n°18 – 10/5/25 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI

01 – Ahmed Ahmed, Ruwaida, Amer*: GAZA. L’infanzia di Gaza uccisa con la fame – Palestina 70mila i bambini gravemente denutriti, 57 morti dall’inizio dell’offensiva israeliana. I valichi chiusi usati come arma contro i civili. «Mio figlio piange per la fame. Mento e gli dico che porterò della farina»
02 – Marina Catucci*: Tra la riscossa Dem e le diffidenze Maga: Leone divide gli Usa
In Pope we trust L’opinione pubblica americana si polarizza davanti al nuovo pontefice. Che però ha votato sia repubblicano che democratico
03 – Comitato SI alle rinnovabili NO al nucleare.
04 – PAPA PREVOST, PRIMO PONTEFICE AMERICANO – Alla quarta votazione, i 133 cardinali riuniti in conclave hanno deciso: il nuovo Papa sarà Robert Francis Prevost, noto come Papa Leone XIV: sarà il primo Papa americano della storia della Chiesa. (*)
05 – 80 ANNI DOPO: L’EUROPA NEL DISORDINE GLOBALE – A ottant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Russia e le potenze dell’Europa occidentale celebrano l’anniversario con cerimonie separate, all’ombra della guerra in Ucraina e delle profonde fratture nell’ordine mondiale.

(a cura di Mimmo Zanetta)

 

01 – Ahmed Ahmed, Ruwaida, Amer*: GAZA. L’infanzia di Gaza uccisa con la fame – Palestina 70mila i bambini gravemente denutriti, 57 morti dall’inizio dell’offensiva israeliana. I valichi chiusi usati come arma contro i civili. «Mio figlio piange per la fame. Mento e gli dico che porterò della farina»
Pubblichiamo il reportage della rivista israeliano-palestinese +972mag

La dodicenne Rahaf Ayad è così malnutrita che riesce a malapena a parlare. I capelli le stanno cadendo. Le sue costole sporgono. Riesce a malapena a muovere gli arti. Sbatte gli occhi lentamente, con le palpebre pesanti. Originaria di Al-Shuja’iya, nella parte orientale della città di Gaza, Rahaf vive ora con i suoi sette familiari in un’unica stanza nella casa di un parente nel quartiere Al-Rimal della città.
Shurooq, la madre di Rahaf, spiega che la salute della figlia ha iniziato a deteriorarsi rapidamente a causa della mancanza di cibo. «Se qualcuno la tocca o prova a muovere le braccia o le gambe, grida di dolore – racconta a +972 – Dice che le sembra che il suo corpo stia bruciando dall’interno. Chiede pollo, carne o uova, ma nei mercati non c’è nulla».
SHUROOQ e suo marito Rani, 45 anni, sono andati da una clinica all’altra in cerca di cure, integratori o solo consigli, ma il sistema sanitario di Gaza, devastato, ha offerto poco aiuto. «I medici ci hanno detto che ci sono centinaia di bambini come Rahaf e che l’unica cosa che può salvarli è un’alimentazione adeguata. Le ho comprato delle vitamine in una farmacia, ma quando sono tornata a comprarne altre una settimana dopo, erano finite».
I fratelli di Rahaf aiutano a prendersi cura di lei: le danno da mangiare, le fanno il bagno, la portano in bagno e le cambiano i vestiti. Quando il cibo è disponibile, la famiglia mette al primo posto i suoi bisogni. «Mangiamo solo dopo che lei ha mangiato – dice Shurooq – Quando abbiamo soldi, compriamo tutto quello che chiede. Ma ora non c’è nulla e quando troviamo qualcosa, non possiamo permettercelo».

PRIVATIZZARE LA FAME DI GAZA, ISRAELE VERSO L’INTESA CON GLI USA
Anche quando Shurooq riesce a trovare e a preparare alcuni dei pochi prodotti di base ancora disponibili a Gaza, come riso, lenticchie o pasta, Rahaf chiede a gran voce pollo, carne o uova, qualsiasi cosa che contenga le proteine di cui il suo corpo ha disperatamente bisogno. Alla fine, la fame vince e lei mangia qualsiasi cosa sia disponibile. «Le dico che il confine si aprirà presto e le porterò tutto quello che vuole – dice Shurooq, trattenendo le lacrime – La salute di Rahaf crolla ogni giorno. Sta morendo davanti ai miei occhi e non possiamo fare nulla».
Rahaf ama la lingua inglese. Un tempo sognava di studiare inglese all’università e di diventare insegnante. Ma la sua vita, come quella di centinaia di migliaia di bambini di Gaza, è stata distrutta dalla guerra di Israele. «Vorrei che i miei capelli tornassero – sussurra Rahaf – Voglio camminare e giocare con i miei fratelli come facevo prima».
Da più di due mesi Israele impedisce l’ingresso nella Striscia di Gaza di cibo, beni e forniture mediche. Le conseguenze sono catastrofiche: secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza, oltre 70mila bambini sono ricoverati in ospedale per malnutrizione acuta e 1,1 milioni non hanno il fabbisogno nutrizionale minimo giornaliero per la sopravvivenza

IL MINISTERO della salute palestinese a Gaza ha riferito che, al 5 maggio, almeno 57 bambini sono morti per complicazioni sanitarie legate alla malnutrizione dall’inizio della guerra e altri 3.500 sotto i cinque anni rischiano di morire di fame. «Nelle ultime due settimane, la carestia si è intensificata in modo significativo – dichiara a +972 il dottor Ahmed Al Faraa, direttore del dipartimento di maternità e pediatria dell’ospedale Nasser – In questo periodo, abbiamo curato circa 10 bambini affetti da malnutrizione molto grave».
La dottoressa Ahed Khalaf, specialista in pediatria al Nasser, ha detto recentemente ad Al Jazeera di non aver mai visto casi così gravi di malnutrizione nei bambini: «Soffrono di avvelenamento del sangue, insufficienza d’organo, danni al fegato e ai reni, infezioni batteriche e microbiche e indebolimento del sistema immunitario».
Poco dopo che il 16 aprile il ministro della difesa israeliano Israel Katz ha dichiarato che «al momento non è previsto l’ingresso di alcun aiuto umanitario a Gaza», i distributori di cibo locali e internazionali, un tempo un’ancora di salvezza per centinaia di migliaia di persone, hanno iniziato a chiudere uno dopo l’altro. Il 25 aprile il Programma alimentare mondiale ha annunciato di aver esaurito le scorte di cibo rimaste. Il 7 maggio la World Central Kitchen ha annunciato di «non avere più le scorte per cucinare i pasti o cuocere il pane a Gaza».
«L’assedio su Gaza è un assassino silenzioso di bambini e anziani – ha dichiarato Juliette Touma, portavoce dell’Unrwa, in un incontro con la stampa, il 29 aprile – Abbiamo poco più di 5mila camion con forniture salvavita che sono pronti ad arrivare. Questa decisione (di non farli entrare) minaccia la vita e la sopravvivenza dei civili di Gaza, che sono anche sottoposti a pesanti bombardamenti giorno dopo giorno».
Ibrahim Badawi, 38 anni, ha bisogno di almeno quattro chili di farina al giorno per sfamare la sua famiglia di nove persone. In questi giorni, fatica a trovarne anche un solo chilo: «Mi sento impotente quando i miei figli chiedono il pane e io non ho nulla da dare loro. A volte vorrei che io e i miei figli morissimo insieme in un attacco aereo, per non soffrire la fame e questa continua agonia».
BADAWI, sfollato da Beit Hanoun, nel nord di Gaza, vive in un rifugio di fortuna fatto di teloni e coperte sulla costa di Gaza City. Da quando Israele ha infranto il cessate il fuoco a marzo, Badawi non ha ricevuto un solo pacco di cibo. Lui e sua moglie, insieme al figlio maggiore Mustafa, 15 anni, si sono abituati ad andare a letto affamati per permettere ai bambini più piccoli di mangiare le piccole porzioni di riso o lenticchie che ricevono occasionalmente dalla cucina della comunità. «Il più piccolo, Abdullah, che ha quattro anni, piange per la fame, dicendo che gli fa male lo stomaco. Mento e gli dico che presto porterò della farina, così potrà dormire», si lamenta Badawi

LA FAME COME ARMA A GIUDIZIO: ISRAELE TORNA DI FRONTE ALL’AJA
Ma anche se la farina fosse disponibile, Badawi non potrebbe permettersela. Fino alla fine di marzo, la maggior parte dei gazawi è sopravvissuta grazie a scorte di pane e prodotti in scatola, mentre i prezzi salivano. Ma poi la crisi si è aggravata: quando tutti i 26 panifici del Programma alimentare mondiale hanno chiuso per la carenza di farina e carburante, la farina bianca è diventata incredibilmente costosa. Un sacco da 25 chili, che prima della guerra costava 30 shekel (8,30 dollari), ora costa l’incredibile cifra di 1.500 (416 dollari).
«Ho preso in prestito denaro da vicini e amici molte volte per comprare la farina – dice Badawi – Ma ora tutti quelli che conosco sono al verde. I miei figli soffrono di coliche e indigestione. Se questa carestia continua, moriremo tutti di fame».
Hadia Radi, 42 anni, madre di sei figli, vive con la sua famiglia in una tenda di fortuna in Al-Wihda Street, a Gaza City. Come innumerevoli altre famiglie dell’enclave, da mesi affrontano fame e bombardamenti. Il 15 aprile un attacco aereo israeliano ha colpito a pochi metri dalla loro tenda, ferendo diversi membri della famiglia, tra cui Yamen, il figlio di 7 anni di Hadia, la cui gamba è stata rotta dalle schegge. Ora in cura nell’ospedale da campo Al-Saraya della Mezzaluna Rossa, il recupero di Yamen è complicato da una grave malnutrizione. «Ha perso 10 chili in due mesi – dice Radi a +972 – Dall’inizio del blocco non abbiamo mangiato altro che riso. Senza un’alimentazione adeguata, le nostre ferite non guariranno».

IL CIBO è ormai così scarso che anche i piccoli atti di gentilezza possono essere rischiosi. Di recente un vicino ha sentito Yamen piangere al telefono dalla tenda dell’ospedale, implorando la madre di avere del pane. La mattina dopo ha portato alla famiglia dieci pezzi di pane, nascosti in un sacchetto nero per non attirare occhi affamati. Radi ha nascosto il pane nella tenda come un tesoro: «Ogni giorno ne mandavo un pezzo a Yamen. Anche i suoi fratelli piangevano per averne un po’, ma io dicevo loro che i feriti dovevano venire prima».
Yamen continua a chiedere alla madre di fargli visita, ma Radi è bloccata dalle ferite riportate nell’esplosione: una gamba rotta che la lascia dipendente dalle stampelle. È altrettanto impotente nel raggiungere sua figlia Hannan, di 13 anni, curata nei reparti sovraffollati dell’ospedale Al-Shifa.
Hannan è stata colpita da schegge (ha perso un occhio) che l’hanno resa incapace di camminare. La mancanza di cibo ha reso estremamente difficile il recupero. «Ha bisogno di verdure, cibo sano e cure speciali per guarire – spiega Radi – Ma qui non c’è accesso a nulla di tutto ciò». Radi ritiene che Israele stia affamando Gaza per fare pressione su Hamas, ma dice che sono le famiglie normali a pagarne il prezzo: «Stiamo vedendo i nostri figli appassire e né Israele, né Hamas, né il mondo se ne preoccupano. Perché i miei figli dovrebbero morire di fame? Cosa abbiamo fatto per meritarci questo? Se non potete fermare la guerra, almeno aprite le frontiere. Non lasciateci morire di fame».
Anche Heba Malahi, 41 anni, vive in una tenda di fortuna in Al-Wihda Street a Gaza City da quando un attacco aereo israeliano ha distrutto la sua casa a Juhor ad-Dik nel 2023. Ora lei e suo marito Ribhi, 45 anni, saltano regolarmente i pasti per permettere ai loro sette figli di mangiare. Mahmoud, il figlio di sei anni della coppia, soffre di grave malnutrizione. «È sempre stanco. Non mangia, le ossa gli fanno male e i denti stanno iniziando a cadere – racconta Heba a +972 – La settimana scorsa ha chiesto l’elemosina per dei pomodori. Abbiamo venduto il nostro ultimo cibo in scatola solo per comprarne un chilo, lo abbiamo condiviso come unico pasto».
Gaza, un assedio lungo trent’anni. Come l’indifferenza

LA FIGLIA Ruba, 17 anni, desidera disperatamente cibi semplici come le patate, ma a 60 shekel al chilo sono praticamente irraggiungibili. «Netanyahu ci punisce solo per il fatto di esistere – dice Heba – Forse qualcuno come Trump potrebbe costringerlo ad aprire le frontiere prima che moriamo tutti di fame. Se la gente immaginasse i propri figli in questo stato, forse agirebbe.
Più a sud, a Khan Younis, Mona Al-Raqab è seduta con suo figlio Osama di cinque anni da oltre una settimana nel Nasser Medical Complex. Attualmente pesa solo nove chili. Sfollato più volte dall’inizio della guerra, con poco cibo e acqua pulita, il suo sistema digestivo ha quasi ceduto. «I medici cercano di nutrirlo – dice Al-Raqab – ma un bambino che cresce ha bisogno di cibo vero, di diversi tipi».
Qualche stanza più in là, Nagia Al-Najjar, 30 anni, veglia sul suo bambino Yousef, di cinque mesi, gravemente malnutrito, nella sua culla. Gli altri quattro figli sono rimasti con il padre nella loro tenda nel villaggio di Abasan, dopo che la loro casa nel quartiere Bani Suhaila di Khan Younis è stata distrutta. L’ospedale fatica a fornire latte artificiale in mezzo alla chiusura delle frontiere. «Non posso allattare perché mangio a malapena – dice Al-Najjar a +972 – Non riesco a trovare le parole per esprimere come mi sento come madre».
Il dottor Al Faraa ha spiegato che la mancanza di cibo ha causato aborti spontanei e neonati pericolosamente sottopeso con gravi deformazioni. Le famiglie ora macinano la pasta – o anche il riso e le lenticchie – per ottenere una farina di fortuna. «Non importa se io ho fame – dice Al-Najjar – Ma cosa hanno fatto i miei figli per meritarselo?».
*(Ruwaida Amer. Giornalista freelance di stanza a Khan Younis. “Vogliamo vivere!”: a Gaza rabbia contro Israele e proteste contro Hamas . –

 

02 – Marina Catucci*: TRA LA RISCOSSA DEM E LE DIFFIDENZE MAGA: LEONE DIVIDE GLI USA – IN POPE WE TRUST: L’OPINIONE PUBBLICA AMERICANA SI POLARIZZA DAVANTI AL NUOVO PONTEFICE. CHE PERÒ HA VOTATO SIA REPUBBLICANO CHE DEMOCRATICO

L’elezione del primo papa nordamericano ha causato un effetto immediato che fino a pochi minuti prima sembrava un’utopia impossibile da raggiungere: mettere nell’ombra Donald Trump. Dal momento dell’elezione a sorpresa di Robert Prevost negli Stati Uniti non si è più parlato d’altro.

LE PRIME REAZIONI sono arrivate dalla destra Maga che ha visto nel contenuto di alcuni post social di Prevost riguardanti Black Lives Matters, la guerra in Ucraina e il Muslim Ban voluto da Trump, il segno di una lampante adesione alle dottrine di sinistra più radicali.
In realtà Prevost, registrato per votare nel sobborgo di New Lenox, Illinois, secondo i dati condivisi da Cbs news, non sembra essere propriamente la bandiera della sinistra, e ha una storia di voto altalenante, avendo partecipato alle primarie sia del partito repubblicano che di quello democratico

IN ILLINOIS per votare alle primarie bisogna scegliere la scheda elettorale del partito, e a quanto pare Prevost ha votato più volte sia per le primarie repubblicane che per quelle democratiche.
L’ultima volta è stata alle elezioni generali del 2024, anche se non si sa per quale partito.
Questo non è il ritratto di un estremista di sinistra, ma non ha impedito all’influencer di estrema destra favorita da Trump, Laura Loomer, di definire Prevost un «burattino marxista», e di coniare per il nuovo papa la definizione che è poi stata ripresa da tutto il popolo Maga come marchio infamante: «Woke pope».
Mentre sui social media si rincorrevano le dichiarazioni dei commentatori vicini a Trump, sempre più infiammate, i conduttori di Fox news si scandalizzavano in diretta per il mancato uso dell’inglese durante il primo discorso di papà Leone XIV. «Ha parlato in italiano, latino e spagnolo e non in inglese – ha detto John Roberts, durante la conduzione della diretta per l’elezione del papa – Come può essere americano e non parlare in inglese?».
La tentazione dei laici di farne una guida politica

L’EX CAPO STRATEGA della Casa Bianca Steve Bannon, nel suo podcast ha definito l’elezione di Prevost la «peggior scelta per i cattolici Maga» e lo ha definito il «papa anti-Trump».
La giornalista Megyn Kelly, che inizialmente si era detta soddisfatta dell’elezione di un papa made in Usa, in rappresentanza dei circa 53 milioni di cattolici degli Stati Uniti, in seguito ha fatto marcia indietro e su X ha scritto di sperare che a scrivere quei post così radicalmente di sinistra non fosse stato Prevost, ma che «un ventenne gestisca l’account X del nuovo papa e lui non lo abbia mai guardato».
«Hanno nominato un papa americano di sinistra per contrastare il crescente sentimento populista nazionale e i movimenti come Maga che li sostengono», ha dichiarato il sondaggista Maga Rich Baris.

MENTRE A DESTRA continuano a serpeggiare rabbia e sdegno, a sinistra, invece, si respira un’euforia paragonabile quasi a quella dell’elezione di Obama.
Se il Conclave diventa un modello: oligarchia che non fa a meno del popolo
«Pope Hope», speranza papa, ha titolato Msnbc, l’emittente all news più di sinistra, dove l’ex speaker democratica alla Camera Nancy Pelosi, che con Joe Biden è uno dei pochi politici cattolici, ha discusso a lungo del progetto di portare il nuovo papa a parlare al Congresso, come è successo con Francesco. L’elezione di questo papa sembra aver dato alla sinistra Usa la speranza di aver finalmente trovato un argine a Trump capace di proteggerli, tanto che anche gruppi come il New Ways Ministry, organizzazione che si batte per i cattolici gay, lesbiche, bisessuali e transgender hanno rilasciato dichiarazioni soddisfatte e speranzose.

DA ENTRAMBI I FRONTI le reazioni all’elezione di Prevost sembrano andare oltre la comprensibile risposta a un evento storico mai accaduto prima, come l’elezione del primo papa statunitense. E se la destra grida allo scandalo, la sinistra mostra tutto il suo genuino bisogno di una leadership salvifica capace di opporsi allo strapotere autoritario di Trump
In questa luce le dichiarazioni del vescovo Robert Barron assumono un significato quasi didascalico. Barron, nominato da Donald Trump alla commissione sulla Libertà religiosa, prima dell’elezione di papa Leone XIV aveva rilasciato una dichiarazione in cui citava il suo mentore, il cardinale Francis George di Chicago, secondo il quale uno dei motivi per cui un americano non era mai stato eletto papa era l’attuale predominio politico del paese
Per George finché l’America non fosse entrata in un declino politico, non ci sarebbe stato un papa statunitense, in quanto gli Stati Uniti, dovendo già gestire il mondo occidentale politicamente, culturalmente ed economicamente, non avrebbero voluto, né potuto, governare anche la Chiesa. L’elezione del primo papa americano, quindi, va letto come il declino del potere americano.
*(Marina Catucci – Giornalista e documentarista, corrispondente dagli Usa per Il Manifesto. Ho girato 11 documentari e scritto un’infinità di articoli. Racconto NY, gli Usa.)

 

03 – Comitato SI alle rinnovabili NO al nucleare. PARTENDO DAL RICORDO DI MASSIMO SCALIA, CONTRO IL RITORNO DEL NUCLEARE IN ITALIA, PER LO SMANTELLAMENTO DELLE VECCHIE CENTRALI E LA MESSA IN SICUREZZA DELLE SCORIE CHE IL GOVERNO NON GARANTISCE.
Il GOVERNO HA APPROVATO UNA PROPOSTA DI LEGGE PER IL RITORNO AL NUCLEARE CIVILE IN ITALIA. GIORGIA MELONI HA CONFERMATO A TRUMP QUESTA DECISIONE.
RIDISCUTERE DEL NUCLEARE CIVILE DOPO BEN 2 REFERENDUM POPOLARI NEGATIVI NON HA SENSO. IL GOVERNO DEVE RISOLVERE ANZITUTTO IL PROBLEMA DELLE SCORIE RADIOATTIVE ESISTENTI (95.000 metri cubi), A CUI SI STANNO PER AGGIUNGERE QUELLE CHE TORNERANNO DA INGHILTERRA, FRANCIA, SLOVACCHIA DOPO I TRATTAMENTI NECESSARI, TUTTE DA COLLOCARE IN SICUREZZA E CON GARANZIE CERTE.

LA PRIORITA’ OGGI E’ LO SMANTELLAMENTO DELLE CENTRALI NUCLEARI DISMESSE E LA MESSA IN SICUREZZA DELLE SCORIE RADIOATTIVE SONO OBIETTIVI CHE OGGI IL GOVERNO NON GARANTISCE.
Le scorie nucleari più pericolose inviate anni fa in Francia e Regno Unito per metterle in sicurezza (con alti costi) torneranno entro il 2025 in Italia, a meno di improbabili proroghe.
Nessuno sa dove metterle perché i 2 depositi per le scorie radioattive non sono stati realizzati e quindi non si sa dove stoccare nè quelle a medio bassa radioattività – con durata misurabile in centinaia di anni – nè quelle ad alta radioattività misurabile in migliaia di anni che non a caso la Francia intende collocare in un deposito a 500 metri di profondità adottando misure di maggiore sicurezza.
Il governo italiano nel suo nuovo progetto sul nucleare fa slittare i tempi dello smantellamento delle vecchie centrali fino al 2039, mentre propone di installare nuove centrali elettronucleari dando per utilizzabili prototipi di centrali che non sono tuttora disponibili. Inoltre è sicuro un aumento dei costi dello smantellamento delle vecchie centrali e un aumento conseguente sulle bollette dell’energia elettrica
L’Associazione promuove per il 23 maggio 2025 con inizio alle ore 15,30 un convegno online, con collegamento streaming, introdotto dal Presidente Vittorio Bardi.
Il convegno ricorderà anzitutto il prof. Massimo Scalia, protagonista di proposte sullo smantellamento delle strutture nucleari dismesse e delle battaglie referendarie nel 1987 e nel 2011 contro il nucleare in Italia.
Interverranno per ricordare Massimo Scalia: Alfiero Grandi, presidenza nazionale, Stefano Ciafani presidente Legambiente, Giuseppe Onufrio direttore Greenpeace Italia, Maria Grazia Midulla wwf, prof. Vincenzo Naso.
Dopo il ricordo di Massimo Scalia si parlerà di smantellamento delle vecchie centrali partendo dall’ultima iniziativa promossa da Massimo Scalia il 23 aprile 2023, e del ritorno da Francia, Regno Unito, Slovacchia in Italia di scorie pericolose ad alta radioattività mentre i depositi previsti dalla legge per le scorie radioattive in Italia semplicemente non esistono.
Ne parleranno Paolo Bartolomei, presidenza nazionale, Gan Piero Godio (Saluggia, Trino, Alessandria) Pasquale Stigliani (Scanziamo le scorie), Famiano Crucianelli (no alle scorie nella Tuscia) Marco Filippeschi direttore esecutivo ALI (associazione di comuni), Marco Pezzoni presidenza (Caorso)
Conclude i lavori Massimo Serafini, presidenza nazionale
Tutti gli interventi dovranno essere rigorosamente contenuti in 15 minuti.
Indicazioni per seguire l’incontro in streaming sulla pagina facebook:
https://www.facebook.com/forumdelleidee/
Chi parteciperà allo streaming potrà inviare domande, osservazioni e brevi posizioni (max 10 righe) alla mail dedicata: rinnovabilisinucleareno@gmail.com
*(A. Grandi – Comitato SI alle rinnovabili NO al nucleare.)

 

04 – PAPA PREVOST, PRIMO PONTEFICE AMERICANO – Alla quarta votazione, i 133 cardinali riuniti in conclave hanno deciso: il nuovo Papa sarà Robert Francis Prevost, noto come Papa Leone XIV: sarà il primo Papa americano della storia della Chiesa. (*)

“La pace si con tutti voi” e che sia “una pace disarmata e disarmante”: sono state le prime parole di Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, primo Papa americano nella storia della Chiesa di Roma. Nato a Chicago 69 anni fa, il nome di Prevost non era tra i ‘papabili’ circolati sulla stampa negli ultimi giorni. Creato cardinale da Francesco nel 2023, l’ex capo dell’ordine agostiniano e già prefetto del potente Dicastero per i vescovi, che sovrintende alla selezione dei nuovi vescovi in tutto il mondo ha salutato la folla in piazza San Pietro auspicando “una Chiesa missionaria che costruisca ponti di dialogo”. La sua elezione era in attesa anche per la tradizionale e storica opposizione del Vaticano all’idea di un Papa statunitense, a causa dello status di superpotenza del Paese e della sua influenza secolare a livello globale. Ma gli incarichi di alto livello, uniti alla sua significativa esperienza missionaria in Perù, prima nella diocesi di Trujillo, poi come vescovo della città settentrionale di Chiclayo, lo avrebbero aiutato a superare le resistenze di coloro che non avrebbero sperato in un Papa americano. Appena appresa la notizia, il presidente statunitense Donald Trump si è congratulato con lui in un post su Truth Social. “È un grande onore sapere che è il primo Papa americano. Che emozione, e che grande onore per il nostro Paese. Non vedo l’ora di incontrare Papa Leone XIV. Sarà un momento molto significativo” ha detto.

HABEMUS PAPAM: IL MONDO DI LEONE XIV – “UN LEADER CARISMATICO”?
Nato a Chicago, Illinois, da una famiglia con radici italiane, francesi e spagnole, Prevost – definito un “leader carismatico” dalla CNN – ha conseguito la laurea in matematica presso la Villanova University in Pennsylvania e poi il diploma in teologia presso la Catholic Theological Union di Chicago. Successivamente fu inviato a Roma per studiare diritto canonico presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino e fu ordinato sacerdote nel giugno 1982. Nel corso degli anni ha trascorso gran parte della sua carriera come missionario in Sud America e, in particolare in Perù dove ha prestato servizio dal 2014 al 2023. Membro dell’ordine religioso Agostiniano, che ha anche guidato per più di un decennio in qualità di priore generale, l’incarico gli ha permesso di acquisire esperienza di leadership nella guida di un ordine diffuso in tutto il mondo. Negli ultimi anni ha guidato il Dicastero per i Vescovi, il potente ufficio vaticano per le nuove nomine dei vescovi, valutando i candidati e formulando raccomandazioni al defunto Papa. Ha anche ricoperto la carica di presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina. “Prevost è considerato un leader eccezionale. Fin da giovanissimo, ha ricoperto ruoli di leadership, ha detto di lui Elise Allen, vaticana della CNN: “È considerato una persona calma ed equilibrata, imparziale e molto chiara su ciò che ritiene necessario fare. Ma non eccessivamente aggressivo nel cercare di ottenerlo”.
*(ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale – L’ISPI Daily Focus è a cura di Alessia De Luca)

 

05 – 80 ANNI DOPO: L’EUROPA NEL DISORDINE GLOBALE – A OTTANT’ANNI DALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDI.ALE, LA RUSSIA E LE POTENZE DELL’EUROPA OCCIDENTALE CELEBRANO L’ANNIVERSARIO CON CERIMONIE SEPARATE, ALL’OMBRA DELLA GUERRA IN UCRAINA E DELLE PROFONDE FRATTURE NELL’ORDINE MONDIALE
Nell’80° anniversario dalla fine della Seconda guerra mondiale, l’Europa è alle prese con sfide esistenziali e il disfacimento dell’ordine globale in vigore dal 1945. La guerra in Ucraina ha nuovamente diviso il continente, riportando sul suo terreno la minaccia di conflitti che si credevano segregati al passato, mentre i populismi indeboliscono il progetto di integrazione che ha garantito pace e stabilità al continente dal secondo dopoguerra. Intorno, altri pilastri vacillano: il partenariato transatlantico, architrave del progresso europeo, subisce i colpi inferti dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Gli Stati Uniti sembrano aver sacrificato sull’altare dell’America First i valori condivisi di libertà, democrazia e libero commercio. L’erosione dell’alleanza con l’Europa va di pari passo con quella dell’ordine internazionale, di cui il caos economico innescato dalla guerra dei dazi è solo l’esempio più clamoroso. Riconoscendo quanto sia profondamente cambiato il contesto di sicurezza, con gli Stati Uniti in ritirata dal loro ruolo guida con atteggiamento ostile, l’Europa sta aumentando radicalmente la spesa per la difesa. È un iniziale, incerto, tentativo di riaffermare la propria sovranità in un mondo segnato dal caos e dell’incertezza. Come osserva Sylvie Kaufman su Le Monde: “Ottant’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, l’unica evidenza è che l’ordine internazionale che le è succeduto è crollato, e che quello destinato a sostituirlo deve ancora essere costruito”.

 

 

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