4377 URUGUAY:"ITALIANI DOVETE VOTARE": A COLLOQUIO CON IL PRESIDENTE DEL COMITES DI MONTEVIDEO PIZZUTI

20080215 14:27:00 redazione-IT

MONTEVIDEO – "A volte mi chiedo se sia giusto che si voti all’estero". Armando Pizzuti, in carica come presidente del Comites di Montevideo da più di 15 anni, non ha peli sulla lingua. "A volte mi chiedo dove siano gli 80 mila passaporti italiani rilasciati in Uruguay. Me lo sono chiesto ad esempio lo scorso due giugno alla cerimonia per la Festa della Repubblica. Se non ci fosse stata la Scuola Italiana saremo stati meno di 10". Pizzuti, 80 anni, abruzzese, due figli, una nipote, una ditta di ciclomotori nel quartiere di Bell’Italia, è nel Comites dall’anno della sua nascita e allora ricopriva la carica di vicepresidente. Poi è passato alla presidenza piena e non l’ha più lasciata.

Quelle di aprile saranno le sue seconde elezioni politiche all’estero come leader del "parlamentino" in Uruguay. Federica Manzitti della redazione di Montevideo di Gente d’Italia, il quotidiano delle Americhe diretto da Mimmo Porpiglia, lo ha incontrato e con lui ha discusso delle imminenti elezioni politiche.
"Nonostante questo sia uno dei Paesi con la percentuale più alta di affluenza alle urne, far votare la gente non è facile", racconta. Il compito dei Comites in occasione delle elezioni è infatti istituzionale, ossia aiutare il Consolato ad informare la comunità sulle modalità di voto. Raggiungere le associazioni ed i singoli per invitarli ad esercitare il diritto-dovere e nei termini previsti. Il fatto che una buona parte dei suoi membri sia costituita anche da candidati delle differenti liste è questione a parte. "Ognuno si fa la sua campagna elettorale, ma al di fuori del Comites", spiega. Per le passate elezioni era stata organizzata, due giorni prima l’apertura delle urne, una riunione nella sede di Av. 8 de Octubre per dare personalmente le indicazioni e le informazioni utili agli elettori. Lo stesso si ripeterà quest’anno.
D. Pizzuti, perché dice che è difficile far votare gli italiani?
R. "Perché non conoscono la politica italiana. Non si può pretendere che l’informazione fatta negli ultimi due mesi prima del voto basti a dare un orientamento completo all’elettore. L’informazione durante il resto del tempo, ossia al di fuori della campagna elettorale, e penso soprattutto a quella della Rai, è assolutamente scadente".
Secondo Pizzuti in Uruguay come in tutto il Sud America si vota con il passaparola, perché altre fonti di informazione politica non bastano a dare sufficienti strumenti per decidere autonomamente. E il passaparola non è lo strumento di una democrazia matura. La Rai che dovrebbe per convenzione con lo Stato fornire il servizio, "manda giochi a premi o altri programmi inconsistenti", dice Pizzuti.
D. Per questa ragione dice che il diritto del voto all’estero andrebbe rivisto?
R. "Forse anche per questa ragione. Credo dovremmo essere aiutati e sostenuti dall’Italia. Abbiamo il diritto sacrosanto a ricevere dei contributi per sostenere le comunità, soprattutto i più poveri. Lo Stato italiano ha sempre destinato dei fondi al sostegno dei connazionali all’estero. Con la creazione dei Comites questi contributi sono aumentati. Adesso si stanno tagliando. Ma rimane una voce importante, oltre che un intoccabile diritto per noi".
D. Ma allora le tasse?
R. "Non paghiamo le tasse, ma compriamo molti prodotti italiani. Soprattutto gli imprenditori sostengono indirettamente l’economia rivolgendosi a materie prime e tecnologie del nostro Paese. Anche per questo l’assistenza alle comunità all’estero è un diritto. Bisognerebbe invece distribuire meglio le risorse".
D. Ossia?
R. "I soldi dello Stato non arrivano a chi dovrebbero arrivare. Ci sono troppi intermediari: le corporazioni, le banche, tanti soggetti che rendono difficile, a volte impossibile, l’accesso ai prestiti e agli aiuti che invece l’Italia stanzia. Dovremmo andare a vedere come i gestori e le corporazioni spendono la loro parte: quanti viaggi, quali alberghi, che riunioni si pagano. Se un imprenditore ha bisogno di accedere ad un fondo, deve affrontare mille difficoltà perché le banche richiedono troppe garanzie e i fondi che potrebbero servire a questo si sono persi strada facendo. Sono spesso gli intermediari a mangiarseli".
Pizzuti ricorda che alle passate elezioni politiche si sono avuti candidati che hanno preso solo dieci voti, e che il vincitore che aveva preso 15mila voti, Italo Colafranceschi, è morto lasciando il campo a chi ha totalizzato molte meno preferenze.
"Ad esempio: Colafranceschi aveva una striscia televisiva settimanale dedicata alla comunità, alla poltica, alla cultura italiana. Morto lui non se n’é più fatto niente. La comunità sta diventando pigra. L’informazione, se togliamo Gente d’Italia che da quattro anni sta lavorando seriamente e quotidianamente in questo Paese, è troppo scarsa".
D. Allora il voto all’estero è inutile?
R. "No, anzi ha un ruolo essenziale. Accende i riflettori sulle nostre comunità. Grazie al voto i politici hanno cominciato a guardare con maggiore attenzione alle nostre realtà. Purtroppo credo che la politica avrebbe dovuto farlo anche prima, perché adesso questo interesse indotto dalla opportunità sembra un ricatto. Comunque dobbiamo riconoscere al voto questo compito fondamentale".
Le elezioni di aprile per Pizzuti non dovrebbero riservare grandi sorprese. "In Uruguay e in Sud America in generale vince sempre il centrosinistra", dice senza esitazioni.
D. Come se lo spiega?
R. "Perché le persone benestanti, gli imprenditori che voterebbero a destra non hanno interesse a votare. Non vanno alle urne, non spediscono il plico al Consolato. Chi vota è la classe media, sono le persone che hanno bisogno e che votano a sinistra".
Così è nel Pizzuti-pensiero, legato ad una comunità di nati in Italia che si sta lentamente estinguendo anche se l’eredità di quello che ha creato, anche politicamente, in questi Paesi non se ne andrà con loro. Alle urne però ci vanno, se non i dirigenti d’azienda (altra specie sociale che la globalizzazione sta portando via anche dall’Uruguay), i figli dei figli, le terze generazioni che magari non frequentano le iniziative del Comites o della Casa degli Italiani, ma al momento di esprimere una preferenza non si tirano indietro.
"Quando ci accusano (il Comites, ndr) di non essere disponibili nei confronti dei giovani, mi arrabbio", ammette il presidente. "Noi cerchiamo con i nostri mezzi di coinvolgerli nelle iniziative. Ultimamente e’ accaduto che ad una riunione, prima dell’inizio delle vacanze estive, si siano presentate dieci persone. Solo dieci ragazzi per una riunione sulla Conferenza Mondiale di Roma che parla esclusivamente delle loro esigenze e delle loro opportunità. E le dirò di più: quando si viene a sapere che saranno solo cinque, tra tutti, che andranno in Italia in rappresentanza dei giovani italo-uruguayani, solo cinque ragazzi torneranno alla riunione seguente".
D. Cosa intende dire?
R. "Che c’è un rapporto opportunistico con la comunità e con l’Italia. I giovani si sentono uruguayani, non sono interessati a formare una comunità se non per ritorno personale. Questa è la mia opinione e non ho timore di esprimerla anche se so di attirarmi molte antipatie. In fondo lo capisco: esistono ragioni anche, come dire, anagrafiche che sono di tutti. Quando una persona mette sù famiglia e comincia a costruirsi un futuro, tra i 25 ed i 40 anni, si allontana dalla comunità. È stato così anche per me. Io a quell’età non avevo tempo per le feste, le riunioni e le partite a carte. Si ritorna quando si hanno i figli più grandi. Quindi c’è un salto generazionale, direi, naturale, che non possiamo criticare", spiega l’imprenditore italiano. "Però voglio fare un altro esempio: ricordo quando una volta non c’erano i servizi di assitenza che ci sono ora come l’Aiuda ed il Coasit, o semplicemente quando il contributo dall’Italia era più esiguo. Se i fondi finivano e sorgevano casi di famiglie in difficoltà, la comunità tutta si tirava su le maniche senza aspettare. Si facevano collette, si organizzavano lotterie. Le singole associazioni compravano anche 100 biglietti per contribuire. Oggi è impensabile. Nessuno mette mano al portafogli e il Comites, con i circa 23mila euro all’anno che prende di contributi, riesce a mala pena a pagare le spese di gestione della sede".
La prossima riunione plenaria del Comites sarà il 22 febbraio. Si parlerà del voto, delle campagne di informazione per la comunità e degli appuntamenti che precederanno le giornate di aprile. Il Comitato, che oggi conta una maggioranza di centrosinistra di 8 su 12, dovrà poi guardare alle proprie elezioni quando tra un anno e mezzo sarà chiamato a rinnovarsi. "Io sono un po’ stanco di ricoprire questo ruolo", ammette il presidente in carica Pizzuti, "preferirei passare il testimone a qualcun’altro".

 

 

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