20161027 14:17:00 guglielmoz
CUBA. L’AVANA OTTIENE L’APPOGGIO DI 191 PAESI ALLA RISOLUZIONE L’AVANA, BANDIERA USA E CUBANA
ADIÓS OBAMA. Mancano ormai pochi giorni perché l’amministrazione del primo presidente nero degli Usa sia storia. Al di là di considerazioni tattiche o ideologiche, è lecito affermare che il suo è stato il governo nordamericano che ha posto maggior interesse e capitale politico nel rendere possibile il processo di normalizzazione con il governo cubano.
E lo ha dimostrato anche la settimana scorsa emettendo una nuova direttiva presidenziale con la dichiarata intenzione di «rendere irreversibile» il processo iniziato nel dicembre del 2014 e negando che era intenzione della Casa bianca provocare un cambio politico nell’isola.Roberto Livi
L’AVANA 27.10.2016
Intenzione, questa, clamorosamente confermata ieri all’Onu: gli Stati uniti per la prima volta non hanno votato contro la proposta di risoluzione per mettere fine al più che cinquantennale embargo Usa contro Cuba presentata dal ministro degli esteri dell’Avana. Il rappresentante di Washington, seguito a ruota dal fedele alleato Israele, si è infatti astenuto. Di modo che la mozione di condanna ha fatto il pieno: 191 voti a favore e due astenuti.
NELLA SETTIMANA che ha preceduto la votazione di ieri, a Cuba si sono susseguite manifestazioni antimperialiste, prese di posizioni di organismi della «società civile» – organizzazioni di massa legate al partito comunista o collettivi di lavoro di imprese statali – volte ad affermare che, nonostante le misure adottate da Obama, l’embargo – e le sue nefaste e illecite conseguenze per l’economia e la società cubana – seguono vigenti. Non è passato giorno senza che i telegiornali e i vari programmi della tv statale abbiano ripreso il tema del «Io voto contro il bloqueo» con un ritmo martellante nei giorni precedenti la votazione.
IN TUTTE queste manifestazioni organizzate nell’isola, il presidente numero 44 degli Usa è stato sottoposto a dure critiche. Una delle più contundenti è avvenuta durante una manifestazione di studenti riuniti di fronte all’università dell’Avana. Josefina Vidal, la diplomatica che guida da quasi due anni la delegazione cubana nelle trattative per normalizzare le relazioni con Washington, seduta su un improvvisato palco in mezzo a quello che è stato definito un avispero, uno sciame di giovani, ha più volte affermato che Obama non ha voluto usare tutte le possibilità in suo possesso per migliorare queste relazioni, in sostanza prendendo misure che favoriscono ben più gli Usa che il popolo cubano. Per non parlare del reiterato rifiuto a trattare l’abbandono della base Usa a Guantanamo, una delle condizioni poste dal governo di Raúl Castro – assieme alla fine del blocco – per giungere a una vera normalizzazione dei rapporti con Washington.
CON LE SUE DIRETTIVE e ordini esecutivi, però, Obama ha di fatto rafforzato il governo cubano: ha infatti indebolito gli anticastristi (la contra) del cosiddetto esilio storico della Florida mettendoli in conflitto non solo con i politici più aperti a una soluzione di un contenzioso storico definito disastroso dallo stesso presidente, ma anche con gli uomini d’affari nordamericani interessati a un nuovo e promettente mercato. Nonostante le dichiarate intenzioni di favorire «lo sviluppo autonomo della società civile cubana» e di «promuovere la democrazia a Cuba» , le direttive e le azioni del presidente Obama hanno indebolito anche l’opposizione interna all’isola (in generale dipendente dai finanziamenti nordamericani) e hanno spinto anche l’Unione europea a accelerare le trattative con l’Avana con l’obiettivo di mettere fine alla cosiddetta posizione comune – a suo tempo voluta dall’allora presidente Bush e dal suo omologo spagnolo Aznar.
SUL PIANO TATTICO la mobilitazione anti embargo ha avuto un grande successo – accolto con grande entusiamo ieri all’Avana: per la prima volta infatti gli Stati uniti si sono astenuti su una mozione dell’Onu che condanna una misura da loro decisa unilateralmente. Segno, appunto, che la politica di Obama lascia uno zoccolo duro sul quale può appoggiarsi – sempre che lo voglia – il prossimo capo della Casa bianca. La violenza delle critiche rivolte però a Obama dalla leadership cubana – sulle orme di Fidel che, nella sua ultima «riflessione» pubblicata dal quotidiano del partito comunista due settimane fa, ha proposto che al presidente Usa venga assegnata «una medaglia di coccio» – lasciano però il dubbio che la ripresa delle trattative non sarà facile.
CALVO OSPINA, INCHIESTA SU GUANTANAMO
Intervista. In Italia il documentarista colombiano di Geraldina Colotti 27.10.2016
S’intitola Todo Guantánamo es nuestro l’ultimo documentario dello scrittore e giornalista colombiano Hernando Calvo Ospina, firma di Le monde diplomatique.
OSPINA ha partecipato alla resistenza popolare in Colombia, ha subito carcere e torture e oggi risiede in Francia. Lo abbiamo incontrato a Roma, invitato dall’Associazione di amicizia Italia-Cuba, durante la conferenza dell’ambasciatrice Alba Soto Pimentel. Una iniziativa per denunciare la persistenza del blocco economico contro l’isola, e lanciare la campagna #YoVotoVsBloqueo: #Cubavsbloqueo, per cui si può votare su www.cubavsbloqueo.cu. Cambierà qualcosa questo storico voto all’Onu dopo quello dell’anno scorso (191 a favore di Cuba)?
NEL 2016 – ha denunciato l’ambasciatrice – il governo Usa ha imposto multe milionarie a banche e istituzioni finanziarie che hanno rapporti con Cuba. Il danno economico causato dal bloqueo, da aprile 2015 a quello del 2016, ammonta a 753.688 milioni di dollari. In più di 50 anni, «i danni sono oltre 125.873 milioni di dollari: il maggior ostacolo allo sviluppo economico e al benessere del popolo cubano. Chiediamo al presidente Obama di usare le ampie facoltà esecutive di cui gode per demolire la politica del blocco». La disponibilità di Cuba è intatta, ma «sulla base del rispetto assoluto della sua indipendenza». E pesa la questione di Guantanamo occupata dalla base navale Usa, che Cuba rivuole, e di cui parla il documentario. Secondo vecchi accordi «di locazione» coloniali, gli Usa continuano a inviare una cifra simbolica, che il governo cubano rifiuta.
OSPINA, UN SECONDO DOCUMENTARIO DEDICATO A CUBA DOPO QUELLO SUL BLOCCO ECONOMICO, E SEMPRE CON UNA PROSPETTIVA «DAL BASSO». PERCHÉ?
Per settimane ho messo insieme dichiarazioni di Fidel e Raul Castro su Guantanamo. Durante il montaggio, mi sono accorto però che non erano necessarie: le persone comuni che compaiono fornivano un racconto completo. Fin dall’inizio, l’idea è stata quella di dare la parola alle persone che abitano in questa zona di frontiera.
COME VIVONO L’IMPOSIZIONE DELLA BASE? E I GIOVANI?
Oggi la base incide poco. Fino a quattro anni fa, dava ancora lavoro a qualche cubano, che ogni mattina passava la «frontiera» e tornava a casa la notte. Per loro, la presenza della base si faceva sentire. E per anni, durante la rivoluzione, i salari di quei lavoratori impiegati nella base militare – oltre 1.000 – hanno inciso sull’economia della regione. Per i giovani, la base fa parte del paesaggio. L’hanno sempre vista lì, ma ne conoscono bene la storia. Fino agli anni ’90, la base ha avuto effetti psicologici gravi: tutti pensavano che avrebbe potuto prodursi un’invasione. Infatti, si verificavano molteplici aggressioni e provocazioni, alle quali le truppe cubane non hanno mai risposto per evitare il peggio. A tutt’oggi, il danno economico è ingente perché i pescatori non possono utilizzare l’immensa baia che trabocca di una gran quantità e diversità di pesce.
MOLTI PENSANO CHE IL BLOQUEO SIA FINITO.
Non è affatto venuto meno, in particolare per il settore economico e finanziario. A Cuba è sempre vietato avere relazioni economiche con molti paesi del mondo perché le leggi extraterritoriali Usa lo proibiscono. E non può usare il dollaro per le transazioni.
CUBA OSPITA DI NUOVO I DIALOGHI TRA SANTOS LE FARC
Vorrei essere ottimista, però conoscendo lo Stato colombiano… Il paramilitarismo, che fa parte del cuore repressivo, è sempre forte. Inoltre, dagli accordi non è chiaro quale guadagno ricaverà la maggioranza dei colombiani in termini di sviluppo sociale ed economico dal disarmo delle Farc. Di certo, questo aiuterà a diminuire la violenza, anche se la maggioranza delle vittime non è stata causata dallo scontro tra stato e guerriglia: sono l’esercito e i suoi paramilitari ad assassinare i contadini per rubare le terre e consegnarle alle multinazionali. Da pragmatico, spero comunque che sia lo stato colombiano, per quanto repressore e genocida, che Washington capiscano che con una pace con giustizia sociale la grande oligarchia e le transnazionali, in particolare quelle Usa, potranno ottenere maggiori guadagni.
Fonte: Il Manifesto
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