REFERENDUM/FIEI: La nostra rivolta è iniziata e continuerà; in Italia e all’estero.

 

Comunicato Fiei

 

REFERENDUM: La nostra rivolta è iniziata e continuerà; in Italia e all’estero.

 

Il risultato dei referendum non ha sortito l’effetto immediato sperato. L’abrogazione delle norme oggetto dei 5 quesiti è rimandato per il mancato raggiungimento del quorum. Resta però un obiettivo per una parte consistente di elettori: circa 13 milioni di persone che hanno risposto Sì e molte altre che non si sono potute esprimere.

Si trattava di cancellare un corpus di norme che hanno imposto la svalorizzazione del lavoro e la sua estrema precarizzazione come modalità di competizione internazionale nel lungo il ciclo neoliberista apertosi dagli anni ‘80 in poi.

Al di là della cancellazione formale di tali leggi e di tale approccio, ad oltre un trentennio di distanza i risultati sono sotto gli occhi di tutti: l’Italia è l’unico paese europeo in cui i salari reali sono diminuiti, mentre in tutti gli altri sono, in misura diversa, aumentati. E’ il paese con uno dei tassi più alti di incidenti e morti sul lavoro. E’ il paese con il più alto decremento demografico al mondo. E’ il paese con uno dei maggiori flussi di nuova emigrazione che ha portato negli ultimi 20 anni circa 3 milioni di persone a cercare migliori condizioni di vita all’estero.

Questi dati oggettivi forniscono un elemento di giudizio sostanziale sull’efficacia delle politiche per il lavoro in Italia nella stagione del neoliberismo.

Come in più occasioni ripetuto dalla Cgil non si è trattato di responsabilità addebitabili a questo o quel governo, ma, salvo poche differenze, a tutti quelli che si sono succeduti nei trenta anni ingloriosi della seconda repubblica, in un tragitto che aveva l’obiettivo della progressiva cancellazione dello Statuto dei Lavoratori di Brodolini e il primato dell’impresa magari tramite concertazione, ma con un unico vero direttore d’orchestra.

In questo senso, il Referendum si inserisce in un lungo tragitto il cui esito negativo è evidente, ma di cui si fatica a prendere atto sia, ovviamente, nell’attuale destra – che ha sostituito pro-tempore le elites politiche neoliberali di questi decenni, continuandone il loro percorso a mo’ di pilota automatico -, sia in settori del centro sinistra interpreti e comprimari di quella fase.

Le polemiche post-voto danno atto di questa particolarissima configurazione dello spettro politico e mediatico che, nel frattempo, trova una sua provvisoria declinazione nel riarmo come risposta alla crisi dell’occidente e a riconferma e salvaguardia del primato capitalistico sui popoli che lo compongono.

Da questo punto di vista, il fatto che oltre 15 milioni di persone si siano recate a votare e che oltre 13 milioni di elettori abbiano votato Sì, non è cosa marginale: era la prima volta che potevano farlo su questi temi e lo hanno fatto pur in presenza di azioni di disinformazione istituzionalmente organizzata che ha rari precedenti.

La loro espressione di voto non è un semplice segnale, ma una indicazione precisa di quali siano le priorità che una politica che intende rappresentarli deve seguire e perseguire.

Il mancato raggiungimento del quorum è soltanto la conferma che ci troviamo nel bel mezzo di una transizione molto complessa e difficile che deve fare il suo corso. Si tratta cioè di un primo passaggio a cui dovrà seguire una intensificazione della mobilitazione della “rivolta” contro il neoliberismo che si annida nelle istituzioni, nella politica e anche nel sociale, finanche nelle menti e perfino dello stesso mondo del lavoro.

Una analisi del voto dal punto di vista territoriale mostra lo sfilacciamento dell’attenzione e quindi di partecipazione al voto in corrispondenza di specifiche configurazioni produttive, della loro concentrazione settoriale, della parallela “egemonia culturale” prevalente tra regioni e regioni, tra realtà metropolitane e provinciali; il trascinamento al ribasso della partecipazione avviene in corrispondenza degli elementi di degrado e di debolezza, di frustrazione e di “mancanza” di futuro.

Poi ci sono altri elementi di analisi che prescindono da questi: per esempio quelli legati alla estrema flessibilità e mobilità territoriale di tanti giovani e lavoratori che non hanno potuto votare perché fisicamente dislocati rispetto ai registri elettorali comunali, costruiti sulla base della residenza.

Bisognerà capire bene quanti degli oltre 2 milioni di “fuorisede” sono riusciti a votare. E quanti degli oltre un milione di “provvisoriamente all’estero” sono riusciti a farsi inserire nei registri aggiuntivi per il voto all’estero.

Bisogna capire quanti degli elettori Aire all’estero sono stati effettivamente raggiunti con l’invio dei plichi elettorali dai consolati.

Queste categorie di cittadini sono quelle in cui gli elementi di destrutturazione e di precarizzazione progressiva del mercato del lavoro sono più alti. Insieme fanno all’incirca 4 milioni di persone.

Nella discussione sulla permanenza o meno del quorum ai referendum, non sarebbe male introdurre questi elementi di riflessione: a fronte di una mobilità mai vista, la configurazione delle modalità di voto è legata ad un contesto di stabilità e residenzialità per molti inesistente.

Né le norme di iscrizione ai registri aggiuntivi consentono di porvi un serio argine: i moduli da compilare, inviare ai comuni o ai consolati vengono resi pubblici due o tre settimane prima della loro scadenza e la loro pubblicità è irrisoria; sarebbe giù molto se un 5% delle persone li avesse utilizzati.

Quanto agli italiani all’estero ci si chiede se il Maeci sia in grado di garantire che tutti i 5,3 milioni di connazionali abbiano davvero ricevuto il plico per votare, agli indirizzi corretti, nei tempi dovuti. E quanto sia stato investito dallo Stato in questa occasione per la gestione del voto per corrispondenza. Quasi in 4 milioni di loro non hanno votato, seppure il voto per corrispondenza, da un punto di vista pratico, sia meno impegnativo dell’andare a votare in un seggio.

Dunque, sommando queste cifre, visto che il dibattito in corso si incentra anche sulla questione del quorum, non è improbabile che 8 milioni di italiani non siano stati messi in condizione di votare. Ergo il “quorum effettivo” di cui dovremmo prendere atto non era del 50%, ma di circa il 40%.

Quanto all’informazione al voto, più in generale, in questa occasione si è raggiunto l’apice dell’oscuramento, quando non dell’inquinamento, studiato e programmato, dell’oggetto dei 5 referendum. E’ inquietante che in questa opera sia sia distinto il cosiddetto servizio pubblico, ancora in mano alle consorterie politiche neoliberali di primo e second’ordine.

Nel panorama descritto, i 13 milioni di Sì e i 15 milioni di votanti sono un risultato ancora più notevole e significativo. Superiore ad ogni aggregato noto; e qualitativamente non generico, ma di parte; di una parte precisa e consapevole.

E’ questa parte che può assumere e rafforzare una sua soggettività trasformatrice negli anni che vengono. A partire dalla questione del riarmo e della riconversione industriale in chiave bellica, che attentano al welfare e che si portano dietro molte altri corollari di ordine sociale e politico.

Un’ultima nota apparentemente contrastante con quanto detto: il risultato, insoddisfacente, registratosi sul quesito sulla riduzione dei tempi per il riconoscimento della cittadinanza (che riguarda circa 2,5 milioni di concittadini stabilmente residenti in Italia). Su questo ci permettiamo di richiamare quanto scritto 60 anni fa da Carlo Levi e Paolo Cinanni sulla segmentazione progressiva del mondo del lavoro nelle società con consistente presenza di immigrati. La concorrenza tra lavoratori autoctoni e immigrati indotta dall’impresa e da chi la rappresenta mediaticamente e politicamente, è una parte della lotta di classe dall’alto. Recuperare questi saperi accumulati dalla storia dell’emigrazione italiana nel mondo nel corso di 150 anni farà bene a dirigenti, militanti e lavoratori. Soprattutto in Italia, ma anche all’estero, per esempio nella vicina Svizzera dove, solo su questo quesito, hanno prevalso i no.

Mentre invece è stato corroborante il risultato di partecipazione all’estero, il maggiore di sempre da quando è stato introdotto il voto all’estero, con circa 1,35 milioni di votanti e, in particolare quello in America Latina, con una percentuale del 34,6% e di oltre il 39% in Argentina, appaiata alla Toscana, in Italia, nella partecipazione più alta in assoluto.

Segnale di un protagonismo, questa volta dell’emigrazione italiana più antica (e probabilmente anche di una forte risposta al recente, inaccettabile decreto del governo sulla cittadinanza jure sanguinis), che travalica davvero i confini e che ci riconcilia con quei richiami altrettanto antichi all’unità – nazionale e internazionale – del lavoro.

Richiami ben presenti alle centinaia di militanti vicini alla Cgil, della Fiei, dell’associazionismo, delle formazioni politiche progressiste, che in questi mesi si sono impegnati per informare le comunità e i cittadini distanti talvolta oltre diecimila chilometri dall’Italia. A loro dobbiamo un ringraziamento tutto particolare.

 

Rodolfo Ricci, Rino Giuliani

(Segreteria FIEI)

Roma, 11 Giugno 2025

 

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