3093 Capolinea a Firenze. La sinistra Ds decide il via al «nuovo movimento»

20070418 21:40:00 redazione-IT

Al congresso Ds per la sinistra parlerà solo Mussi. Poi tutti via. E’ la decisione del coordinamento nazionale, ma l’ultima parola spetta ai 250 delegati dell’area

di Carla Casalini

Escono. O meglio, non entrano nel Partito democratico. La decisione della Sinistra Ds ha avuto il suo crisma ufficiale ieri a Roma, nella riunione del Coordinamento nazionale dell’area. L’ultimo passo è il pronunciamento dell’assemblea dei 250 delegati della «mozione Mussi», convocata a Firenze domani sera, alla vigilia del congresso Ds che si apre la mattina dopo al Mandela Forum. Al Mandela prenderà la parola per il ‘correntone’ solo Fabio Mussi, venerdì, poi l’abbandono, e la Sinistra Ds non entrerà in alcuna commissione congressuale.
Non sono previste contromanifestazioni «autoconvocate» della sinistra nei giorni fiorentini, ma un appuntamento per il 5 maggio a Roma, per presentare il «nuovo movimento».
Chiarisce Fabio Mussi: «A Firenze spiegherò pacatamente le ragioni per cui non possiamo condividere il percorso verso il Partito democratico, e spiegherò cosa tenterò di fare per unire la sinistra». Sui sondaggi che registrano al solo 23% i consensi al Pd, Mussi commenta: «una volta che sia formato il nuovo partito, mancherà altrettanto per fare una maggioranza». Rincara Luciano Pettinari: «Dopo l’intervento di Mussi venerdì considereremo conclusa la nostra esperienza nei Ds, anche perché in realtà si può considerare conclusa l’esperienza di tutto il partito».
«Conclusa». Proprio su questo punto si incardina un contenzioso di senso su una storia, una esperienza ‘di tutti’ che fa produrre contro la sinistra ultime bordate velenose dalla dirigenza della Quercia. «Se la ‘scissione’ è decisa a prescindere, scelta sterile e senza respiro di un ceto politico tutta rivolta al passato e oggi fondata sulle rendite di posizione, si risparmi ai cittadini una sceneggiata di cattiva politica»: ce l’ha con l’intervento di Mussi al congresso di Firenze Marco Filippeschi, della segreteria nazionale Ds. Dalla sinistra Cesare Salvi, leader di Socialismo 2000, reagisce ironico con un prestito manzonaino. «Filippeschi chi?». Pettinari segnala la «pressione intimidatoria, residuo del passato». Olga D’Antona ribatte il tasto democratico:«fino al momento in cui il partito si chiama ancora Ds, come delegati abbiamo tutto il diritto di esserci».
Quale «scissione», insomma, quando è la maggioranza della Quercia che abbandona, per fare il Pd? Non più solo un mutare d’orizzonte politico – cambiando solo il nome da Pds a Ds – ma la dissoluzione programmata di tutto un partito. E però non è senza problemi che la Sinistra Ds affronta il passo. Se la divisione non inciderà sulle incombenti elezioni amministrative, perché «le liste sono già composte» da prima, nei territori c’è qua e là tremore a fare il ‘salto’, laddove comporta abbandonare posizioni di relativo potere nelle amministrazioni. Non solo: c’è difficoltà anche a separarsi per sempre da un passato condiviso: a livello nazionale lo esprime bene Vincenzo Vita dubbioso se non sia meglio continuare a battersi dentro per «condizionare» il futuro Pd. Appare consapevole della complicazione Alfiero Grandi, che l’analizza nel suo invito alla sinistra a «uscire subito».
L’interesse di questa fase di scomposizioni, di movimento, nelle compagini politiche, è anche nello sguardo mobile che suscitano fuori. Per esempio nel ‘dissenso cattolico’. Alla «normalizzazione» in atto in «tante testate cattoliche» intende sottrarsi una minoranza ‘significativa’, più attratta dalla ‘sinistra’ perché difende «valori come la pace». Riassume Franzoni: «Se il Partito democratico nasce come operazione per buttare fuori la sinistra, mi riconoscerò con altri nei versi, nel pdci, nella sinistra di Rifondazione e in quella Ds di Salvi e Mussi».

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EmiNews 2007

 

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