10989 NOTIZIE dall’ITALIA e dal mondo 28 dic 2013 – A TUTTI BUON ANNO

20131228 14:22:00 guglielmoz

ITALIA – La verità sulle pensioni che i media corrivi al potere nascondono. Districarsi nelle poste del bilancio dello Stato e degli Enti non è agevole.
VATICANO – Il conflitto in Siria, denuncia il Papa, ha spezzato "troppe vite", si risparmino "altre sofferenze al popolo", "le parti in conflitto mettano fine ad ogni violenza e garantiscano l’accesso agli aiuti umanitari". Preghiamo anche con i credenti di altre fedi, per la pace in Siria.
EUROPA – GRECIA. ATENE. Crisi, il natale in Grecia: in fila per riconsegnare le targhe delle automobili
AFRICA & MEDIO ORIENTE – Cisgiordania/Gerusalemme. Natale di guerra di Israele tra nuovi insediamenti, razzi assassini e distruzioni di case Nuove costruzioni negli insediamenti, e cinque batterie anti-missile a protezione del Sud del paese.
ASIA & PACIFICO –
AMERICA CENTROMERIDIONALE – Colombia. La sporca guerra usa: contro le farc bombe teleguidate. La Cia ha aiutato la Colombia ad uccidere almeno una ventina di leader ribelli delle farc. A sostenerlo è il Washington post
Leonardo Boff / DIRITTI UMANI un ANNO di VIOLAZIONE senza confini. Dalla vigliaccheria dei droni al cibo, in che mondo viviamo.
AMERICA SETTENTRIONALE – USA / Colorado/Denver / Dal Primo Gennaio Marijuana Per Uso Ricreativo. Folle A Denver – La Marijuana A Uso Ricreativo Diventerà Legale Nello Stato Americano Del Colorado Il 1 Gennaio.

ITALIA
ROMA
LA VERITÀ SULLE PENSIONI CHE I MEDIA CORRIVI AL POTERE NASCONDONO. DISTRICARSI NELLE POSTE DEL BILANCIO DELLO STATO E DEGLI ENTI NON È AGEVOLE. Anche il bilancio sociale dell’Inps non è di facile comprensione, elaborato e pubblicato per rendere chiare le funzioni, le attività, lo stato economico del principale ente previdenziale pubblico.
Il primo dato di quel bilancio che dovrebbe indignare è rappresentato da quei 7 milioni e 200 mila pensionati, il 43% del totale, che percepiscono meno di 1.000 €uro al mese e di questi 2 milioni e cinquecentomila meno di 500 €uro. Una parte di questi anziani, in maggioranza donne, vive in povertà, altri vi stanno precipitando. La legge di stabilità ignora queste persone, le loro sofferenze e preoccupazioni: per il Governo ed i partiti che lo sostengono non esistono.
Il secondo rappresentato dal fondo dei lavoratori dipendenti e quello dei precari che sono in attivo malgrado siano diminuiti gli iscritti all’Inps ed aumentati i disoccupati. Il fondo lavoratori dipendenti nel 2012 chiude con un attivo di un miliardo e 351 milioni e quello dei precari di 8 miliardi e settecentosedici milioni. Fino al 2011 anche i fondi per gli ammortizzatori sociali erano in attivo. Questi fondi risultano con avanzi consistenti da anni, ma l’attivo non è stato utilizzato per aumentare gli assegni pensionistici che, per la crescita del costo della vita perdono non meno del 2% ogni anno. L’avanzo è servito invece a coprire i deficit di altri fondi come quello dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori), del clero, dei dirigenti di azienda, degli ex fondi speciali (elettrici, trasporti, telefonici…) per circa 20 miliardi ogni anno. Nel 2012 il bilancio dell’Inps è andato in rosso in quanto ha assorbito l’Enpals ed il pubblico impiego, quest’ultimo ente ha caricato sull’Inps un deficit di 7 miliardi e 617 milioni per il 2012 e circa 17 miliardi di passività pregressa maturata per il mancato versamento da parte dello Stato dei contributi dei suoi dipendenti. Il disavanzo complessivo dell’Inps per il 2012 ammonta a 9 miliardi e 865 milioni e diventerà un argomento per giustificare altri tagli al sistema pensionistico.
Proviamo a chiarire alcune altre questioni. Si continua a sostenere, anzi si da per scontato, che gli importi degli assegni pensionistici siano spesa pubblica a carico delle collettività: è una menzogna spudorata! Si ignora volutamente che gli assegni pensionistici sono coperti dai contributi che vengono versati all’Inps, contributi che sono parte del salario: con i contributi si pagano le pensioni senza che lo Stato apra i cordoni della borsa.
Si continua a sostenere che le pensioni incidono eccessivamente sul Pil rispetto a quanto avviene negli altri paesi europei. Se continua a diminuire il Pil è ovvio che cresce l’incidenza della spesa pensionistica. È bene anche si sappia che in Italia il Tfr è conteggiato come spesa pensionistica e che sulle pensioni vi è un prelievo fiscale di circa 34 miliardi annui mentre negli altri paesi la pensione è esente o tassata simbolicamente. Quello scandaloso 13% (pensioni – Pil) scende all’ 8-9%.
È desolante che si continui con la commedia degli equivoci, imbrogliando, facendo di palesi verità carta straccia. Ne sono complici le forze politiche salvo rare eccezioni, i sindacati confederali e dei pensionati, stampa e televisione. A pagare sono i pensionati e quanti si pensioneranno nei prossimi anni.
Queste note sulle pensioni saranno, come è norma, ignorate dai mass-media. Non saranno contestate né dai partiti, ne dai sindacati, né dagli esperti. Le stesse trasmissioni cosiddette di approfondimento ignorano le pensioni e gli argomenti di carattere sociale.
A Rifondazione Comunista è precluso lo schermo televisivo. Le idee e proposte fuori dal coro non hanno spazio nell’Italia delle grandi o piccole intese.
La pensione è un diritto, un patto tra le generazioni, unisce la classe, è fortemente solidale ma non è funzionale alla cosiddetta “responsabilizzazione dei singoli”, alla diminuzione della contribuzione a carico delle aziende, ai mercati finanziari. L’elezione di Renzi a segretario del Pd è una spinta forte ad intervenire sulle pensioni di anzianità e di reversibilità, ne ha parlato più volte nelle sue esternazioni. Negli ultimi anni si è avviata la costruzione di un sistema pensionistico che rompe il rapporto salario-pensioni ed è basato sulla previdenza integrativa e sull’assistenza per gli anziani ed i poveri. Vincono le forze politiche maggiormente legate alla chiesa cattolica che puntano a sostituire i diritti e le certezze con la carità. Il quadro è fosco, ma se non si rovescia il banco le prospettive per la terza età diventano sempre più nere.

NAPOLI.
PERDE IL LAVORO E SI DÀ FUOCO: È MORTO
Perde il lavoro e si dà fuoco: è morto È morto nella notte dopo quattro giorni di agonia all’ospedale Cardarelli di Napoli Fausto Genovese, il disoccupato di 28 anni, di Potenza, che si era dato fuoco nei giorni scorsi a Vaglio di Basilicata (Potenza) per la disperazione dopo aver perso il posto di lavoro. L’uomo aveva riportato ustioni sull’85% del corpo e le sue condizioni sin dal primo momento erano apparse critiche ai medici dell’ospedale partenopeo dove era stato ricoverato

ROMA
JOB ACT, DUBBI E PERPLESSITÀ NEL PD DA PARTE DEI ‘GIOVANI TURCHI’. I ‘Giovani Turchi’ bocciano il ‘Job act’ di Matteo Renzi. In un articolo a firma dei deputati Fausto Raciti, Valentina Paris, Chiara Gribaudo e Matteo Orfini sulla rivista ‘Left Wing’ vengono espressi non pochi dubbi sulla proposta di rilancio occupazione del segretario del Pd che – si legge – "rischia di cadere nello stesso errore" della "Fornero: camminare sulla testa dei meccanismi che regolano il mercato del lavoro (i contratti), anziche’ sulle gambe della crescita e cosi’ di essere, nella migliore delle ipotesi, inutile". Gli autori del documento pubblicato su ‘Left Wing’ non nascondono le proprie "perplessità’" sulle "ricette che dovrebbero comporre il cosiddetto job act" e sulle "misure varate dal governo con l’ultima legge di stabilita’". "Tagliare il cuneo fiscale e rendere le regole del lavoro meno macchinose" non "sarebbero le soluzioni a buona parte dei nostri problemi" in quanto – scrivono – "in nessuno dei due casi la dinamica occupazionale registrera’ lo shock positivo auspicato". "Non significa – precisano – che le misure in questione siano prive di qualsiasi utilità, ma che, dovendo scegliere, non sono la priorità". Le critiche maggiori si concentrano sul ‘Job act’ proposto da Renzi. "L’ipotesi di contratto di inserimento a tempo indeterminato, se da una lato va nella direzione giusta, dall’altro lascia almeno due fronti aperti – si legge nel documento – In primo, la copertura statale dei contributi per i primi tre anni non risolve il pericolo di ricircolo dei lavoratori". Il secondo fronte sarebbe quello della "riforma degli ammortizzatori": "Desta un certo stupore – si legge – che si immagini di sostituire quelli attuali con un sussidio di disoccupazione universale a parità di risorse". Infine, vengono espresse perplessità sulla "enfasi posta sulla formazione": senza interventi migliorativi, "rischia di essere solo la riproposizione dell’attuale sistema, contribuendo a mantenere competenze – e salario – schiacciati verso il basso".
Secondo i ‘Giovani Turchi’, "per cominciare a restituire dignità al lavoro, occorrerebbe stabilire che ogni tipologia contrattuale preveda la copertura per malattia e maternità, a prescindere da durata e retribuzione prevista" per prestazione.
Per evitare che "l’aumento dei costi per le imprese finisca per scaricarsi sulla busta paga del lavoratore" – suggeriscono Orfini ed i suoi colleghi – si puo’ valutare l’introduzione di un ‘equo compensò per le professioni non coperte da contrattazione collettiva, affiancato dalla possibilità di concertare con i sindacati la retribuzione minima per professionalità omogenee, non su scala nazionale, ma su base territoriale". "Le opzioni per recuperare le risorse necessarie a finanziare il piano straordinario per l’occupazione sono due – si legge – Agire sulla leva fiscale chiedendo un contributo maggiore a chi ha di piu’, oppure, rimanendo dentro il vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/pil, recuperare qualche decimale rispetto al 2,5% previsto per il 2014". "Nella situazione drammatica del paese, un ‘job act’ che non potesse rivendicare un impatto positivo sul tasso di occupazione rischierebbe di essere un boomerang. Ma per creare lavoro occorre superare i tabù che in questo ventennio hanno impedito di considerare gli investimenti pubblici diretti a generare occupazione una opzione possibile".

BARI,
LA BATTAGLIA "IN SOLITARIO" DI PINO PER IL REDDITO DI CITTADINANZA
Ha iniziato lo sciopero della fame "il 24 dicembre", e dichiara "di continuare a oltranza finche’ il governo non riconoscerà, a lui e a tutte le persone indigenti, il reddito di cittadinanza". A protestare e’ il barese Pino Abbatescianni, 47 anni, che per "quattro mesi ha vissuto in un tenda su una spiaggia" di Bari, dopo "aver perso il lavoro". "Da sei giorni", spiega Pino, "il Comune di Bari mi ha trovato una sistemazione temporanea in una casa per anziani a Triggiano".
In passato l’amministrazione comunale ha offerto ad Abbatescianni la possibilità di stare nei dormitori e nelle diverse strutture cittadine per l’accoglienza dei senza tetto, ma Pino ha rifiutato per motivi legati alle "apnee notturne" di cui dichiara di soffrire. "Ma ora", aggiunge Abbatescianni, "porto avanti la mia battaglia per il diritto alla vita di tutti gli invisibili e non mollerò fino a che non avremo tutti ottenuto il reddito di cittadinanza". Oggi Pino e’ davanti alla sede della Caritas di Bari vecchia. "Ma la mia protesta – conclude – nei prossimi giorni si sposterà in altri posti dove si trovano le persone piu’ deboli di cui voglio difendere i diritti diventando la loro voce". Tre i punti rivendicati da Pino in dichiarazioni pubbliche, e in manifestazioni che lui stesso definisce a difesa degli “invisibili”: casa, lavoro o, in alternativa, reddito di cittadinanza. “Non vedo perché c’è qualcuno che ha tutto e altri non hanno niente, letteralmente”.
In una lettera Pino scrive: “Il diritto alla vita e alla dignità non è un optional ma è l’unica condizione che fa di uno Stato un vero Stato. Chiedo che mi siano concessi i diritti che fino ad oggi mi sono stati negati dal sindaco di Bari. Negati a me e a chi, come me, per un motivo o per l’altro ha perso tutto”. Inoltre, aggiunge di aver “pagato le tasse, ma quando ho avuto bisogno lo Stato non c’era più. Al sindaco e alle istituzioni non chiedo più nulla, mi affido alla generosità dei cittadini”. “Ho necessità soltanto di ripartire, di avere un aiuto per riuscire a passare l’inverno, poi – conclude – con le mie mani ce la farò ad andare avanti e uscire da questo incubo”.
MILANO
MANNHEIMER, SONO PENTITO RESTITUIRÒ AL FISCO TUTTO IL DOVUTO / SONDAGGISTA INDAGATO PER FRODE DA 7 MLN, ‘MI SPIACE FATTI GRAVI’
Renato Mannheimer restituirà al Fisco ”tutto quanto dovuto”, ossia la cifra che gli viene contestata come presunta evasione fiscale. Lo afferma in una nota lo stesso sondaggista, indagato dalla Procura di Milano per associazione a delinquere finalizzata a una frode fiscale da 7 mln di euro. Nel comunicato il presidente dell’Ispo, fa riferimento all’interrogatorio reso, dopo un invito a comparire firmato dal pm Adriano Scudieri, il 19 dicembre e di cui ha dato notizia oggi ‘la Repubblica’.
Nella nota Mannheimer spiega di aver risposto ”con franchezza a tutte le domande” del pm e di aver compreso ”appieno la natura delle contestazioni che gli sono rivolte”. Davanti al pm, inoltre, il sondaggista, difeso dall’avvocato Mario Zanchetti, ha manifestato ”vivo dispiacere e sincero pentimento per essersi lasciato coinvolgere in atti di particolare gravità”. E si è detto ”intenzionato a fare in modo che sia restituito al fisco tutto quanto dovuto”, tanto che si è già ”attivato in tal senso”. Mannheimer sottolinea anche ”come, già da alcuni anni” sia lui personalmente che le sue società ”siano totalmente rispettose della normativa fiscale”. Infine, in relazione alla prosecuzione degli accertamenti e del procedimento penale, Mannheimer vuole ribadire ”piena fiducia nell’attività e nel giudizio della magistratura”. Lo scorso 17 aprile, gli uomini del Nucleo di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza di Milano avevano eseguito una serie di perquisizioni, anche nella sede dell’Ispo, disposte nell’ambito dell’inchiesta con al centro un presunto giro di false fatturazioni e che vede indagate anche altre quattro persone, tra cui un tunisino e tre professionisti italiani. L’inchiesta, da quanto si è saputo, verrà chiusa nei prossimi giorni.

VATICANO
CITTA’ DEL VATICANO
IL PAPA: NO TRAGEDIE COME LAMPEDUSA, VITA DEGNA MIGRANTI – Il conflitto in Siria, denuncia il Papa, ha spezzato "troppe vite", si risparmino "altre sofferenze al popolo", "le parti in conflitto mettano fine ad ogni violenza e garantiscano l’accesso agli aiuti umanitari". Preghiamo anche con i credenti di altre fedi, per la pace in Siria.
Troppe vite, ha detto il Papa nel messaggio natalizio "Urbi et Orbi (alla Città e al mondo, ndr), "ne ha spezzate negli ultimi tempi il conflitto in Siria, fomentando odio e vendetta. Continuiamo a pregare il Signore perché risparmi all’amato popolo siriano nuove sofferenze e le parti in conflitto mettano fine ad ogni violenza e garantiscano l’accesso agli aiuti umanitari". "Abbiamo visto – ha aggiunto il Papa riferendosi agli esiti della veglia interreligiosa di preghiera per la Siria da lui indetta questo autunno – quanto è potente la preghiera! E sono contento che oggi si uniscano a questa nostra implorazione per la pace in Siria anche credenti di diverse confessioni religiose. Non perdiamo mai il coraggio della preghiera! Il coraggio di dire: Signore, dona la tua pace alla Siria e al mondo intero". "E anche ai non credenti invito – h aggiunto a braccio – a desiderare la pace, con il suo desiderio, quel suo desiderio che allarga il cuore, tutti uniti, o con la preghiera o con il desiderio, per la pace".
Repubblica centrafricana, Sud Sudan, Nigeria, c’è tanta Africa nella invocazione di pace di papa Francesco nel suo primo messaggio "Urbi et Orbi" del giorno di Natale. Insieme a una invocazione al "Principe della pace", perché converta "ovunque il cuore dei violenti perché depongano le armi e si intraprenda la via del dialogo". "Dona pace – ha detto il Papa latinoamericano – alla Repubblica Centroafricana, spesso dimenticata dagli uomini. Ma tu, Signore, non dimentichi nessuno! E vuoi portare pace anche in quella terra, dilaniata da una spirale di violenza e di miseria, dove tante persone sono senza casa, acqua e cibo, senza il minimo per vivere. Favorisci la concordia nel Sud-Sudan, dove le tensioni attuali hanno già provocato diverse vittime e minacciano la pacifica convivenza di quel giovane Stato". "Tu, Principe della pace, – ha proseguito – converti ovunque il cuore dei violenti perché depongano le armi e si intraprenda la via del dialogo. Guarda alla Nigeria, lacerata da continui attacchi che non risparmiano gli innocenti e gli indifesi". In un passaggio successivo ha citato il Corno d’Africa e l’est della Repubblica Democratica del Congo, circa il problema dei rifugiati.
"Benedici la Terra che hai scelto per venire nel mondo – è l’invocazione del Papa a Dio, principe della pace – e fa’ giungere a felice esito i negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi. Sana le piaghe – ha aggiunto nel messaggio ‘Urbi et Orbi’ – dell’amato Iraq, colpito ancora da frequenti attentati".
Dona speranza e conforto ai profughi e ai rifugiati, – ha invocato il Papa – specie nel Corno d’Africa e in est Repubblica Democratica del Congo". Ha chiesto "accoglienza" per "i migranti" in cerca di dignità , e che "Tragedie come quelle di quest’anno, con i numerosi morti a Lampedusa, non accadano mai più!". "Dona – ha detto papa Francesco nel messaggio natalizio ‘Urbi et Orbi’ – speranza e conforto ai profughi e ai rifugiati, specialmente nel Corno d’Africa e nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Fa’ che i migranti in cerca di una vita dignitosa trovino accoglienza e aiuto. Tragedie come quelle a cui abbiamo assistito quest’anno, con i numerosi morti a Lampedusa, non accadano mai più!". Subito prima aveva chiesto protezione per i cristiani perseguitati: "Signore della vita proteggi quanti sono perseguitati nel tuo nome".
Non abbiamo paura che il nostro cuore si commuova, – ha esortato il Papa a braccio – ne abbiamo bisogno, lasciamolo riscaldare dalla tenerezza di Dio" le "carezze di Dio non fanno ferite, ci danno pace e forza, abbiamo bisogno delle sue carezze". "Lasciamoci commuovere dalla bontà di Dio", ha concluso riprendendo il testo scritto.
Ecco gli auguri di Natale del Papa al mondo, nel testo che ha pronunciato in italiano, dopo la benedizione "Urbi et Orbi", impartita invece in latino: " A voi, cari fratelli e sorelle, giunti da ogni parte del mondo in questa Piazza, e a quanti da diversi Paesi siete collegati attraverso i mezzi di comunicazione, rivolgo il mio augurio: buon Natale! In questo giorno illuminato dalla speranza evangelica che proviene dall’umile grotta di Betlemme, invoco il dono natalizio della gioia e della pace per tutti: per i bambini e gli anziani, per i giovani e le famiglie, per i poveri e gli emarginati. Gesù, nato per noi, conforti quanti sono provati dalla malattia e dalla sofferenza; sostenga coloro che si dedicano al servizio dei fratelli più bisognosi. Buon Natale a tutti!". La folla in piazza, che probabilmente supera le centomila persone, ha a lungo festeggiato il Papa, manifestando il proprio entusiasmo prima che la banda dei carabinieri eseguisse l’Inno di Mameli.

EUROPA
RUSSIA
MOSCA
LIBERATA UNA DELLE PUSSY RIOT / La Duma, il parlamento russo, aveva concesso l’amnistia alle ultime due attiviste incarcerate dopo il concerto anti Putin nella cattedrale di Mosca. La prima ragazza liberata è Maria Alyokhina, 25 anni, che dall’agosto 2012 scontava due anni di detenzione nel carcere di Nizhni Novgorod. La ragazza «è stata liberata, tutti i documenti sono stati redatti e firmati», afferma il suo avvocato.
Ancora in carcere l’altra ragazza, Nadia Tolokonnikova, che comunque potrebbe essere liberata entro il pomeriggio di oggi. La notizia, per ora, non trova però conferme ufficiali.
Insieme a Nadia, Maria stava scontando una pena di due anni di reclusione per «teppismo motivato da odio religioso». Con altre tre compagne del gruppo punk femminista Pussy Riot, nel febbraio 2012, misero in scena una performance contro Vladimir Putin nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, con la quale si attirarono le ire del Patriarcato Ortodosso russo e dello stesso Cremlino, dove Putin si preparava a tornare per il suo terzo mandato presidenziale.
MOSCA
PUSSY RIOT LIBERE, VOGLIAMO ANCORA CACCIARE PUTIN – Parla Nadia: ‘"Al suo posto ci piacerebbe Khodorkovski" . "Vogliamo continuare a fare ciò per cui siamo finite in prigione. Vogliamo come prima cacciare" il presidente russo Vladimir Putin. Al suo posto "mi piacerebbe molto invitare Mikhail Khodorkovski". Lo ha detto Nadia Tolokonnikova alla conferenza stampa a Mosca, insieme all’altro membro delle Pussy Riot Maria Alekhina.
La liberazione delle Pussy Riot è stata concessa per migliorare l’immagine della Russia prima delle Olimpiadi di Sochi, che sono "il progetto preferito" del presidente Vladimir Putin. Lo ha detto una delle due componenti della band rilasciate nei giorni scorsi, Nadia Tolokonnikova, in una conferenza stampa a Mosca.
La Chiesa ortodossa russa ha giocato un ruolo nella carcerazione delle Pussy Riot nel 2012. Lo ha dichiarato una delle ragazze della band, Maria Alyokhina, in una conferenza stampa a Mosca dopo la loro liberazione nei giorni scorsi grazie all’amnistia promulgata dal presidente Vladimir Putin. Le Pussy Riot furono condannate per aver cantato una "preghiera anti-Putin" nella cattedrale di Cristo Salvatore nella capitale russa.

GRECIA
ATENE
CRISI, IL NATALE IN GRECIA: IN FILA PER RICONSEGNARE LE TARGHE DELLE AUTOMOBILI. Tra le tante file che caratterizzano queste festività – a Napoli ieri in duemila per la cena offerta dall’associazione dei commercianti – c’è da segnalare sicuramente la Grecia. A causa della crisi economica che ormai da sei anni perdura in Grecia, migliaia di automobilisti stanno facendo la fila in questi giorni davanti agli sportelli degli uffici della motorizzazione o del fisco per riconsegnare le targhe dei loro veicoli ed evitare cosi’ di pagare la costosa tassa di circolazione per l’anno prossimo.
Le Tv greche dedicano molto spazio alla vicenda e trasmettono le immagini delle persone in fila con le targhe in mano che ammettono davanti alle telecamere di non potersi piu’ permettere di pagare alcune centinaia di euro di tassa sull’auto. Imposta che supera i 1.000 euro per le macchine di lusso.
"Solo quest’anno sono stati circa 70.000 gli automobilisti che hanno riconsegnato le targhe dei loro veicoli", ha detto Charis Theocharis, un funzionario del ministero delle Finanze.
Naturalmente i furbi non mancano mai e c’è sempre chi, dopo aver riconsegnato le targhe vere, applica sulla propria autovettura targhe false. Come ha fatto Michalis Liapis, 60 anni, ex ministro dei Trasporti e della Cultura nei precedenti governi di Costas Karamanlis (Nea Dimokratia), fermato martedì scorso dalla polizia stradale alla periferia di Atene per un controllo di routine mentre guidava un Suv con targhe false appunto per non pagare la tassa di circolazione ne’ l’assicurazione.
I redditi dei lavoratori greci, come confermano studi condotti dai maggiori sindacati greci, sono diminuiti di circa il 40% dal 2009 mentre, secondo i rivenditori di auto, dallo stesso anno sono state riconsegnate le targhe di almeno un milione di autoveicoli. In forte sofferenza anche il mercato automobilistico ellenico: sempre secondo i concessionari di auto, nel periodo gennaio-novembre di quest’anno sono state registrate solo 55.000 mila nuove immatricolazioni con un calo delle vendite del 40% rispetto allo stesso periodo del 2012, il picco piu’ basso fra tutti i Paesi dell’Ue.

AFRICA & MEDIO ORIENTE
CISGORDANNIA/GERUSALEMME
Natale di guerra di Israele tra nuovi insediamenti, razzi assassini e distruzioni di case
Nuove costruzioni negli insediamenti, e cinque batterie antimissili a protezione del Sud del paese. Dopo il raid in cui a sud di Gaza è rimasta uccisa una bambina di quattro anni, e le demolizioni in Cisgiordania, va avanti il Natale di guerra di Israele, che non smentisce la linea di condotto bellicista tenuta fin qui parallelamente ai negoziati di pace. La strategia delle nuove costruzioni in Cisgiordania e Gerusalemme Est avviene in concomitanza con il rilascio di un terzo gruppo di prigionieri palestinesi, cosi’ come e’ stato in occasione del rilascio dei primi due gruppi.
”E’ stato un ‘regalo di Natale’ criminale” il raid aereo israeliano in cui una bambina palestinese di circa quattro anni e’ rimasta uccisa ieri a Deir el-Balah, a sud di Gaza, sostiene il negoziatore capo dell’Olp Saeb Erekat secondo cui Israele in questa circostanza si e’ macchiato di un crimine di guerra. ”Consideriamo il governo israeliano pienamente responsabile per le conseguenze di questo nuovo atto di aggressione contro la nostra popolazione tenuta sotto occupazione”, ha affermato.
I raid di ieri sono giunti in seguito alla uccisione di un manovale israeliano. Esponenti del governo israeliano hanno rimarcato con dispiacere che questo attacco armato non e’ stato finora condannato dall’Anp. Intanto, l’agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi Unrwa ha condannato la demolizione in Cisgiordania da parte di Israele di diverse case beduine ”avvenuta peraltro – sottolinea – proprio alla vigilia di Natale”. In seguito a questo episodio 68 palestinesi (fra cui 32 minorenni) sono rimasti senzatetto, rileva in un comunicato il portavoce Chris Guinness. L’Unrwa precisa che le demolizioni sono avvenute nelle zone di Ramallah e di Gerico. ”Si tratta di comunita’ beduine che ancora di recente hanno dovuto misurarsi con tempeste di neve”, nota ancora il portavoce. Gli sfollati hanno ricevuto dalla Croce rosse internazionale tende per proteggersi dalle intemperie: ma esse non risultano sufficienti a far fronte al freddo pungente registrato di notte. L’Unrwa rivolge infine un appello ad Israele affinché’ rispetti meticolosamente il diritto internazionale.

PALESTINA
De Magistris: «Liberiamo lo Stato di Palestina» / Per Luigi De Magistris sono stati giorni intensi nei Territori occupati. Il sindaco di Napoli, che ha ricevuto dal presidente dell’Anp la cittadinanza onoraria, ha avuto modo di verificare di persona le conseguenze dell’occupazione militare e di comprendere il significato di una esistenza passata tra posti di blocco, permessi da ottenere, il Muro che circonda le città palestinesi, a cominciare da Betlemme dove ha alloggiato. «E’ stata una scelta precisa quella di passare a piedi il check point tra Betlemme e Gerusalemme e di non far ricorso all’automobile del consolato (italiano). E’ frustrante pen­sare che ci possa essere un popolo così oppresso, così umiliato nella sua dignità», spiega De Magistris al manifesto. In questi giorni il sindaco ha potuto rendersi conto anche della tensione che regna sul terreno due palestinesi (tra i quali una bimba di quasi quattro anni) e un israeliano uccisi a Gaza, raid aerei, ordigni esplosivi, vio­lenze e la gravità del pro­blema delle colonie israeliane in continua espansione dei Territori occupati. Le ultime demo­li­zioni di case palestinesi in Cisgiordania, ad Ain Ayoub, vicino Ramallah, e a Fasaiyl Wusta, nella Valle del Giordano, hanno lasciato senza un tetto 70 persone. Una cosa è leggere o studiare queste cose, un’altra è vederle con i propri occhi.
Domenica, scrive la stampa israe­liana, arriverà l’annuncio della costruzione di altre mille, forse duemila nuovi appartamenti negli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, di fatto come contropartita per il rilascio di altri 26 dei 104 prigionieri politici che il governo Netanyahu si è impegnato a rilasciare lo scorso luglio nel quadro delle intese per la ripresa del negoziato bilaterale. I timidi «richiami» ed «ammonimenti» giunti da Stati Uniti ed Unione europea non hanno mini­ma­mente scalfito la determinazione del premier israeliano di continuare le costru­zioni nelle colonie. Israele sa che non c’è una volontà occidentale di fermare l’espansione degli insediamenti colonici che pure avviene in aperta violazione del diritto internazionale. «Non ci fermeremo, nemmeno per un istante, nella costruzione del nostro Paese e nello sviluppo della nostra impresa coloniale”, aveva garantito il primo ministro qualche giorno fa rivolgendosi a un gruppo di mem­bri del suo partito, il Likud. La “mediazione imparziale” da parte degli americani è un paradosso. Nelle scorse settimane il Segretario di Stato John Kerry ha presentato a israeliani e palestinesi un “piano di sicu­rezza” per la Cisgiordania in gran parte simile a quello che ha in mente Netanyahu.
Di fronte alla debole linea dei governi occidentali, Luigi De Magistris, alla guida di una delle città più importanti del Mediterraneo, si dice impegnato in una iniziativa dal basso, fon­data sul volere delle popolazioni: fare delle municipalità italiane e mediorientali il pilastro per una pace costruita sulla giustizia. Il Protocollo per il Forum degli enti locali del Mediterraneo che ha firmato nei giorni scorsi, spiega De Magistris, «parte dal sin­daco di Napoli e mette insieme alcun sindaci della Palestina, in particolare quelli di Nablus, Ramallah e Betlemme, per rafforzare la democrazia dal basso per la pace. Pensiamo che con azioni forti che vengono dalle comunità, dai rappresentanti delle persone, con una democrazia diretta più forte, ci possa essere un’accelerazione del processo di pace». A Napoli il prossimo anno, aggiunge il sindaco, «il Mediterraneo sarà protagonista della pace. Non vogliamo più un Mediterraneo intriso di sangue come abbiamo visto a Lampedusa».
Il legame speciale tuttavia è sempre tra Napoli e la Palestina. «Si tratta di un rapporto molto stretto – prosegue De Magistris – Abu Mazen qualche mese fa ha ricevuto a Napoli la cittadinanza onoraria e ora anche io sono cittadino palestinese, con tanto di pas­sa­porto». Napoli, continua il sindaco, è percepita «come una capitale, una città con una diplo­ma­zia autonoma, indipendente dai governi. Napoli può essere promotrice di un processo di pace. Stiamo tessendo molti rapporti, stiamo riscoprendo un ruolo internazionale che la città aveva perso negli anni passati». L’amministrazione comunale di Napoli un anno fa appoggiò apertamente l’ingresso della Palestina all’Onu come Stato non membro. De Magistris scrisse al capo dello stato Napolitano per spingerlo a sostenere la richiesta al Palazzo di Vetro presentata da Abu Mazen a nome dell’Olp. «A Napoli consideriamo la Palestina uno Stato e Gerusalemme una città nevralgica della Pale­stina conclude De Magistris — Ci batteremo sino a quando lo Stato di Palestina non sarà liberato e tutti i prigionieri politici (palestinesi) saranno liberi. Dobbiamo far crescere la mobilitazione e lavorare perché siano abbattuti i muri»

LIBIA
SABRATHA
RILASCIATI 4 SOLDATI AMERICANI / E’ durata poche ore la detenzione di 4 soldati Usa da parte delle autorità libiche. I 4 militari sono stati rilasciati nella notte, informano fonti del ministero della Difesa americano.
I 4 militari erano stati presi, secondo la stampa Usa, vicino alle rovine romane di Sabratha, una zona turistica circa a un’ora da Tripoli. Nessun commento dalle autorità Usa che comunque hanno mantenuto contatti per tutta la notte con le autorità libiche.

SUD SUDAN
QUALCUNO BRINDAVA AL NUOVO STATO / II Sud Sudan, nella retorica dell’Occidente, era la «naturale» soluzione dell’enigma sanguinoso di quell’immensa landa tratteggiata dai colonizzatori chiamata Sudan. Un futuro radioso attendeva la nuova nazione. Il suo sottosuolo ai confini con il Nord antico oppressore, ribolliva di oro nero Una quantità spaventosa di petrolio e gas, ancora soggetta agli oleodotti con cui il Nord in combutta con la Cina, aveva per anni derubato i legittimi proprietari delle loro ricchezze. Grazie agli amici occidentali, soprattutto agli americani che tanto si erano spesi perché il Sud vincesse e divenisse stato, se ne sarebbero costruiti di nuovi ed alternativi. Il Sud Sudan era potenzialmente un nuovo west. Non a caso il suo novello presidente, Salva Kir, si presentava con un enorme cappello texano. La tragedia del Sudan è sempre stata il piscio puzzolente del diavolo, cioè il petrolio ed il gas di ottima quanta e facile estraibilità ivi presente. La sua scoperta negli anni settanta, ad opera di una delle più potenti multinazionali americane del settore, segna l’inizio di un dramma che sembra non aver mai fine. Quando Khartoum sceglie la Cina come suo cliente principe, si scatena l’inferno. Al sud nascono gruppi armati di tutto punto lo Spla, ed è guerra. Infinita
La gente del sud recrimina sull’uso dei proventi di quell’inaspettata ricchezza. E su quella giusta rivendicazione si inseriscono logiche, appetiti ed interessi senza scrupoli. Nessuno gioca alla pace, tutti preferiscono la guerra. Lo SpIa viene rifornito, da americani ed inglesi, di ogni strumento di morte. La Cina farà altrettanto con il governo e l’esercito del nord. Almeno due milioni di vittime in più di un decennio di guerra. Poi la «pace» e con essa la promessa di un referendum che permetta al sud di scegliere se restare, con maggiore peso e relativa autonomia, nel Sudan o ergersi come nuovo stato. Era però già tutto deciso. Le nuove strade, ogni infrastruttura, realizzate, Siche dalle agenzie dell’Orni, guardano ai paesi confinanti come il Kenya che guarda caso sarà il paese per il quale passera il nuovo oleodotto alternativo a quelli di Khartoum. Al referendum l’idea della secessione raccoglie un’ovvia e totale adesione. Le finanze della nuova nazione saranno forti degli in-vestimenti occidentali e americani e dei proventi del petrolio i cui maggiori giacimenti ricadono nei suoi confini. Per alcuni anni ancora il Sud Sudan dovrà pagare a Khartoum tasse per il trasporto via oleodotto del suo greggio. Poi, ci sarà un altro oleodotto, nuovo di zecca, a farlo. Finalmente liberi. Ed invece sono solo le basi di una annunciata tragedia
Al potere in Sud Sudan va un vorace gruppetto di signori della guerra. Salva Kir e il suo vice Machar hanno le mani lorde di sangue. Kir è un dinca, la principale etnia del paese, Machar e un nuer. Già in passato si sono scontrati. Machar è responsabile di un eccidio di dinka Decine di migliaia di morti, distruzioni, migliaia di giovani donne stuprate. Kir ha riservato lo stesso trattamento alle genti nuer. Nessuno li ha mai processati. Sono nostri «amici». Hanno la moneta giusta per pagare il silenzio dell’Occidente. Il piscio del diavolo.
Il Nord Sudan, a sua volta, vive l’incubo della perdita quasi totale dell’unica ricchezza capace di riempire i suoi forzieri. La costruzione di un oleodotto alternativo ai suoi è una minaccia a mano armata al suo desti-no. La Cina vede minacciati i suoi approvvigionamenti. I petrolieri americani sono gli unici a gongolare. Nessuno lavora per la pace, tutti, nei fatti, per la guerra. E guerra è. Dopo il bagno di sangue, forse, si arriverà ad una trattativa, con il paese diviso in due. La storia del Sud Sudan, la più giovane nazione del mondo, probabilmente, è già finita.

ASIA & PACIFICO
GIAPPONE
OKINAWA
Tutto deciso, anzi no: il governatore di Okinawa, Hirokazu Nakaima, avrebbe dato l’assenso allo spostamento della base militare americana in un’altra zona dell’isola, meno abitata e con meno impatto sulla vita degli abitanti, a seguito delle pressioni degli stati uniti, desiderosi di riposizionarsi in Asia e di Shinzo Abe, premier giapponese, che nei mesi scorsi ha portato avanti un pressing determinante sul governatore per ricevere l’assenso. In realtà però, nonostante la firma ci sia, i tempi e i modi non sono ancora chiari e devono soprattutto confrontarsi con una popolazione locale che da sempre manifesta contrarietà alla presenza dei marines americani sull’isola giapponese.
Il percorso, dunque, per realizzare quanto è richiesto da almeno quindici anni sembra ancora lungo, benché dagli Stati Uniti arrivino frasi di giubilo: «Si tratta di una chiara dimostrazione alla regione che l’alleanza tra Usa e Giappone è in grado di gestire problemi complessi per affrontare le sfide di sicurezza del ventunesimo secolo», ha subito commentato il segretario alla Difesa Usa Chuck Hagel. Lo scambio di parole cordiali tra Giappone e Usa forse dipende anche dalla frattura causata dalla visita di Shinzo Abe al santuario di Yasukuni, compiuta il 26 dicembre: secondo indiscrezioni, infatti, gli americani avevano chiesto al premier di non recarsi al tempio, per non esacerbare le tensioni in un’area che gli Usa vogliono tranquilla, per dimostrare come la loro presenza sia garanzia di stabilità. Il trasferimento della base comporterebbe la diminuzione dei soldati americani a 10mila (dagli attuali 18mila); la Marine Corps Air Station Futenma, si sposterebbero più a nord dell’isola, presso Ginowan a Henoko Bay. Dal 1996 la popolazione locale si batte contro la presenza della base americana, con motivazioni di carattere ambientale, di sicurezza e per comportamenti arroganti dei soldati americani. Per dimostrare la propria contrarietà, ieri duemila persone si sono radunate di fronte alla sede del governato locale ricordando alcuni eventi che costituiscono il motivo delle contestazioni: nel 2004 un elicottero militare si schiantò su un edificio di un’università locale, mentre nel 1996 un branco di soldati americani ubriachi stuprò una ragazzina. Lo stesso governatore Nakaima ha ammesso di considerarsi scettico sul futuro dell’accordo. «Ho dato il mio consenso legale, ma lo spostamento non sarà facile -ha affermatono il credo che la fattibilità sia molto alta: spostare la base da Okinawa sarebbe un piano migliore». Fonti americane hanno inoltre spiegato che per completare la nuova base aerea, che dovrebbe includere anche due piste lunghe oltre 1,6 chilometri ciascuna, ci vorrà circa un decennio, (s. pie)

CINA
LA CRESCITA BOOM DELLA CINA
Bilanci di fine anno economico anche in Cina: secondo quanto dichia­rato alla Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale cinese, da Xu Shaoshi, capo dell’ufficio responsabile della pia­nificazione eco­no­mica, la Cina è cre­sciuta nel 2013 ad una media del 7,6 per­cento; una cifra «pre­vi­sta» e che con­fer­me­rebbe un mer­cato mon­diale nel quale gli ordini inter­na­zio­nali avreb­bero fal­lito nel pro­durre una «forte domanda» dei pro­dotti cinesi. La Cina quindi ha ral­len­tato, ma dalle parti di Pechino pre­di­cano otti­mi­smo.
Il ral­len­ta­mento infatti ver­rebbe dige­rito nell’ambito di un pro­getto di Riforme che punta a dipen­dere sem­pre meno dalle espor­ta­zioni e quindi dai mer­cato occi­den­tali, man­dando per sem­pre in sof­fitta della «fab­brica del mondo», ergendo a traino della pro­pria eco­no­mia i con­sumi e il mer­cato interno.
Per il 2014 si pre­vede una cre­scita al 7,5 per­cento, che per il paese dovrebbe costi­tuire l’occasione, come affer­mato dal pre­mier Li Keqiang, di dare il via a quelle riforme fiscali, finan­zia­rie, ban­ca­rie e riguardo la terra e l’ambiente, in grado di rie­qui­li­brare lo svi­luppo cinese e provvedere ad una reale redistribuzione della ricchezza. Un’economia sospinta dal mercato interno richiede infatti una popolazione che sia in grado di spendere e consumar

THAILANDIA
BUS IN SCARPATA, 29 MORTI / Testimone, andava velocissimo. Si ipotizza ‘colpo di sonno’
Almeno 29 persone sono rimaste uccise e quattro sono i feriti gravi per un incidente nel nord della Thailandia: un bus è uscito fuori strada ed è caduto in una scarpata. ”Crediamo che il conducente si sia addormentato”, dicono le autorità locali. Il testimone che ha segnalato l’incidente alla polizia ha riferito che il bus andava ad altissima velocità prima dell’incidente. Le vittime sono tutte thailandesi. I bus interregionali sono infatti poco utilizzate dai turisti.

AMERICA CENTROMERIDIONALE
COLOMBIA
LA SPORCA GUERRA USA: CONTRO LE FARC BOMBE TELEGUIDATE
LA CIA HA AIUTATO LA COLOMBIA AD UCCIDERE ALMENO UNA VENTINA DI LEADER RIBELLI DELLE FARC. A sostenerlo è il Washington Post, citando alcune fonti secondo cui la Cia, con un’azione sotto copertura, condotta anche con l’aiuto delle intercettazioni della National Security Agency (la stessa che intercettava Merkel), avrebbe offerto assistenza segreta avvalendosi di fondi neri, che non rientrano nel pacchetto da 9 miliardi di dollari di aiuti americani militari del programma ‘Plan Colombia. In base alle informazioni divulgate dal giornale americano, il piano contro le Farc venne autorizzato nel 2000 dall’allora presidente statunitense, George W. Bush. Secondo fonti militari, di intelligence e diplomatiche Usa, consultate dal quotidiano, lo stesso programma venne poi continuato dall’attuale presidente, Barack Obama.
Tra gli altri obiettivi, fu grazie alla Cia che Bogotà individuò ed uccise il numero 2 delle Farc Raul Reyes nel 2008, peraltro nel vicino Ecuador. Il sistema prevede che gli Usa forniscano informazioni di intelligence per aiutare i colombiani a localizzare i capi delle Farc. Poi vengono foniti speciali localizzatori Gps di dimensioni ridottissime che consentono di colpirli dall’alto con bombe che centrano gli obiettivi con precisione millimetrica.
Le Farc sono attive dal 1964 e nel corso degli anni hanno condotto una guerra senza quartiere contro gli spietati squadroni paramilitari del governo e effettuato molti rapimenti. La vittima piu’ illustre Ingrid Betancourt loro ostaggio per 7 anni.
Sotto la presidenza dell’intransigente Alvaro Uribe tra il 2002 ed il 2010 le forze delle Farc furono dimezzate a 8.000 combattenti. Al momento sono impegnati in fragili negoziati con delegati del presidente Juan Manuel Santos.

COLOMBIA
LA VERA GUERRA DELLA CIA ALLE FARC, L’EX PRESIDENTE URIBE rivendica di Geraldina Colotti
IL POST DENUNCIAVA ANCHE GLI ESCAMOTAGE GIURIDICI ADOTTATI PER AGGIRARE IL PROBLEMA NEGLI USA. L’EX PRESIDENTE RINGRAZIA ANCHE LONDRA
Uribe scende in campo in merito alle affermazioni del Washington Post. Il 22 dicembre, il quotidiano statunitense ha pubblicato un’inchiesta sui fondi segreti del Pentagono erogati al governo colombiano a lato del Pian Colombia: miliardi di dollari in forniture di intelligence e operativi per localizzare e uccidere i dirigenti dell’opposizione armata. Contro la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc) e quella, meno consistente, dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) sono stati impiegati aerei con bombe intelligenti, debitamente modificate, parte di un arsenale in crescita dal 2000, prima con George W. Bush, poi con Barack Obama. Un potenziale militare che, fra contractor, agenzie di sorveglianza e operativi legati all’ambasciata Usa a Bogotà, nel 2003- 2004 ha superato il livello della presenza nordamericana in Afghanistan. La Cia era di casa, nonostante le disposizioni del Congresso Usa che le vietano l’intervento diretto negli affari interni dell’America latina. L’inchiesta del Post spiega anche gli escamotage giuridici adottati per aggirare il problema negli Usa.
Una non-notizia, secondo Alvaro Uribe, che ha anche chiamato in causa l’apporto della Gran Bretagna. «Ho ringraziato gli Stati uniti quando ci hanno aiutato con la tecnologia d’intelligence per localizzare i narco sequestratori e la Gran Bretagna quando ci ha aiutato con il materiale di controspionaggio», ha detto. In questo modo «sono stati liberati numerosi militari e civili, fra i quali 3 cittadini americani», che si trovavano nelle mani delle Farc. Le operazioni militari – ha però sostenuto Uribe – sono state condotte dai soldati e dalle squadre colombiane. In base all’inchiesta giornalistica, invece, almeno per un primo periodo la Cia ha tenuto per sé i codici di accesso alle bombe «intelligenti», assumendo la responsabilità delle operazioni, che hanno elimi¬nato una ventina di comandanti.
Una sanguinosa operazione è stata compiuta anche in Ecuador nel 2008, e ieri Quito è tornata a esprimere preoccupazione per l’intervento Cia nella regione.
Gli scambi diplomatici pubblicati da Wikileaks durante il Cablogate avevano già portato in luce la richiesta di intervento diretto rivolta dalla Colombia agli Usa e la presenza di esperti militari israeliani. I documenti sottratti da Snowden all’Agenzia per la sicurezza Usa (Nsa) hanno poi mostrato gli intrecci e la penetrazione illegale dell’intelligence nordamericana in America latina. Basi segrete e basi militari Usa (7 quelle di stanza in Colombia) articolano gli scambi incrociati tra partner, pur senza escludere i colpi bassi tra amici. Durante il Datagate, John Negroponte – direttore dell’intelligence nazionale Usa (Dni) tra il 2005 e il 2007, sotto la presidente di George W. Bush, e vicesegretario di Stato fino al 2009 – ha ricordato il patto dei "cinque occhi". Un accordo segreto tra cinque potenze anglofone che hanno combattuto la Germania nazista – Usa, Regno unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda – per scambiarsi informazioni di intelligence, siglato durante la Guerra fredda. Un patto che prevede l’incrocio di favori con altri paesi amici.
Per contrastare il vento di sinistra che soffia in gran parte dell’America latina e la presenza in cre-scita della Cina, gli Usa puntano sugli Accordi del Pacifico con Messico, Perù e Colombia. In termini securitari, Bogotà è per il continente latinoamericano quel che Israele è per gli Usa in Medioriente. E proprio con Israele Bogotà deve ratificare a breve il Trattato di libero commercio, che porterà altre cataste al fuoco del cinquantennale conflitto colombiano. E a marzo del 2014 la Colombia va alle urne. L’ultraliberista Uribe, grande amico dei paramilitari, è candidato al senato e oggi avversario feroce del suo ex ministro della Difesa, anch’egli di destra, l’attuale presidente Manuel Santos. Uribe ha accusato le Farc di obbligare i contadini a votare per Santos. Quest’ultimo si ripresenta ostentando la mano tesa da un anno alla guerriglia nelle trattative in corso all’Avana. Non ha però diminuito le operazioni militari di cui ha parlato il Post. Ieri sono stati uccisi altri 10 guerriglieri, tra questi un altro dirigente delle Farc, "John 26". «Non è facile continuare le trattative con un governo profondamente reazionario, neoliberista, compromesso fino al midollo con gli interessi delle multinazionali e dell’imperialismo nordamericano, guerrafondaio e oligarchico», hanno scritto i portavoce dei due principali gruppi armati, Farc e Eln. In un comunicato congiunto, i dirigenti hanno però rivolto un appello alla base affinché appoggi l’elezione di «un governo democratico, aperto a nuove prospettive». Le trattative riprendono il 13 gennaio.

BRASILE
LEONARDO BOFF
DIRITTI UMANI UN ANNO DI VIOLAZIONE SENZA CONFINI Dalla vigliaccheria dei droni al cibo, in che mondo viviamo / Viviamo in un mondo in cui i diritti umani sono violati a tutti i livelli, familiare, locale, nazionale e planetario. Il Rap-porto annuale di Amnesty International 2013, che copre 159 paesi con riferimento al 2012, fa esattamente questa constatazione dolorosa. Invece di avanzare nel rispetto della dignità umana e dei diritti degli individui, dei popoli e degli ecosistemi stiamo regredendo ai livelli di barbarie. Le violazioni non conoscono confini e le forme di questa aggressione diventano sempre più sofisticate.
La forma più vigliacca è l’azione di droni, aerei senza pilota che da una base in Texas, guidati da un giovane soldato su un piccolo schermo come se stesse giocando, è in grado di identificare un gruppo di afgani che stanno celebrando un matrimonio, e all’interno del quale presumibilmente dovrebbe esserci qualche guerrigliero di al Qaeda. Basta questa ipotesi per lanciare con un piccolo cli¬ck una bomba che distrugge l’intero gruppo, con molte madri e bambini innocenti.
Si tratta di una forma perversa di guerra preventiva, iniziata da Bush e criminalmente portata avanti dal presidente Obama. Il quale è venuto meno alle promesse elettorali con riferimento ai di-ritti umani, sia sulla chiusura di Guantanamo, sia sull’abolizione del Patriot Act, per cui chiunque negli Stati Uniti può essere arrestato con l’accusa di terrorismo senza il bisogno di avvisare la famiglia. È un rapimento illegale che in America Latina conosciamo fin troppo bene. In termini economici così come sui diritti umani, si sta verificando una vera latino americanizzazione degli Stati uniti, nello stile dei nostri momenti peggiori. Oggi, secondo il rapporto di Amnesty, il paese che viola di più i diritti delle persone e dei popoli sono gli Stati Uniti.
Con la massima indifferenza, da imperatore romano assoluto, Obama rifiuta di dare una giustificazione sufficiente allo spionaggio mondiale che il suo governo sta facendo con il pretesto della sicurezza nazionale, su settori che vanno dallo scambio di e-mail tra due amanti fino agli affari segreti e miliardari di Petrobras, violando il diritto alla privacy delle persone e la sovranità di un intero paese. La sicurezza annulla la validità dei diritti inalienabili.
Il continente che soffre la maggior parte delle violazioni è l’Africa. È il continente dimenticato e invaso dai vandali. Le Terre sono accaparrate (land grabbing) da grandi corporazioni e dalla Cina per produrre in esse cibo per le loro popolazioni. Si tratta di una neo colonizzazione più perversa di quella precedente.
Migliaia e migliaia di profughi e immigrati per motivi di fame e di erosione della loro terra sono i più vulnerabili. Costituiscono una sottoclasse di persone, rifiutate da quasi tutti i paesi, «in una globalizzazione della insensibilità», come l’ha chiamata Papa Francesco. Drammatico, dice il report di Amnesty, è la situazione delle donne.
Più della metà dell’umanità, in molti casi soggette a violenze di ogni tipo e in varie parti dell’Africa e dell’Asia ancora costrette a mutilazioni genitali.
La situazione del mio Brasile preoccupa per il livello di violenza che imperversa ovunque. Direi, non c’è violenza: siamo posti in strutture di violenza sistematica che pesano su più della metà della popolazione di origine africana, sugli indigeni che lottano per conservare la loro terra contro l’avidità impunita dell’agro business, sui poveri in generale e sui lgbt, discriminati e persino uccisi. Perché non abbiamo mai fatto la riforma agraria, né politica, né tributaria, le nostre città vengono circondate da centinaia e centinaia di favelas dove i diritti alla salute, all’istruzione, alle infrastrutture e alla sicurezza sono deficitari. La diseguaglianza, un altro nome dell’ingiustizia sociale, provoca le principali violazioni.
Il fondamento ultimo del coltivare i diritti umani sta nella dignità di ogni persona umana e nel rispetto che gli è dovuto. (…) Nel volto di ogni essere umano, per quanto anonimo sia, ogni potere trova il suo limite, anche lo Stato.
11 fatto è che viviamo in una sorta di società mondiale che ha messo l’economia come suo asse strutturale. La ragione è solo utilitaristica e tutto, anche la persona umana, come denuncia Papa Francesco è divenuto «una merce che, una volta utilizzata può essere gettata via… In una tale società non c’è posto per i diritti, solo per l’interesse. Perfino il sacro diritto al cibo e al bere è garantito solo a chi può pagare. Altrimenti, starete ai piedi del tavolo, con i cani, sperando che alcune briciole cadano dalla ricca tavola degli epuloni.
In questo sistema economico, politico e commerciale risiedono le cause principali, non esclusive, che portano alla violazione permanente della dignità umana. Il sistema attuale non ama le persone, solo la loro capacità di produrre e consumare. Per il resto sono solo olio esausto, scarti di produzione.
Il compito, al di là dell’etica e dell’umanitario, è soprattutto politico: come trasformare questo tipo di società malvagia in una società in cui gli esseri umani possano trattarsi in modo umano e godere dei diritti fondamentali. In caso contrario, la violenza è la norma e la civiltà si degrada nella barbarie. da www.adital.org.br – traduzione di Antonio Lupo

AMERICA SETTENTRIONALE
USA
COLORADO/DENVER
DAL PRIMO GENNAIO MARIJUANA PER USO RICREATIVO. FOLLE A DENVER – LA MARIJUANA A USO RICREATIVO DIVENTERÀ LEGALE NELLO STATO AMERICANO DEL COLORADO IL 1 GENNAIO. L’entrata in vigore della liberalizzazione della marijuana a uso ricreativo e’ molto attesa e sono previste lunghe code, gia’ dalla notte precedente, per poter acquistarla legalmente. A preoccupare e’ la capacità dei negozi aperti di poter gestire la folla, con bus turistici attesi nello stato per ‘celebrare’ il via libera alla vendita legale, ed eventuali problemi di sicurezza. La marijuana potrà essere acquistata solo in contanti. I negozi che hanno presentato la richiesta di autorizzazione per la vendita sono piu’ di cento ma solo pochi riusciranno ad aprire i battenti il primo giorno dell’anno: di sicuro lo faranno 12 punti vendita a Denver. Ma potrebbero non essere abbastanza.
Le autorita’ del Colorado cercano di districarsi fra le carte per le autorizzazioni e nel frattempo adeguare la normativa: una delle ultime misure approvate e’ quella che prevede l’abolizione del divieto per gli adulti di fumare nelle proprie verande, che era stato introdotto in novembre per far fronte ai timori legati al fumare in bella vista in pubblico.
Gli elettori del Colorado hanno approvato la legalizzazione della marijuana nel novembre 2012 e negli ultimi sei mesi le autorita’ hanno cercato di definire le norme per il consumo e la pubblicità. ”E’ chiaro che si tratta di un territorio non ancora esplorato. Altri stati non sono dovuti passare attraverso questo processo. La marijuana a uso ricreativo – aveva detto allora il governatore del Colorado, John Hickenlooper – e’ un’entità del tutto nuova”.
Il consiglio comunale di Denver ha anche fissato il numero di piante di marijuana a uso ricreativo che ogni famiglia puo’ coltivare: sono 12. ”In pochi giorni l’immagine della citta’ e dello stato cambierà. Alcuni saranno contenti delle nostre decisioni, altri meno ” afferma il consiglio comunale.

USA
DIMINUISCONO RICHIESTE SUSSIDI DISOCCUPAZIONE
Scendono ancora le richieste di sussidi di disoccupazione negli Usa. Secondo quanto riferisce il Dipartimento al Lavoro, nell’ultima settimana le domande sono ai minimi da circa un mese a 338mila, registrando una flessione di 42 mila, segnale positivo per il mercato del lavoro americano. Gli economisti prevedevano un calo a 345 mila. Il numero di persone che ricevono un sussidio ammontavano nella settimana conclusa il 14 dicembre a 2 milioni e 923 mila.
WSHINGTON
L NATALE NEGLI USA, SCARTARE REGALI CON DENTRO ARMI E FARSI LA FOTO SU TWITTER
Se invece di Babbo Natale, gli Stati Uniti stanno mandando in questi giorni droni bombaroli in Iraq e in Pakistan, i cittadini americani si tengono “al passo” inondando i social di foto che li ritraggono armati di tutto punto.
A dare l’esempio Nikki Haley, la governatrice del South Carolina, ultraconservatrice, considerata molto vicina al Tea Party. ”La nostra famiglia ha passato uno splendido Natale assieme. E io devo essere stata buona se Babbo Natale mi ha portato una Beretta PX4 Storm”, scrive in un tweet, correlato di tanto di foto della pistola ‘Made in Italy’. La violenza, le frequenti stragi provocate dall’eccessiva diffusione di fucili e pistole non frena la passione degli americani per le armi. Neanche a Natale. Ventotto di questi tweet quanto meno inquietanti sono stati raccolti e pubblicati da Buzzfeed. Tra loro una ragazza poco piu’ che adolescente con in mano una pistola piu’ lunga del suo viso, un uomo anziano felice mentre in salotto guarda dentro il mirino del suo fucile nuovo. Ma anche una famiglia intera che posa in giardino, ognuno con la sua arma, come fossero un commando di Marine. E infine un ragazzino, non piu’ grande di 10 anni, con il suo nuovo AR15, la stessa arma usata nella strage di Newtown, appena l’anno scorso.
Una recente ricerca della Columbia University (New York) pubblicata su ‘The American Journal of Medicine’ sfata uno dei capisaldi della cultura americana, il possesso e l’uso di armi da fuoco come difesa personale: la libera circolazione delle armi non rende la popolazione più sicura, anzi innesca una specie di meccanismo infernale che si autoalimenta. La ricerca ha analizzato le possibili associazioni tra il possesso di armi, le patologie mentali e il rischio di rimanere vittime di sparatorie in 27 paesi industrializzati (tra cui Giappone, Usa, Sud Africa e Regno Unito). Ebbene, le nazioni dove è vietato o limitato il possesso di armi sono più sicure di quelle dove la legislazioni è più permissiva. Ed hanno meno decessi correlati al porto d’armi. Quindi "non è vero che possederne una aumenta il livello di sicurezza" avvertono gli scienziati. Secondo gli autori Sripal Bangalore e Franz H. Messerli "sembra plausibile che l’abbondante disponibilità di armi da fuoco faciliti i decessi legati al loro uso – precisano – viceversa, i tassi di criminalità elevati possono scatenare l’ansia e la paura e spingere i cittadini ad armarsi. Questa condizione a sua volta aumenta la disponibilità di pistole. Un circolo vizioso – osservano – che sta portando gli Stati Uniti ad un livello estremo di conflitto sociale". La ricerca ha fotografato questo fenomeno analizzando le statistiche di 27 paesi. Gli Stati Uniti guidano la classifica, 10,2 possessori ogni 100 mila abitanti. Mentre il Giappone è all’estremità opposta con un valore molto basso. Il Sud Africa (9,4 per 100mila) come gli Usa fa registrare un numero estremamente elevato di morti da arma da fuoco. Mentre il Regno Unito (0,25 per 100 mila ) ha avuto un tasso estremamente basso di decessi legato alle armi. Dunque, secondo lo studio "c’è una significativa correlazione tra la diffusione pro capite delle armi in ogni Paese e il tasso di decessi violenti.

(articoli da: NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e Le Monde)

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