10986 UN PARLAMENTO INCOSTITUZIONALE (parte 2)

20131227 09:53:00 guglielmoz

Già lo scorso maggio, commentando su questo sito il rinvio alla Corte Costituzionale della questione di costituzionalità relativa alla legge elettorale, avevamo anticipato, specie alla luce dello stallo politico attuale, che molto probabilmente la Corte Costituzionale avrebbe accolto i rilievi, tra l’altro più che ben formulati, operati dalla Corte di Cassazione (peraltro, sarà interessante osservare come terminerà il giudizio di merito dinanzi alla Cassazione per sapere se quest’ultima condannerà e come lo Stato per violazione dei diritti fondamentali dei cittadini ricorrenti).

È inutile ripetere gli argomenti che erano stati già presentati nel nostro articolo di quell’occasione, anche se è possibile che la Corte Costituzionale, una volta redatta la sentenza, aggiunga qualcosa di proprio in considerazione dell’elevata rilevanza della materia oggetto del giudizio.
Siano però consentite alcune osservazioni riguardo ai problemi aperti dalla sentenza.
Parlare di illegittimità delle istituzioni discendenti da una legge invalida si può fare, ma non bisogna né portare il discorso all’estremo né è possibile parlare di illiceità degli atti finora posti in essere. L’illegittimità è un concetto politico-giuridico che si riferisce, per semplificare, all’ingiustizia dell’atto, ma non alla sua illiceità (e dunque alla sua nullità o annullabilità). È del tutto evidente che, in base al principio tempus regit actum, sono valide (aggiungiamo: purtroppo) le leggi approvate dai parlamenti precedenti, così come sono valide le elezioni del Presidente della Repubblica e dei membri stessi della Corte Costituzionale. Quelle elezioni sono chiuse, essendo avvenute sulla base della legislazione allora vigente e non essendo più possibile ribaltare le decisioni che ad esse sono conseguite. In caso contrario, come autorevolmente argomentanto da Zagrebelsky, verrebbe meno oltretutto la continuità dello Stato.
Quid però nel caso della convalida delle elezioni dei parlamentari eletti col premio di maggioranza dichiarato incostituzionale? Un non autorevole costituzionalista come Renato Brunetta ha sostenuto di recente sul Foglio che non si potrebbe procedere alla convalida dell’elezione in questa situazione perché il “caso” non sarebbe chiuso e quindi l’effetto dell’elezione, in buona sostanza, non si sarebbe consumato. Pare a chi scrive che quest’argomento sia una sciocchezza pura e semplice, ma sorprende che gl’altri partiti non siano in grado, per l’ennesima volta, di controbattere ad affermazioni così palesemente assurde. Ciò che non si può toccare, per fortuna, in Italia sono i diritti quesiti, ma lo status di parlamentare non è un diritto in senso proprio. Ogni cittadino ha diritto all’elettorato passivo ai termini di legge ed è chiaro che vi è una connessione tra lo status di parlamentare e tale tipologia di diritto. Ma è altrettanto evidente che non si verte, in tal caso, esattamente sul diritto di elettorato passivo, che tocca la persona e non il meccanismo elettorale. Ricordiamo che la convalida riguarda le condizioni di eleggibilità del parlamentare (di cui peraltro abbiamo discusso di recente a proposito della questione relativa alla incandidabilità di Berlusconi in forza della c.d. Legge Severino e per brevità non ci torniamo sopra), non il modo in cui egli viene eletto tramite una legge elettorale. Non è possibile cioè dichiarare ineleggibili 150 parlamentari perché sono stati eletti con una legge incostituzionale (peraltro, estendendo per assurdo il ragionamento operato dall’esimio On. Brunetta, anche la sua elezione non dovrebbe esser convalidata perché avvenuta in assenza di preferenze, ma chi scrive mai si sognerebbe di sostenere una panzana del genere, benché sarebbe ben lieto che la sua elezione non venisse convalidata) quando la loro condizione di eleggibilità personale era piena al momento delle elezioni di febbraio.
D’altronde, se andassimo a seguire il ragionamento di Brunetta, quanti senatori di Forza Italia o del Nuovo Centro Destra (specialmente in Lombardia) non dovrebbero essere considerarti eleggibili giacché eletti col premio di maggioranza regionale, anch’esso dichiarato incostituzionale? L’On. Brunetta dovrebbe forse porre maggior attenzione agli argomenti che formula.
È evidente, nondimeno, che il problema di legittimità resta. Per un verso, sarebbe forse bene che il Parlamento ormai si astenesse dal discutere la convalida dei parlamentari eletti col premio di maggioranza, lasciando morire la questione con lo scioglimento delle Camere. Per altro verso, spiace constatare che questo problema di legittimità si pone ora tutto in capo al Presidente della Repubblica. Questi farebbe cosa saggia, per una volta, ad agire non in nome di un’asserita e controproducente stabilità, ma ad agire sulla base di criteri generali di correttezza costituzionale, gl’unici ad assicurare, a propria volta, la stabilità. In altri termini, egli dovrebbe sciogliere le Camere, una volta che la Corte Costituzionale ha depositato la sua sentenza. Nel frattempo, i partiti hanno la possibilità di varare una riforma elettorale entro i primi di gennaio. Ove non ci riuscissero, si dovrebbe andare a votare con la legge elettorale risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale, che poi è una legge elettorale di tipo proporzionale e non il ritorno al Mattarellum dal momento che la Corte non ha esteso, a quanto risulta dal suo comunicato, la dichiarazione di incostituzionalità a tutta la legge elettorale del 2005 (il che avrebbe poi aperto un’altra complicata questione relativamente alla reviviscenza della legislazione precedente).
Altre riforme, sempre che si possa usare il termine riforme…, a questo Parlamento non dovrebbero esser più consentite.
Un’ultima osservazione per sfatare una leggenda in ordine alla tempestività della tutela assicurata dalla Corte Costituzionale. Non è vero che la questione è pendente da 8 anni. Ciò è vero unicamente in termini politici, ma non in relazione alla Corte Costituzionale. La questione è stata sollevata alla Corte lo scorso maggio ed essa è stata in grado di sbrogliarla, piaccia o meno il risultato, in 6 mesi. Dopodiché, il giudizio da cui è nata la questione andava avanti da 4 anni e non da 8.
Certo, una maggiore tempestività di “tutela costituzionale” sarebbe stata preferibile e si sarebbe avuta se fosse stato introdotto nel nostro ordinamento il metodo del ricorso preventivo alla Corte Costituzionale da parte di un gruppo parlamentare, alla stessa maniera del sistema francese, o se si fosse ammesso il ricorso diretto dei cittadini in caso di violazione dei loro diritti fondamentali, come esiste in Germania.
Ma queste riforme non le fa la Corte Costituzionale, le devono proporre e fare i partiti, che tuttavia se ne guardano bene perché a loro piace invece il “Sindaco d’Italia”, cioè l’ennesimo ducetto di turno che vuole fare come gli pare senza controlli e senza garanzie per i cittadini.
Alla fine in tutto questo inutile bla-bla-bla, spiace dirlo talvolta anche del M5S, gl’unici a meritare una nota di encomio sono gl’avvocati che hanno avanzato il ricorso e hanno poi vinto dinanzi alla Corte Costituzionale. Loro hanno smosso il sistema, agendo sul piano concreto. E se lo facessero loro alla fine un vero partito del cambiamento?

 

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