Germania ed è molto probabile che a breve altri dieci saranno ospitati in Nordreno-Westfalia e altri ancora in Baviera e nel Baden-Wuerttemberg. Al di là dei numeri, questi atti di solidarietà e di partecipazione sono di grande valore e importanza, tanto più perché provenienti da un Paese che a sua volta è alle prese con una fase espansiva dell’epidemia. Il valore è nel senso di solidarietà che un Paese importante come la Germania dimostra nel momento in cui si manifesta un’inclinazione emotiva, irresponsabilmente alimentata dal propagandismo nazionalistico, alla chiusura e all’isolamento. L’importanza è nel tentativo di recuperare dal basso uno spirito europeistico che nel recente passato si è molto logorato per le spinte sovraniste e per gli egoismi delle cancellerie e che senza un coraggioso atto di comune responsabilità degli organismi dell’UE e delle forze europeistiche rischia di essere travolto dall’emergenza non solo sanitaria indotta dalla pandemia. Già il Presidente Mattarella, nel messaggio indirizzato al Presidente Steinmeier, ha autorevolmente interpretato questo atteggiamento “come segno della profonda amicizia che lega i nostri Paesi” e come espressione di solidarietà europeistica. Di amicizia e solidarietà, in effetti, abbiamo un grande bisogno oggi per fare quadrato contro la minaccia più immediata portata alla salute e alla vita delle persone e ne avremo un bisogno non minore quando si tratterà di fronteggiare le pesanti conseguenze della pandemia sul piano economico e sociale. Ma un passo alla volta. Quelli compiuti oggi da alcuni Land tedeschi vanno nella giusta direzione. E come italo-tedesca desidero esprimere la mia soddisfazione e la mia gratitudine”. Angela Schirò Deputata PD – Rip. Europa –

 

07 – SCHIRÒ (PD): LE AGEVOLAZIONI FISCALI PER I RIMPATRIATI NEL MODELLO REDDITI PF 2020. NONOSTANTE LA GRAVE EMERGENZA SANITARIA DI QUESTI GIORNI, RITENGO UTILE E OPPORTUNO CONTINUARE INFORMARE SULLE QUESTIONI CHE ATTENGONO AI DIRITTI E AI DOVERI DEL MONDO DELL’EMIGRAZIONE E DELLE NUOVE MOBILITÀ. 24 MARZO 2020 In questa nota ricordo che le detassazioni previste per i lavoratori che trasferiscono la loro residenza in Italia dall’estero sono state rese operative, nelle percentuali stabilite dalla legge, nel modello Redditi Persone Fisiche 2020 con l’introduzione di specifici codici, da inserire nei vari quadri del modello, per il lavoro dipendente, quello d’autonomo e quello di impresa. Gli incrementi delle agevolazioni si applicano ai soggetti che acquisiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d’imposta 2020. Tuttavia si ricorda che il Decreto Fiscale (Dl n. 124/2019) collegato alla legge di Bilancio per il 2020, ha anticipato le agevolazioni per i soggetti che hanno trasferito la residenza in Italia successivamente al 30 aprile 2019, ossia alla data di emanazione del “Decreto Crescita”. Per i lavoratori dipendenti nei casi ordinari il beneficio è riconosciuto direttamente dal datore di lavoro, previa presentazione della domanda. Pertanto, il beneficio potrà essere richiesto direttamente nella dichiarazione dei redditi esclusivamente nell’ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia potuto o voluto riconoscere l’agevolazione, in presenza dei requisiti previsti dalla legge. Quindi a partire dalle date suindicate, nel periodo d’imposta in cui la residenza è trasferita e nei successivi quattro, i redditi di lavoro dipendente (o ad esso assimilato) e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% dell’ammontare (in precedenza era il 50%) ovvero al 10% se si trasferisce la residenza in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia (sono state inoltre introdotte maggiori agevolazioni riguardo alla durata che aumenta fino ad ulteriori 5 anni in presenza di particolari condizioni: numero di figli minorenni, acquisto unità immobiliare di tipo residenziale, trasferimento residenza in regioni del Sud). Affinché il regime di favore sia applicabile, per i trasferimenti di residenza avvenuti a decorrere dal 30 aprile 2019 devono sussistere due sole condizioni: 1) il lavoratore non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento e si impegna a risiedervi per almeno due anni; 2) l’attività lavorativa sia svolta prevalentemente nel territorio italiano. Giova ricordare che possono accedere al regime agevolato anche i cittadini italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) purché, nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento, abbiano risieduto in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni fiscali. Segnalo qui di seguito quali sono i codici previsti solo per i lavoratori dipendenti (per ovvie ragioni di spazio e ricordando comunque che i codici sono diversi per i lavoratori autonomi e per il reddito di impresa): in particolare nel riquadro RC, nella casella “Casi particolari”, i codici per i lavoratori dipendenti impatriati sono: – il codice 4 per i lavoratori impatriati che sono rientrati in Italia dall’estero fino al 29 aprile 2019 per i quali i redditi di lavoro dipendente concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento; – il codice 6 per i lavoratori impatriati che sono rientrati in Italia dall’estero a decorrere dal 30 aprile 2019 per i quali i redditi di lavoro dipendente concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 30 per cento; – il codice 8 per i lavoratori impatriati che sono rientrati in Italia dall’estero a decorrere dal 30 aprile 2019 e che hanno trasferito la residenza in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia. In tal caso, i redditi di lavoro dipendente concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 10 per cento; – il codice 9 per i lavoratori impatriati che sono rientrati in Italia dall’estero a decorrere a decorrere dal 30 aprile 2019 e in possesso della qualifica di sportivo professionista. In tal caso il reddito da lavoro dipendente e i redditi assimilati concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento.

 

08 – SI SALVI (SOLO) CHI PUÒ. L’ARRIVO DEL CORONAVIRUS A CITTÀ DEL MESSICO. ITALIA-MEXICO. IL RISCHIO PANDEMIA APPRODA IN UN PAESE RASSEGNATO, SFIDUCIATO, DISUGUALE. DOVE CI SONO GIÀ IL DENGUE, IL NARCO, LA VIOLENZA, I FEMMINICIDI, I SEQUESTRI, I TERREMOTI, LE INONDAZIONI. SI CERCA DI ARRIVARE VIVI – E SOPRATTUTTO VIVE – A CASA A FINE GIORNATA. «COSA CI PUÒ FARE UN VIRUS». In Messico sentiamo arrivare la ola del contagio e sembra di vedere due volte lo stesso film. La scorsa settimana un’amica dall’Italia mi ha avvertito della gravità della situazione e dell’importanza di iniziare ad adottare misure preventive anche qui. Un messaggio molto simile le era arrivato due settimane prima dalla Cina. Allora le era sembrato esagerato, così come lo è sembrato inizialmente anche a me. «Pensi di restare in Messico? Ti senti sicura a stare lì durante la pandemia?». Queste domande hanno innescato un principio di realtà che pochi avevano una settimana fa tra colleghi e conoscenti a Città del Messico. «Il coronavirus presto arriverà qui». Nel giro di poche ore è iniziata una fase di doloroso spaesamento. Nei social degli italiani in Messico si alternano notizie sulle centinaia di morti giornaliere nel nostro Paese a meme che dipingono il nuovo virus come un problema esclusivo dei ricchi europei o delle classi alte messicane che possono permettersi viaggi in Europa. In alcune pagine Facebook compaiono commenti che hanno una gran presa sulle masse piene di risentimento sociale nei confronti del Vecchio Mondo, luogo di antichi saccheggiatori, assassini, da sempre vettori di malattie mortali. «Adesso che l’Europa è debole, è il momento di andarci a riprendere tutto l’oro che ci hanno rubato». «Il virus non attacca i prietos (termine dispregiativo per denominare le persone dalla pelle scura, usualmente indigeni, nda). Questa volta mi sono salvato». Duole osservare questo volto apparentemente cinico del Messico che si gira dall’altra parte e viene voglia di urlare che siamo tutti umani, che nessuno merita di morire, neanche i tanto odiati “ricchi”. E che siamo interconnessi, se si contagiano i ricchi europei e messicani, non ci vuole niente che il virus contagi tutti gli altri. No. Questi appelli all’uguaglianza non possono funzionare. Non ha senso invocare l’identità dell’essere umano in uno dei Paesi in cui vivono i più poveri e i più ricchi del mondo. In cui più della metà della popolazione lavora nell’economia informale, senza alcun diritto né garanzie. In cui le condizioni lavorative spesso sono pessime e i salari insufficienti. Come sempre, i più vulnerabili pagheranno con la vita il prezzo di una società che, in nome di una crescita economica selvaggia, si è dimenticata delle persone (oltre che della natura). Come eviteranno il contagio gli anziani che, non avendo alcun tipo di pensione, fanno le pulizie sotto la metro o imbustano la spesa nei supermercati? Per le classi privilegiate, il Covid-19 è un virus spaventoso, ma non necessariamente mortale, per gli altri è la fine. La prima reazione a questa fine annunciata è stata il rifiuto, la minimizzazione e la burla. I giorni passano e il governo federale messicano delibera che le scuole chiuderanno due settimane prima della data prevista per le vacanze di Pasqua. C’è chi pensa a dove trascorrere le “vacanze del coronavirus”. Arriva il ponte per il natalizio di Benito Juárez, primo Presidente indigeno del Messico, e gli hotel di Acapulco si riempiono al 90%. Le spiagge sembrano quelle di Rimini ad agosto. Chi resta in città, invece, se ne va al Vive Latino, festival musicale che attrae migliaia di persone. I voli dall’Italia e dal resto d’Europa continuano ad arrivare e non viene applicato alcun tipo di test sui passeggeri. Fino a qualche giorno fa un italiano non poteva incontrare altre persone nella via di casa, ma poteva arrivare in Messico e viaggiare contagiando – chi lo saprà mai – le persone incrociate lungo il cammino. All’inizio di questa settimana qualcuno inizia a dire che forse sarebbe giusto restare a casa. Altri ammoniscono di non idealizzare la quarantena, rispondono che è da privilegiati, che si può fare in Europa, non qui. E poi in Messico ci sono il dengue, il narco, la violenza, i femminicidi, i sequestri, i terremoti, le inondazioni. Si cerca di arrivare vivi – e soprattutto vive – a casa a fine giornata. «Cosa ci può fare un virus». Nel frattempo nel cimitero di Bergamo sono finiti i posti. Viviamo un brutto film in cui le storie si biforcano e i finali saranno prevedibilmente diversi. In Italia chi esce da casa senza una giustificazione rischia la denuncia. Qui chi esce da casa rischia di contagiarsi, ma non può fare altrimenti. Perché le imprese obbligano ad andare a lavoro, che significa trascorrere diverse ore nei mezzi di trasporto in una megalopoli che ormai conta 20 milioni di abitanti. O perché quello che si guadagna basta per sopravvivere e non dà nessuna possibilità di risparmio. Una collega che tre giorni fa scherzava nervosamente sulla faccenda, ieri ha confessato che non sa come disinfettare le giacche del marito che torna dal lavoro e che la sua famiglia continua ad uscire nell’ottica – diffusissima in Messico nei confronti di qualsiasi sciagura – che «se ci tocca, pazienza». Oggi ci invia il contatto di una tanatologa, nel caso dovesse servire. Il virus approda in un Messico rassegnato, sfiduciato, disuguale. Il Presidente Andrés Manuel López Obrador afferma in conferenza stampa che è tutto sotto controllo, il sistema sanitario è preparato e mostra degli amuleti che lo accompagnano. Ma non riesce a convincere neppure se stesso. Il personale dell’Istituto Nazionale delle Malattie Respiratorie (INER) protesta da giorni per la mancanza di un protocollo per affrontare l’emergenza. Si diffondono articoli in cui si mostra che il virus si sta diffondendo molto più lentamente in Messico che in Italia e in Spagna. Tra i commenti di queste pubblicazioni appaiono le prime testimonianze che fanno temere un collasso precoce del sistema sanitario. «Mia madre ha pneumonia da domenica in Morelos e la secretaría de salud non vuole applicarle la prova». «Non ci sono test disponibili per diagnosticare coronavirus negli ospedali pubblici. Mio cognato lavora nel seguro, ho varie amiche infermiere e non ci sono i tamponi, rimandano indietro i possibili casi con un foglio che dice ‘possibile coronavirus’ ad aspettare che peggiorino […]». Tra i corridoi – ormai virtuali – dell’Università Nazionale Autonoma del Messico si mormora che si potrà verificare una grave crisi sociale con violenza annessa. Non mancherà chi non accetterà di interrompere le proprie fragili attività economiche per combattere un virus che, fin dal principio, è stato considerato un problema dell’altro, una montatura per far entrare in crisi il nuovo governo di sinistra – o più a sinistra dell’anteriore -, un’invenzione dei media per distogliere l’attenzione da altri temi urgenti, l’ultima trovata degli Stati uniti per mettere in ginocchio la Cina, etc. Ciò che è chiaro è in Messico non tutti potranno fare il sacrificio di restare a casa. Come in un film distopico, chi potrà isolarsi dalla società, rintanarsi, prima o poi ce la farà. Si salverà (solo) chi potrà.

 

09 – THE NEW YORK TIMES .L’ITALIA, NUOVO EPICENTRO DELLA PANDEMIA, HA LEZIONI PER IL MONDO. L’ESEMPIO ITALIANO DIMOSTRA CHE LE MISURE PER ISOLARE LE AREE COLPITE E LIMITARE GLI SPOSTAMENTI DELLA POPOLAZIONE DEVONO ESSERE ADOTTATE IMMEDIATAMENTE, MESSE IN ATTO CON ASSOLUTA CHIAREZZA E FATTE RISPETTARE RIGOROSAMENTE. ( Nadia Shira Cohen per The New York Times By Jason Horowitz, Emma Bubola and Elisabetta Povoledo) ROMA — Mentre i contagi da coronavirus in Italia raggiungevano i 400 casi e i decessi superavano la decina, il leader del Partito Democratico, al governo, pubblicava una sua foto mentre brindava durante “un aperitivo a Milano”, esortando i suoi concittadini: “non perdiamo le nostre abitudini”. Era il 27 febbraio. Nemmeno 10 giorni dopo, quando il numero dei contagi era salito a 5.883 e quello dei morti a 233, il leader del partito, Nicola Zingaretti, pubblicava un nuovo video, questa volta informando l’Italia che anche lui era stato contagiato dal virus. L’Italia presenta, attualmente, un quadro di quasi 50.000 contagiati e oltre 4.000 decessi, 627 registrati solo lo scorso venerdì. Ha superato la Cina come Paese con il più alto numero di decessi, diventando l’epicentro di una pandemia in continua evoluzione. Il governo ha inviato l’esercito per far rispettare il blocco in Lombardia, la regione al centro dell’epidemia, dove ormai si fatica a trovare posto per i corpi delle vittime. Venerdì notte, le autorità hanno rafforzato le misure restrittive nazionali, chiudendo i parchi e vietando le attività all’aperto, tra cui le passeggiate e il jogging, se non in stretta prossimità della propria abitazione. Sabato sera, il Primo Ministro italiano, Giuseppe Conte, ha annunciato che hanno “deciso di compiere un altro passo,” per rispondere a quella che ha definito come la crisi più difficile che il Paese abbia vissuto dal secondo dopoguerra. Questa volta Conte ha fatto sapere, con un altro discorso notturno, che l’Italia chiuderà tutte le sue fabbriche e attività produttive che non siano assolutamente necessarie, un altro enorme sacrificio per l’economia italiana nel tentativo di contenere il virus, proteggere vite umane e mostrare solidarietà con il personale sanitario in prima linea. “Lo Stato c’è”, ha detto, volendo rassicurare i cittadini. La tragedia che l’Italia sta vivendo rappresenta un monito per gli altri Paesi europei e per gli Stati Uniti, dove il virus sta arrivando con la stessa velocità. Se l’esperienza italiana ha qualcosa da insegnare è che le misure per isolare le aree colpite e per limitare gli spostamenti della popolazione devono essere adottate immediatamente, messe in atto con assoluta chiarezza e fatte rispettare rigorosamente. Nonostante siano state attuate alcune delle misure più restrittive al mondo, all’inizio del contagio, il momento chiave, le autorità italiane annaspavano tra queste stesse misure, cercando di salvaguardare le libertà civili fondamentali e l’economia del Paese. Nei suoi tentativi di interrompere il contagio, adottati uno per volta, (isolando prima le città, poi le regioni, quindi chiudendo il Paese in un blocco intenzionalmente permeabile) l’Italia si è sempre trovata un passo indietro rispetto alla traiettoria letale del virus. “Ora gli stiamo correndo dietro”, ha affermato Sandra Zampa, sottosegretaria di Stato alla Salute, dichiarando che l’Italia si è adoperata al meglio compatibilmente con le informazioni disponibili. “Stiamo chiudendo mano a mano, come sta facendo l’Europa. Così stanno facendo la Francia, la Spagna, la Germania, gli Stati Uniti. E ogni giorno chiudi un pezzo, rinunci a un pezzo di vita normale. Perché il virus non permette una vita normale”. Alcuni esponenti politici si sono inizialmente dati all’ottimismo, riluttanti ad adottare decisioni dolorose in anticipo e hanno di fatto concesso al virus il tempo di nutrirsi di tale indulgenza. I governi d’oltralpe rischiano ora di seguire la stessa strada, reiterando errori noti e ripetendo disastri simili. A differenza dell’Italia, che ha navigato in quello che era un mare inesplorato per una democrazia occidentale, altri governi hanno ora meno scuse. I governanti italiani, da parte loro, hanno difeso il proprio operato, sottolineando che si tratta di una crisi senza precedenti nella storia moderna. Sostengono che il governo abbia risposto con rapidità e competenza, agendo immediatamente su consiglio degli esperti e muovendosi velocemente su misure più drastiche ed economicamente più devastanti rispetto agli altri Paesi europei. Ma andando a ripercorrere le loro azioni si possono notare alcune opportunità mancate e critici passi falsi. Nei primi fondamentali giorni dell’epidemia, Conte e altri alti funzionari hanno cercato di minimizzare la minaccia, creando confusione e un falso senso di sicurezza che ha permesso al virus di diffondersi. In molti hanno affermato che l’elevato numero di contagi in Italia fosse attribuibile alle massicce campagne di test su soggetti asintomatici nel nord, sostenendo che questi servissero solo a generare isteria e a macchiare l’immagine del Paese all’estero.

 

10 – PINOCCHIO un vero rivoluzionario. ESISTONO VARI PIANI DI LETTURA DELLA STORIA DEL BURATTINO PIÙ FAMOSO AL MONDO. E ANALIZZANDOLI, SI PUÒ SCOPRIRE LA STRAORDINARIA MODERNITÀ DELLA FAVOLA CREATA DA COLLODI. UN’OPERA CHE SCARDINA LA LETTERATURA TRADIZIONALE PER L’INFANZIA E PARLA DI UN CAMBIAMENTO CHE È ANCHE CULTURALE, di Maria Capanna CON IMMAGINI DI FANTASIA, COLLODI RACCONTA LA SOCIETÀ REPRESSIVA OTTOCENTESCA. ED ECCO CHE, SE SI PARLA DI FAVOLE MODERNE, NON SI PUÒ CHE INIZIARE DALLA STORIA DEL BURATTINO PIÙ CONOSCIUTA AL MONDO. La favola di Pinocchio prende vita dalla penna o se vogliamo dal calamaio di Carlo Lorenzini; lo pseudonimo, che lo rese famoso a noi tutti (anche se ne usò diversi altri), è Carlo Collodi, nome del paese della madre. La Storia di un burattino nasce a puntate fin dal primo numero del Giornale per bambini fondato a Roma da Ferdinando Martini, che porta la data del 7 luglio 1881. L’ultimo appuntamento con il racconto terminava con l’impiccagione di Pinocchio; furono i giovani lettori a protestare per avere un seguito diverso. Così Collodi continuò a scrivere la Storia – andata avanti per circa due anni – e, finita e raccolta in un volume, nel 1883 ebbe il titolo nuovo di Le avventure di Pinocchio. Quasi certamente l’autore non immaginava che la favola avrebbe viaggiato per il mondo con continue ristampe, edizioni e traduzioni in tutte le lingue oltre che con interpretazioni teatrali e cinematografiche. Nonostante alcuni elementi chiave rimangano immutati rispetto alla favola tradizionale, quello del burattino è sicuramente un racconto che spezza con il passato e la tradizione e si proietta nel futuro. Ed è per questo che la letteratura d’avanguardia del secolo trascorso, fatta di sperimentazioni e rotture, ne rimase da subito affascinata e piena di interesse nello studiarlo. La novità assoluta fu quella di scegliere come protagonista non un re o un ragazzino “per bene”, ma un pezzo di legno. Cambiava tutto, nasceva una favola diversa. Vivace e ludica, distante dal romanticismo poetico, dal grottesco delle storie del ’600 e dal gotico fatto di torri e castelli magici, la favola descrive una Toscana artigiana, contadina e popolare. Sulla scena del racconto non si incontrano mai orchi, streghe, draghi, i personaggi classici delle novelle e delle favole tradizionali. Si descrive la realtà dell’Italia di fine ’800 pur rimanendo vicini ad immagini di fantasia. Lo scrittore si distacca dalle regole ed espressioni di un pensiero borghese. La modernità del racconto del Lorenzini, infatti, sta nel sottolineare la realtà di una società repressiva – che ci presenta con satira, attraverso la favola – in cui vige una classe dominante insieme a un processo del lavoro alienante. Si conviene che Pinocchio, oltre che una fiaba per ragazzi, sia in effetti un’allegoria della società moderna. Si può leggere in chiave realistica, come la storia di un ragazzo povero della provincia italiana dell’Ottocento. Il libro è ambientato non per caso nella Toscana contadina dopo l’Unità d’Italia e testimonia quella opera di sensibilizzazione scolastica a cui Lorenzini partecipò con i suoi stessi lavori promuovendo nuove letture per i più piccoli. I personaggi sono tutti poveri, gente buona, rassegnati alla propria condizione, dai valori semplici della frugalità e dell’onestà, abituati a subire le ingiustizie dei potenti. Ancora oggi ci si può chiedere quale sia il posto che spetta a Collodi nel complesso itinerario della cultura moderna, e come il romanzo si colloca rispetto alle indagini ottocentesche sull’infanzia e all’elaborazione di teorie pedagogiche avvenuta nel corso del Novecento. Franco Cambi, professore di pedagogia, studia e spiega come in Collodi vi sia una precisa «immagine dell’infanzia» che si distacca sempre più sensibilmente dalle tematizzazioni ottocentesche per proiettarsi, con sottile preveggenza, verso alcune dimensioni delle teorie legate alle prime fasi della fanciullezza ed elaborate nel Novecento toccando quei temi-base che saranno sviluppati non solo sul testo letterario, ma anche su tesi antropologiche, soprattutto, con una maggiore ricerca, nella seconda metà del secolo scorso. Questa del burattino è un’opera apparentemente molto semplice, anche se ha vari percorsi interpretativi e piani di lettura. Così come, già dal titolo del critico e letterario e scrittore Giorgio Manganelli ci viene presentato: Pinocchio: un libro parallelo. Manganelli ci mette davanti a tutte le possibili interpretazioni simboliche e allegoriche della storia del burattino, come fosse una caccia al tesoro, un libro nel libro. Una lettura fatta di sequenze dopo sequenze che, come lui stesso dice, non dovremmo essere frettolosi nel leggere poiché nascondono gesti, silenzi, parole da cui possiamo capire molto altro, oltre alla costruzione della favola. Collodi, prima di far nascere il suo capolavoro, lavorava da tempo per alcune testate giornalistiche dell’epoca occupandosi di argomenti artistici, teatrali e letterari e anche in chiave umoristica, e come dice il giornalista e critico letterario Renato Bertacchini in molte delle sue ricerche sulla figura di Pinocchio e del suo autore, di Collodi bisogna «aver presente il suo non conformismo scolastico». Lo scrittore venne invitato nel 1875 dall’editore Paggi a tradurre le fiabe francesi più conosciute: il risultato di questo lavoro è la pubblicazione l’anno seguente de / racconti delle fate con le belle illustrazioni di quello che sarà uno degli amici più intimi del Collodi, nonché affezionato collaboratore: Enrico Mazzanti. Per Collodi, il lavoro che svolse per il giornale di Paggi, su cui firmò diversi articoli, è una ricerca sulla realtà che lo circonda, sulla cultura che attraversa, è una scrittura concreta fatta di visione di immagini; diventa quindi il percorso adatto a capire il metodo e l’interpretazione che fanno nascere tutti i personaggi dei suoi racconti dove, tra teatralità, percorsi geografici e archetipi, farà muovere la più moderna favola d’autore ad oggi scritta. E molto probabile che Carlo Lorenzini si sia ispirato alle novelle popolari che aveva sentito raccontare fin da bambino. Il pedagogista Luigi Volpicelli ricorda le analogie con le storie raccolte dallo studioso del folklore Gherardo Nerucci, e in particolare con la novella montalese intitolata “Pipetta bugiardo”, «il cui protagonista ha tante somiglianze morali con Pinocchio. Come lui bugiardo, scapestrato, ghiottone e tuttavia, ancora come lui, di buona pasta umana e di buon cuore». E anche considerando le Novelle popolari toscane del Pitré le somiglianze sembrano tantissime. L’autore fa una dedica alla Commedia moderna, alla Commedia dell’arte. Pinocchio è un burattino, così come sono burattini i protagonisti del teatro, ed il teatro dei burattini è un luogo frequentato dallo scrittore, ma il teatro, anzi, «il Gran teatro» è anche il luogo importante dove Pinocchio scopre il suo coraggio e la sua sensibilità, che lo stesso Mangiafoco gli riconosce. Volpicelli dice: «Ne è venuta fuori, cosi, una creatura proverbiale e fiabesca, eppure realissima, un nuovo personaggio della commedia dell’arte, nelle cui maschere il nostro Paese espresse e raddensò la sua saggezza e la sua filosofia della vita». Prima di chiamarsi Pinocchio, e divertire i monelli di tutto il mondo, ha scritto una volta per tutte Paul Hazard – primo iniziatore della critica su Pinocchio – il nome del nostro burattino fu Arlecchino, Pulcinella, Stenterello. Sono infatti gli stessi burattini, durante la rappresentazione in teatro a riconoscere Pinocchio, chiamandolo addirittura per nome. Anche lui, come loro, è personaggio popolare: «Quando Pinocchio entrò nel teatrino delle marionette, accadde un fatto che destò una mezza rivoluzione». Uno di noi, «un nostro fratello», urlò Arlecchino che all’improvviso smise di recitare richiamando l’attenzione dell’intera sala. Come se a Pinocchio, oltre a riconoscergli le fattezze, gli si chieda con entusiasmo una complicità, una salvezza, «Pinocchio tu che sei uguale a noi ma diverso». «Pinocchio vieni quassù da me! – grida Arlecchino – Vieni a gettarti tra le braccia dei tuoi fratelli di legno!». E Pinocchio accetta subito l’invito, «spicca un salto» e dalla platea arriva fino ai posti distinti, saltando ancora «monta sulla testa del direttore di orchestra» e poi «schizza sul palcoscenico», poiché Pinocchio, come l’autore e il lettore, è attore e spettatore di questa storia. Il protagonista rappresenta quello che può essere interpretato anche come un cambiamento culturale: si può decidere di non essere più marionette o burattini ed avere un proprio pensiero. Ed è l’immagine femminile, rappresentata della fata, ad aiutarlo a prendere coraggio. Rappresentato come marionetta di legno, soggiace alle leggi della natura, difatti si brucia i piedi, eppure pensa e agisce come un ragazzo, non legnosamente da burattino, si rende ben conto di ciò che è accaduto ed è lì che Geppetto – poiché Pinocchio nasce “orfano”, per quella magia che è la vita stessa – ha la possibilità di diventargli padre, facendogli nuovamente due gambe. Il falegname si commuove nel vedere il suo Pinocchio in quello stato, incapace di alzarsi e camminare, prende dunque gli arnesi del lavoro. .. E Geppetto gli rifà due piedi con due pezzetti di legno stagionato e glieli fa da «artista di genio». Qui c’è qualcosa di strano – coglie Manganelli nel suo libro- ma che forse deve restare tale. Da questo momento Pinocchio è discontinuo a se stesso. Non è più tutto e solamente quel «pezzo di legno da catasta». Ha perso i piedi, protagonisti del suo primo espediente di fuga, i suoi piedi «materni»; ora dal padre ha in dono dei piedi, come che siano diversi. E, si precisa, «svelti, asciutti e nervosi» e infatti da artista. 1 nuovi piedi, una sorta di innesto, sembra abbiano qualcosa di singolare; e che il «genio» di Geppetto si provi in cosa tanto umile, vuol forse dire che quei piedi sono un capolavoro allusivo, un dono «d’autore». Si allude quindi che, «d’autore» sia l’intera storia, e Collodi, come mastro Geppetto, diventa padre di un libro che fa crescere generazioni intere. Le gambe rappresentano appunto il cammino, il viaggio; la possibilità di andare verso delle novità, ed infatti Lorenzini si incammina lui stesso, in veste sia di padre che di figlio, a scardinar una letteratura per ragazzi fatta fino a quel momento per dare consigli e velati rimproveri. Pinocchio supera le prove come un eroe, diventa umano, ora può veramente camminare per quella «fuga» che è la storia stessa del protagonista. Qui, con Pinocchio, si corre con nuove gambe.

TRA PAURE E GIOIE, VERSO UN’AVVENTURA FANTASTICA! NOTA. “ IORESTOACASA con Pinocchio e le favole” #iorestoacasa in compagnia di Pinocchio e di altre storie per ragazzi, che possono affascinare, perché no, anche gli adulti. Basterebbe ascoltare la lettura che di Pinocchio fa Paolo Poli per Ad alta voce su Radio3 (www.raiplayradio.it ) per rimanere incantati dal suono delle parole dell’attore toscano che interpreta, cambiando la propria voce, i vari personaggi di Collodi. Ma in questo periodo ascoltare le favole per fortuna non è difficile. Le iniziative sono tante. A Roma Stefano Blasi, videomaker, e Maria Capanna, studiosa di favole e di Gianni Rodari, hanno dato vita ad un passaparola di telefonate con letture di favole che hanno oltrepassato i confini (per info pagina facebook Cento Rodari). Letture di favole anche dal centro di ricerca teatrale Campsirago residenza sulle colline della Brianza (Lecco) con diciotto attori e letture di venti minuti (per prenotazioni info@campsiragoresidenza.it ). Mentre a Udine la onlus Damatrà partecipa a un progetto di lettura in collaborazione con molte biblioteche con favole al telefono fino al 28 marzo (www.facebook.com/damatraonlus ).

 

11 – LANZAVECCHIA: «NEL NOSTRO LABORATORIO NON C’ERANO NEANCHE PIPISTRELLI». L’ESPERIMENTO. LO SCIENZIATO ITALIANO, ANCHE LUI NELLA RICERCA DEL 2015, SMONTA LA BUFALA TWITTATA DA SALVINI SUL VIRUS CREATO IN VITRO DAI CINESI, di Andre Capocci «I CINESI creano supercoronavirus con pipistrelli e topi!» twittava Matteo Salvini martedì sera. I cinesi, ma anche gli italiani: nel complotto svelato dal segretario leghista, se di complotto si trattasse, sarebbe coinvolto anche uno scienziato italiano. È Antonio Lanzavecchia, immunologo varesino oggi in forze all’Istituto per la ricerca in biomedicina di Bellinzona. C’era anche lui nella ricerca del 2015 citata da Salvini e realizzata da un’equipe internazionale che coinvolgeva ricercatori di nove università in tre paesi diversi. Diverse versioni della fake news circolano da un paio di mesi: dall’arma batteriologica diffusa ad arte al pipistrello sfuggito per caso. Ma non c’erano pipistrelli nei laboratori cinesi, al massimo una proteina presente in un virus che circola negli animali, spiega Lanzavecchia: «Il lavoro del professor Baric (il coordinatore della ricerca, ndr) si basa su virus chimerici formati inserendo la proteina di un virus isolato dai pipistrelli nel genoma di un virus adattato al topo, e dimostra che questo virus è in grado di infettare cellule umane in vitro. Questi esperimenti suggerivano quindi che virus in circolazione nei pipistrelli in Cina erano potenzialmente, e sottolineo potenzialmente, in grado di infettare l’uomo». Gli scienziati ipotizzano che ci sia stata una specie intermedia tra il pipistrello e l’uomo anche nell’attuale epidemia, ma lo studio del 2015 ipotizzava che i virus potessero trasmettersi anche in modo diretto. «La recente emergenza dimostra che la previsione era tutto sommato corretta. Tuttavia, è importante considerare che il nuovo virus ha una sequenza differente rispetto ai coronavirus precedenti». La sequenza a cui si riferisce Lanzavecchia è una sorta di codice fiscale del virus. I coronavirus sono lunghe catene di Rna, una molecola simile al Dna, formate legando quattro elementi detti “basi” come fossero lettere di un testo. Ogni virus ha la sua sequenza. Quella del virus Sars-Cov-2 ha circa 29 mila basi, e la sequenza la possono controllare tutti sul sito internet GenBank. Se il virus fosse sfuggito dal laboratorio, la sequenza del virus chimerico e del coronavirus di oggi dovrebbe essere identica, o almeno simile. «Una pubblicazione di Kristian Andersen su Nature Medicine di qualche giorno fa evidenzia come la sequenza di Sars-Cov-2 non sia riconducibile ai virus descritti nel 2015». Ci sarebbero oltre seimila “basi” diverse a dividerli. «Quindi, Sars-Cov-2 rappresenta l’emergenza di un nuovo virus, probabilmente originato dai pipistrelli, che si è adattato all’uomo per vie naturali»

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