
01 – Teresa Barone *: Cittadinanza italiana: nuove regole per i nati e i residenti all’estero
Cosa cambia per la trasmissione della cittadinanza italiana per i nati all’estero con la riforma di Governo: limite allo ius sanguinis e nuovi obblighi.
02 – Goodbye America: turismo a picco. Canada e Messico guidano la ritirata? Una destinazione ostile? Anche il soft power non se la passa bene? L’effetto Trump provoca un calo nelle prenotazioni di viaggio per gli Stati Uniti: i viaggiatori temono espulsioni alle frontiere e pesa il danno d’immagine di un presidente che con le sue politiche sta destabilizzando altre nazioni.(*)
03 – On. Nicola Care’*: (PD) Cittadinanza, Carè: da Governo attacco ai diritti fondamentali di chi emigra e delle loro discendenze.
04 – Geraldina Colotti *: Latinoamerica. La rubrica mensile di Pagine Esteri – marzo
05 – Davide Matrone *: Ecuador. Manifestazioni e scioperi per un Paese in caduta libera
Ecuador. Manifestazioni e scioperi per un Paese in caduta libera.
06 – Dikla Taylor-Sheinman e Georgia Gee *: La violenza dei coloni israeliani sta rapidamente svuotando la Valle del Giordano dai palestinesi. (traduzione di Federica Riccardi)
07 – Antonio Mazzeo*: L’Aeronautica italiana intensifica i voli spia e di trasporto armi all’Ucraina
L’Aeronautica italiana intensifica i voli spia e di trasporto armi all’Ucraina
08 – Ferito e arrestato Hamdan Ballal, regista di No Other Land – Quando il 3 marzo No Other Land vinse l’Oscar, il ministro della cultura israeliano Miki Zohar definì il riconoscimento assegnato al documentario palestinese-israeliano “un momento triste per il mondo del cinema” perché il prestigioso premio era stato assegnato a un “film che diffama Israele
09 – Roberto Barzanti*: Isnenghi, viaggio nell’istruzione italiana – Storia contemporanea Da De Sanctis a don Milani, dal Liceo D’Azeglio alla Normale, Mario Isnenghi ricostruisce con giudizio e sentimento una Autobiografia della scuola
10 – Barbara Weisz *: Dazi USA sulle merci UE al 20% dal 9 aprile – Nel suo Liberation Day, Donald Trump ha svelato i nuovi dazi USA: tariffe doganali al 10% per tutte le importazioni USA, per l’Europa al 20% dal 9 aprile.
(a cura di Mimmo Zanetta)
01 – Teresa Barone *: CITTADINANZA ITALIANA: NUOVE REGOLE PER I NATI E I RESIDENTI ALL’ESTERO – COSA CAMBIA PER LA TRASMISSIONE DELLA CITTADINANZA ITALIANA PER I NATI ALL’ESTERO CON LA RIFORMA DI GOVERNO: LIMITE ALLO IUS SANGUINIS E NUOVI OBBLIGHI.
Sono in vigore le nuove disposizioni in materia di cittadinanza italiana approvate dal Consiglio dei Ministri con il Decreto Legge n. 36/2025, già pubblicato in GU. Le novità riguardano in particolare il diritto automatico (ius sanguinis) per i discendenti di padre o madre italiani (di cui alla Legge 91/1992 e successive modificazioni).
La riforma è strutturata in due fasi, prevedendo alcune norme valide da subito mentre altre saranno varate successivamente.
PASSAPORTI E CARTE D’IDENTITÀ, LE NUOVE REGOLE
Come sottolinea il Ministero degli Esteri, l’obiettivo del Governo è quello di privilegiare il legame effettivo tra l’Italia e il cittadino all’estero, ponendo nuovi limiti al cosiddetto “diritto di sangue”, che evitino abusi o fenomeni di “commercializzazione” dei passaporti italiani.
Il DL 36/2025 stabilisce che gli italo-discendenti nati all’estero saranno automaticamente cittadini italiani solo per due generazioni. Quindi, solo chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia avrà la cittadinanza dalla nascita.
In futuro si imporrà ai cittadini nati e residenti all’estero di mantenere nel tempo legami reali con l’Italia, esercitando diritti e doveri del cittadino almeno una volta ogni 25 anni.
Richiesta cittadinanza italiana per residenti estero
I residenti all’estero, inoltre, non si rivolgeranno più ai consolati ma a un ufficio speciale centralizzato alla Farnesina. È previsto comunque un periodo transitorio di un anno per consentire l’organizzazione dell’ufficio, in modo da rendere più efficienti le procedure e fare in modo che i consolati si focalizzino sull’erogazione dei servizi a chi è già cittadino.
*( Fonte PMI.it: Teresa Barone, Giornalista pubblicista, collabora da molti anni con PMI.it occupandosi di imprese e green economy, mondo del lavoro e nuove tecnologie applicate al business.)
02- GOODBYE AMERICA: TURISMO A PICCO. L’EFFETTO TRUMP PROVOCA UN CALO NELLE PRENOTAZIONI DI VIAGGIO PER GLI STATI UNITI: I VIAGGIATORI TEMONO ESPULSIONI ALLE FRONTIERE E PESA IL DANNO D’IMMAGINE DI UN PRESIDENTE CHE CON LE SUE POLITICHE STA DESTABILIZZANDO ALTRE NAZIONI.(*)
Turisti trattenuti al confine, ricercatori e docenti universitari perquisiti e respinti dai funzionari dell’immigrazione e poi minacce di guerra commerciale ed espulsioni arbitrarie di cittadini stranieri dotati di visto: le politiche e i toni della nuova amministrazione di Donald Trump spaventano i visitatori che, dati alla mano, annullano o riconsiderano i viaggi negli Stati Uniti. Le grandi città simbolo degli States, come New York, San Francisco e Chicago e i celebri parchi di Yellowstone e Yosemite, sono da decenni mete di richiamo per i turisti di tutto il mondo. Tuttavia, l’atmosfera politica sempre più tesa, le nuove leggi migratorie e le restrizioni introdotte da Trump scoraggiano. E le testimonianze di turisti fermati e trattenuti in condizioni di detenzione per giorni contribuiscono ad alimentare la percezione che gli Usa stiano diventando una meta difficile e rischiosa per i visitatori. Intanto la bozza di un nuovo divieto di viaggio in circolazione nell’amministrazione potrebbe impedire ai cittadini di 43 paesi, TRA CUI BIELORUSSIA, CAMBOGIA E SANTA LUCIA, di entrare negli Stati Uniti.
CANADA E MESSICO GUIDANO LA RITIRATA?
Anche prima del cambio di amministrazione a gennaio, il settore turistico degli Stati Uniti stava lottando per riprendersi dagli effetti della pandemia, principalmente a causa della forza del dollaro, che rende più costoso per gli stranieri visitare il paese, e dei lunghi tempi di attesa per i visti. Ma, secondo gli esperti del settore, ora le aspettative di rilancio potrebbero essersi allontanate. La società di ricerca Tourism Economics aveva inizialmente previsto che nel 2025 i viaggi negli Usa sarebbero cresciuti del 9%, ma a febbraio ha aggiornato le sue proiezioni, prevedendo un calo del 5% rispetto allo scorso anno, con una conseguente diminuzione degli introiti. Il calo è particolarmente sensibile per i viaggiatori provenienti da Canada e Messico – due paesi confinanti con cui Trump ha adottato una retorica molto aggressiva, che nel 2024 avevano rappresentato circa la metà di tutti i viaggi internazionali verso gli Stati Uniti. Mercoledì 26 marzo Oag, un fornitore di dati sul traffico aereo globale, ha annunciato che le prenotazioni aeree dal Canada agli Usa sono scese del 70% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Le compagnie aeree stanno rispondendo all’incertezza. Alcune, tra cui Delta Air Lines e American Airlines, hanno tagliato le loro previsioni finanziarie per i primi mesi dell’anno e stanno valutando di cancellare alcune tratte o diradarne la frequenza, a causa di una domanda debole.
UNA DESTINAZIONE OSTILE?
ANCHE IL SOFT POWER NON SE LA PASSA BENE?
Ritardi nei visti, controlli più severi alle frontiere e timori sul rispetto dei diritti umani e delle minoranze, rischiano di far perdere agli Usa la loro attrattiva turistica. L’impatto a lungo termine potrebbe rivelarsi difficile da invertire e ci sono già crescenti preoccupazioni sul fatto che le restrizioni impediscano a tifosi e atleti di godersi la Coppa del Mondo di calcio del 2026, che si terrà negli stadi di Stati Uniti, Canada e Messico. Attualmente, secondo il New York Times, i visitatori provenienti da alcuni paesi come Brasile, Turchia e Colombia, aspettano fino a 700 giorni per ottenere i visti. Anche il Comitato Olimpico Internazionale ha sollevato interrogativi sui Giochi Olimpici del 2028 a Los Angeles, a cui i funzionari statunitensi hanno risposto garantendo che “l’America sarà aperta”. Quanto agli effetti che tutto ciò avrà sull’immagine e il soft power statunitense nel lungo periodo, è difficile dirlo. Impossibile non notare però una punta di compiacimento nei toni con cui il Global Times, cassa di risonanza del Partito comunista cinese, descrive il fenomeno: “Mentre il turismo globale si riprende gradualmente, gli Stati Uniti sembrano aver innalzato un gigantesco cartello ‘No Entry’. Per i turisti, viaggiare negli Usa è naturalmente passato in secondo piano rispetto a destinazioni alternative più accoglienti, sicure e convenienti. L’alienazione dei visitatori internazionali si ribalta con tagliente ironia contro il mito dell’apertura degli Stati Uniti”.
CONCLUSIONI
“Arresti ed espulsioni arbitrari, soprattutto di studenti internazionali coinvolti a qualche titolo nella mobilitazione universitaria su Gaza della primavera scorsa. Trasferimenti di immigrati, in taluni casi anche con regolare permesso di soggiorno, nella maxi prigione in El Salvador. Carceri dell’agenzia federale competente in materia d’immigrazione, l’ICE, sovraffollate e nelle quali sono finiti anche diversi turisti che entravano negli Usa. È un giro di vite violento e autoritario, quello cui stiamo assistendo negli Usa. Che lascia attoniti, anche per la deliberata ostentazione di crudeltà che lo accompagna. Che spaventa e preoccupa i tanti che per vacanza e lavoro si recano regolarmente negli Usa e che sono oggi chiamati a confrontarsi con l’estrema discrezionalità degli agenti dell’ICE nell’applicare regole mal definite e nel recepire le sollecitazioni che giungono dall’amministrazione”.
*( Di Mario Del Pero, ISPI e Sciences Po)
03 – On. Nicola Care’*: (PD) CITTADINANZA, CARÈ: DA GOVERNO ATTACCO AI DIRITTI FONDAMENTALI DI CHI EMIGRA E DELLE LORO DISCENDENZE.
Roma 29 Mar.- “Le recenti modifiche alla legge sulla cittadinanza italiana, approvate dal Consiglio dei Ministri il 28 marzo 2025, sono inaccettabili e ridicole. La motivazione ufficiale, secondo cui si intende “tutelare” il processo di acquisizione della cittadinanza italiana, è un pretesto che nasconde un attacco ai diritti fondamentali di chi emigra e delle loro discendenze. Diventare cittadino italiano non è solo una formalità: è un riconoscimento di identità, cultura e appartenenza. Queste modifiche stravolgono e negano diritti acquisiti, minando la dignità di milioni di cittadini italiani all’estero e delle loro famiglie.
È inaccettabile che si giochi con le vite delle persone, imponendo restrizioni e complicazioni che non hanno alcuna giustificazione ragionevole. I tempi e le modalità di questa operazione legislativa sono inadeguati e mostrano una totale disconnessione dalle reali esigenze di chi ha scelto di portare il nome e i valori italiani nel mondo.
Ci batteremo con tutte le nostre forze per difendere i diritti dei cittadini italiani all’estero. Non permetteremo che la nostra identità venga svenduta per mere logiche politiche.” Così Nicola Carè deputato del Pd eletto all’estero.
04 – Geraldina Colotti *: LATINOAMERICA. La rubrica mensile di Pagine Esteri – marzo
VENEZUELA CON I MIGRANTI
“Migrare non è un delitto, sanzionare sì”. Con questo slogan, il Venezuela ha respinto il “processo di criminalizzazione” dei migranti venezuelani, deportati da Donald Trump in Salvador, la “nuova Guantanamo dell’America Latina”. E ha continuato a denunciare le misure coercitive unilaterali, imposte illegalmente dagli Usa, che hanno annunciato dazi per oltre il 25% a chi commercerà il petrolio del Venezuela. Alla mobilitazione, convocata da Diosdado Cabello, vicepresidente del Partito Socialista Unito del Venezuela (Psuv), durante la conferenza stampa settimanale del partito, hanno partecipato anche i familiari di alcuni venezuelani, detenuti illegalmente perché accusati di appartenere a una banda chiamata il Tren de Aragua. La piazza, composta da giovani, da miliziani e militanti politici, ha accompagnato il governo nella richiesta, rivolta al Salvador, di liberare gli oltre 200 connazionali, deportati come delinquenti dagli Stati uniti, e detenuti in una prigione di massima sicurezza. La mobilitazione si è conclusa in Parlamento, dove i manifestanti sono stati ricevuti dal presidente dell’Assemblea nazionale, Jorge Rodriguez e dai lavoratori che esibivano cartelli in solidarietà. Al contempo, in varie piazze del paese da qualche giorno si stanno raccogliendo firme da inviare algoverno di El Salvador, e manifestazioni di sostegno si sono svolte in altri paesi latinoamericani.
Il tema delle frontiere e delle misure xenofobe adottate da Trump, che ha praticamente imposto il rimpatrio forzato dei migranti a tutti i governi della regione, ed è poi passato direttamente alla traduzione dei migranti in carceri compiacenti, sta animando la discussione politica nel continente, e preoccupando il campo progressista. Il Venezuela ha annunciato azioni legali, e ha presentato un ricorso alla Corte suprema di giustizia salvadoregna per chiedere la liberazione dei detenuti venezuelani. L’amministrazione di Donald Trump conta di revocare i permessi di soggiorno per “motivi umanitaria oltre 530.000 migranti provenienti da Cuba, Haiti, Nicaragua e Venezuela. E sta deportando anche quelli in attesa di ricevere una risposta, riesumando una legge del XVIII secolo utilizzata in tempo di guerra per espellere i migranti…
IL VIAGGIO DI NOEM: SALVADOR, COLOMBIA E MESSICO
Questa settimana, la Segretaria per la sicurezza interna degli Stati Uniti, Kristi Noem, si recherà a El Salvador, in Colombia e in Messico. In Salvador, visiterà il Centro di Confinamento del Terrorismo (Cecot), una mega-prigione aperta nel 2023 per ospitare i membri delle gang, e utilizzata poi in modo indiscriminato da Nayib Bukele, grande fan del tycoon nordamericano. Nella prigione, vi sono 238 venezuelani espulsi dagli Stati Uniti ai sensi dell’Alien Enemies Act del 1798, accusati senza prove di appartenere all’organizzazione criminale Tren de Aragua. Il Venezuela lo considera un sequestro.
Dopo la tappa in Colombia, venerdì Noem arriverà in Messico, dove incontrerà la presidenta, Claudia Sheinbaum. Quest’ultima, ha conversato in questi giorni con il presidente brasiliano, Lula da Silva, che l’ha invitata a rappresentare il Messico nel prossimo vertice Brics 2025.
LULA E IL BRASILE MULTIPOLARE
Lula, il cui paese ha la presidenza dei Brics nel 2025, già nel vertice dell’anno scorso in Kazan, aveva sottolineato che la multipolarità economica deve riflettersi nel sistema finanziario globale. E ora sta guidando i dibattiti sulla modernizzazione delle transazioni finanziarie internazionali per migliorare l’efficienza commerciale tra le economie emergenti. Un elemento chiave è dato dalla tecnologia blockchain per ottimizzare i contratti e i pagamenti all’interno del gruppo.
Intanto, l’ex presidenta brasiliana, Dilma Rousseff (2011-2016), proposta nel 2023 da Lula come presidenta della Nuova Banca dello Sviluppo dei Brics, che ha esercitato il mandato per due anni, è stata riproposta dal presidente russo Vladimir Putin per altri 5 anni. La nomina è stata accettata all’unanimità dall’organismo, inizialmente formato da Brasile, Russia, Cina e Sudafrica e poi ampliato con l’incorporazione di Arabia saudita, Egitto, Emirati arabi uniti, Etiopia e Iran, a gennaio del 2024, e dell’Indonesia a gennaio del 2025, come membri a pieno titolo. Come associati, figurano invece Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Malesia, Nigeria, Tailandia, Uganda e Uzbekistan.
IL PERÙ VA ALLE URNE
Dina Boluarte, la presidenta del Perù, considerata una usurpatrice per aver disarcionato il maestro Pedro Castillo con un golpe istituzionale, ha convocato elezioni generali per il 12 aprile del 2026. Intanto, dal carcere, l’ex presidente Castillo, che rischia una condanna a 34 anni di prigione come presunto organizzatore di un autogolpe, e che si dichiara innocente, ha iniziato uno sciopero della fame. E i legali di un’altra operazione repressiva portata avanti da Boluarte contro i movimenti di opposizione – l’Operazione Perseo – stanno facendo un giro in Europa per denunciare presso gli organismi umanitari la detenzione di avvocati, artisti e familiari dei detenuti politici del precedente ciclo di lotta e la chiusura degli spazi di agibilità politica in sicurezza per l’opposizione.
L’OSA CAMBIA FACCIA
Dallo scorso 10 marzo e fino al 2030, l’Organizzazione degli stati americani (Osa) ha un nuovo segretario generale. A succedere a Luis Almagro, vera e propria testa d’ariete dell’amministrazione statunitense contro i governi progressisti dell’America latina, è Albert Ramdin, diplomatico di lungo corso e ministro degli Esteri di Surinam. Primo caraibico a occupare l’incarico, Ramdin è stato eletto per acclamazione soprattutto grazie ai voti dei paesi caraibici e di Brasile, Bolivia, Cile, Colombia, Messico e Uruguay. E ha subito mandato segnali opposti a quelli del suo predecessore, promettendo di riannodare il dialogo con Nicolas Maduro, e rimanendo sordo ai richiami dell’estrema destra venezuelana, che in Almagro aveva la sua punta di lancia.
*(Geraldina Colotti, giornalista e scrittrice, cura la versione italiana di “Le Monde diplomatique”. Esperta di America Latina, ha pubblicato saggi, raccolte di racconti e poesie. Tra i suoi ultimi libri: Dopo Chávez..)
05 – Davide Matrone *: ECUADOR. MANIFESTAZIONI E SCIOPERI PER UN PAESE IN CADUTA LIBERA – ECUADOR. MANIFESTAZIONI E SCIOPERI PER UN PAESE IN CADUTA LIBERA
Pagine Esteri, 18 novembre 2024. Da Quito. Venerdì 15 novembre in Ecuador si sono registrate mobilitazioni popolari in buona parte del paese. Nella città di Quito, Guayaquil, Cuenca e Latacunga migliaia di studenti, lavoratori e lavoratrici, precari, docenti ed altri settori della società civile hanno manifestato contro il governo Noboa reo di una pessima gestione politica ed economica nel suo anno di presidenza. A convocare le mobilitazioni due piattaforme composte dai sindacati, dalle organizzazioni studentesche, dai collettivi femministi e dal movimento indigeno. Nella capitale due grandi cortei hanno attraversato le principali arterie cittadine. Dalle 15 alle 16, in due parti della città, si sono concentrati circa 7000 manifestanti con l’obiettivo di raggiungere la centralissima piazza della Repubblica, sede della presidenza. Si sono registrati anche scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine che hanno anche detenuto 4 manifestanti, poi liberati durante la notte. Il movimento indigeno, che in un primo momento aveva fatto intendere di raggiungere la capitale, ha poi deciso di realizzare cortei nella zona interna del Paese, dove ha più radicamento come nelle regioni del Chimborazo e del Cotopaxi, in particolare. Come e perché si è giunti a questa grande giornata di mobilitazione popolare?
CRISI ENERGETICA, IDRICA E AUMENTO DELLA DISOCCUPAZIONE
In Ecuador la crisi energetica ha già compiuto un anno e poco più. Dallo scorso 26 ottobre del 2023, nel paese si registrano black-out giornalieri. L’allora Ministro Santo Alvite del governo neoliberista di Guillermo Lasso annunciò che si sarebbero realizzati dei razionamenti di energia elettrica a livello nazionale. Da allora i razionamenti sono all’ordine del giorno. Ogni settimana gli ecuadoriani ricevono la programmazione settimanale dei razionamenti di energia elettrica con orari, zone e settori della propria città. Si interrompe la fornitura di energia elettrica anche per 12 ore al giorno ed in alcune regioni del paese, come Santo Domingo de los Tsáchilas ed Esmeraldas si sono registrati picchi fino a 16 ore giornaliere. Nella città di Ambato, nel centro dell’Ecuador, l’intero settore industriale, con le sue 100 imprese cittadine, ha annunciato nella giornata del 13 novembre, un black-out di 64 ore consecutive. Secondo le stime fornite dalla Camera di Commercio di Guayaquil una settimana di razionamenti di energia elettica di 8-9 ore al giorno genera una perdita economica pari a 700 milioni di dollari del settore formale a livello nazionale con una perdita di 2/3 della produzione nazionale. Questa crisi ne genera un’altra quella sociale, in un paese in cui la delinquenza e criminalità aumenta a vista d’occhio. Secondo le fonti del Ministero del Lavoro, solo nel mese di settembre di quest’anno sono stati licenziati 4000 lavoratori dai vari settori produttivi e commerciali del paese. A questa crisi se ne aggiunge un’altra e cioè quella idrica. Anche per l’acqua ci sono razionamenti di 4 ore al giorno nelle varie regioni del paese, però la EMAAP, l’Ente Nazionale che gestisce la somministrazione d’acqua ha già allertato la popolazione che se la situazione continua cosi, in dicembre non ci sarà più acqua sufficiente e quindi aumenteranno i razionamenti anche per 8 ore al giorno. In questo scenario si registra un’incremento di acquisti di generatori elettrici in tutto l’Ecuador. Secondo i dati della Banca Centrale dell’Ecuador, dal mese di gennaio del 2024 al mese d’agosto dello stesso anno, si sono importati 5990 tonnellate di generatori elettrici. Il monto rappresenta una crescita del 210% rispetto al 2023.
CRISI POLITICA
Tre avvenimenti da annoverare nel campo politico che fanno presagire ad un ulteriore crisi politica nel paese e un crescere di tensioni tra il potere esecutivo e quello legislativo. La prima è datata 10 novembre quando il Tribunale Contenzioso Elettorale dell’Ecuador ha negato la candidatura di Jan Topic accogliendo la richiesta del Partido Social Patriottico e Pachakutik. Secondo i giudici del Tribunale, per il già candidato presidenziale del partito SUMA, esiste un presunto conflitto d’interessi considerando che l’imprenditore ha contratti con istituzioni dello stato. Sebbene lo stesso abbia venduto gran parte delle azioni delle tre imprese Telconet, Megadatos e Consorcio Tránsito che hanno contratti con lo stato, l’imprenditore, secondo i giudici, ha un “controllo effettivo” di queste imprese e del beneficiario finale. Topic, secondo i sondaggi di inizio novembre si attestava a un 15% di intenzioni di voto e il suo consenso era in aumento negli ultimi due mesi. Nello stesso periodo il consenso del presidente della Repubblica, Daniel Noboa – nuovamente candidato per le elezioni presidenziali del 2025 – si assottigliavano. L’altro avvenimento è datato 12 novembre quando il Presidente della Repubblica, ha sospeso per 5 mesi senza retribuzione la vicepresidenta Verónica Abad per abbandono ingiustificato sul posto di lavoro per tre giorni, come previsto dall’articolo 48 della Legge Organica del Servizio Pubblico. Misura criticata duramente dalla stessa vicepresidente che attraverso le reti sociali non ha risparmiato parole forti contro il primo mandatario colpevole di una deriva autoritaria per la democrazia ecuadoriana. Pronta la risposta del Presidente che ha poi deciso di licenziarla definitivamente e di nominare al suo posto Sariha Moya che eserciterà quest’incarico per i prossimi 5 mesi. Infine le due votazioni tra il 13 e 14 novembre dell’Assamblea Nazionale. In una votazione l’Organo Legislativo con 75 voti contrari, 38 a favore e 20 astenuti ha detto no al giudizio penale contro la vicepresidenta, mentre con un’altra votazione con 86 voti a favore, 27 contrari e 5 astenuti ha detto no alla sospensione della vicepresidenta dal suo incarico. Questi due ultimi atti hanno creato un ulteriore tensione tra il potere legislativo ed esecutivo.
ENNESIMA CRISI CARCERARIA
Nella giornata del 12 novembre si è registrata un nuovo massacro nel sistema penitenziario di Guayaquil con l’uccisione di 15 detenuti e 14 feriti. Ma le cifre, secondo la stampa, potrebbero aumentare. Quella di martedì è il massacro carceraio più grave dell’anno 2024 che si aggiunge ai 15 precedenti cominciati dal 2021. Nel biennio 2021 – 2022 i morti nelle carceri per massacri interni sono stati 419. Eppure negli ultimi mesi, c’è stata la militarizzazione dell’intero sistema penitenziario nazionale da parte delle Forze Armate dell’Ecuador. Sorprende come sia potuto avvenire quest’ultimo atto drammatico a Guayaquil.
MOBILITAZIONI E SCIOPERO NAZIONALE
In questo drammatico scenario e in un paese in caduta libera, il Presidente Nazionale della CONAIE, Leonidas Iza ha convocato mobilitazioni nei territori di tutta la nazione per il venerdì 15 novembre. Durante la conferenza stampa dello scorso martedì, il lider indigeno ha dichiarato che bisogna creare unità tra lavoratori, contadini, sindacati e popoli indigeni di fronte al pericolo delle politiche neoliberiste. Il suo invito all’unità si è diretto in particolare alla Federazione Unitaria dei Lavortori (FUT) affinchè si costruisca un’alleanza comune contro il neoliberismo per i prossimi mesi. La stessa FUT ha proclamato un altro sciopero nazionale per il 21 novembre in occasione dei 102 anni del famoso massacro contro i 1500 lavoratori nella città di Guayaquil in un 21 novembre del 1922. Questo evento tragico della storia dell’Ecuador, ha ispirato il militante comunista, nonchè scrittore ecuadoriano Joaquìn Gallegos Lara che nell’anno 1946 scrisse la famosa opera “le croci sull’acqua”, oggi considerata un’opera classica della letteratura ecuadoriana. La FUT, tuttavia parteciperà anche alla mobilitazione del giorno 15 insieme ad altre sigle sindacali come l’Unione Generale dei Lavoratori (UGTE) che si somma allo sciopero nazionale.
LA CONAIE HA EMANATO UN COMUNICATO, DOPO L’ASSEMBLEA DEI POPOLI E DELLE ORGANIZZAZIONI SOCIALI, IN CUI HA PRESENTATO 9 PETIZIONI TRA LE QUALI CI SONO:
Azioni immediate per terminare con l’estrazione illegale dei minerali
Trasparenza nelle contrattazioni con le imprese elettriche
Esortazione verso le Forze Armate affinchè rispettino la Costituzione e non appoggino una deriva autoritaria e dittatoriale dello stato ecuadoriano
Stabilità e protezione per i lavoratori di fronte al licenziamento illegittimo in mezzo ad una crisi energetica
Pagamento del debito sociale e delle tasse per i grandi gruppi evaso
*( Davide Matrone. Universidad Politécnica Salesiana de Quito.)
06 – Dikla Taylor-Sheinman e Georgia Gee *: LA VIOLENZA DEI COLONI ISRAELIANI STA RAPIDAMENTE SVUOTANDO LA VALLE DEL GIORDANO DAI PALESTINESI. (TRADUZIONE DI FEDERICA RICCARDI)
IL PRIMO GIORNO DI RAMADAN, YASSER ABU ARAM SI È SEDUTO E HA FISSATO CON SCONFORTO IL SUO APPEZZAMENTO DI TERRENO A KHIRBET SAMRA, NELLA CISGIORDANIA OCCUPATA. MESI DI VESSAZIONI INCESSANTI DA PARTE DI GIOVANI COLONI ISRAELIANI – CHE HANNO RUBATO IL SUO BESTIAME E ACCERCHIATO LA PICCOLA COMUNITÀ DI PASTORI GIORNO E NOTTE – HANNO AVUTO IL LORO PESO.
“Tutto ciò che sta succedendo qui sta accadendo anche nelle comunità circostanti”, ha raccontato Abu Aram a +972 Magazine. “Oggi è toccato a me. Domani toccherà a qualcun altro”.
Abu Aram è uno dei circa 60.000 palestinesi che vivono nella Valle del Giordano, che corre lungo il versante orientale della Cisgiordania e costituisce quasi il 30% del territorio. I residenti di Khirbet Samra sono discendenti delle tribù beduine sfollate dal deserto del Naqab/Negev nel 1948; la famiglia di Abu Aram è stata sradicata due volte in Cisgiordania prima di stabilirsi a Khirbet Samra nel 2005.
Ora, in seguito a un’ondata di attacchi da parte dei coloni e all’insediamento, a febbraio, di un nuovo avamposto sulla collina che domina la comunità, Abu Aram ha deciso di lasciare il luogo che ha chiamato casa negli ultimi due decenni.
“La terra è diventata un tutt’uno con la nostra famiglia; la montagna è una di noi”, ha detto Abu Aram. “Contiene i nostri ricordi”. Lui e la sua famiglia hanno impacchettato le loro cose il 1° marzo; ora, tutto ciò che rimane della sua casa sono resti sparsi e un cartello coperto di graffiti lasciato dai coloni – che si fanno chiamare scherzosamente “Shabab Samra”, in arabo “Giovani di Samra”.
Khirbet Samra è una delle poche comunità di pastori palestinesi rimaste nell’Area C della Valle del Giordano settentrionale, che ricade sotto il completo controllo israeliano. Come molte altre comunità beduine della zona, i suoi residenti hanno dovuto affrontare un’escalation di violenza da parte dei coloni dall’inizio della guerra di Israele contro Gaza nell’ottobre 2023, in particolare quando i coloni hanno eretto avamposti illegali vicino ai loro villaggi.
Dai furti di bestiame su larga scala alle incursioni nelle case e ai pestaggi, la violenza e gli sfollamenti sono aumentati nella Valle del Giordano dopo che l’esercito israeliano ha lanciato l’operazione “Muro di ferro” a gennaio – un’offensiva che ha fatto evacuare più di 40.000 palestinesi, principalmente dai campi profughi della Cisgiordania settentrionale – il giorno dopo l’insediamento del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
“È molto sistematica e ben pianificata”, ha spiegato Dror Etkes, fondatore dell’organizzazione israeliana Kerem Navot, che monitora le attività di insediamento in Cisgiordania. Il ritorno di Trump e il nuovo assalto militare in Cisgiordania, ha proseguito Etkes, hanno fornito “un chiaro segnale ai coloni di intensificare la violenza per espellere altri palestinesi”.
Ora, l’acquisizione della Valle del Giordano da parte di Israele è quasi completa. Khirbet Samra si trova a est della Allon Road, un’autostrada nord-sud costruita da Israele negli anni ’70 per collegare gli insediamenti e porre le basi per l’annessione del territorio a est della strada, che corre lungo il confine con la Giordania. Ma se per decenni Israele ha lavorato per ripulire etnicamente la Valle del Giordano, negli ultimi due anni ha accelerato i suoi sforzi a un ritmo allarmante: 100.000 dunams di terra a est della Allon Road sono stati quasi svuotati dai palestinesi, secondo un rapporto congiunto di prossima pubblicazione di Yesh Din, un’organizzazione non profit israeliana contro l’occupazione, e Physicians for Human Rights Israel.
Mentre Abu Aram sedeva con tre dei suoi figli piccoli vicino ai resti della sua casa, decine di membri della sua famiglia – molti dei quali provenienti dalla comunità di Masafer Yatta, anch’essa soggetta a violenze e sfollamenti – caricavano centinaia di capre e pecore su camion per il bestiame, mentre altri smontavano pannelli solari e trasportavano serbatoi d’acqua. “Almeno rimarremo insieme durante le vacanze”, ha scherzato la cognata di Abu Aram, che ha chiesto di rimanere anonima.
DALL’OCCUPAZIONE ALL’ANNESSIONE
Da quando Israele ha occupato la Cisgiordania nel 1967, la vita dei palestinesi nella Valle del Giordano non è mai stata facile. Nei decenni successivi, Israele ha iniziato a costruire insediamenti nell’area e ha classificato circa il 50% della Valle del Giordano come “terra di Stato”, con ampie porzioni trasformate in riserve naturali o zone militari chiuse. Ciò significa che i palestinesi dell’Area C della Valle del Giordano non possono pascolare, costruire o coltivare in almeno l’85% del territorio.
All’inizio degli anni ’80, l’esercito israeliano ha designato l’area di Khirbet Samra e dintorni come parte di una zona di tiro – enormi distese di terra spesso non chiaramente segnalate. Le comunità palestinesi all’interno delle zone di tiro subiscono tassi di demolizione e sfratto particolarmente intensi e subiscono esercitazioni militari dal vivo senza alcun preavviso, a volte a pochi metri dalle loro tende.
Nel 2018, il nipote di 3 anni di Abu Aram è stato colpito alla testa mentre dormiva durante una di queste esercitazioni. L’ospedale locale non disponeva della tecnologia necessaria per rimuovere il proiettile, che è penetrato nel cervello ed è rimasto conficcato nella sua testa. Secondo Abu Aram, il nipote soffre di forti mal di testa. L’IDF ha dichiarato a +972 che un’indagine della polizia militare “ha stabilito che non è stato possibile confermare che il minore sia stato colpito dal fuoco dell’IDF”.
Le autorità israeliane limitano inoltre fortemente l’accesso dei palestinesi alle abbondanti risorse idriche della Valle del Giordano, deviando la maggior parte delle falde acquifere principali per l’uso dei coloni. Senza accesso all’acqua corrente, Abu Aram è stato costretto a comprare acqua in cisterna, che è costosa e soggetta a furto da parte dei coloni. Prima di lasciare Khirbet Samra, ha chiesto al suo vicino – uno dei pochi palestinesi rimasti nella zona – di tenere i suoi serbatoi d’acqua fino a quando non avesse trovato un posto più stabile dove stabilirsi. “Si è messo a ridere”, ha ricordato Abu Aram. “Le nostre situazioni sono le stesse”, mi ha detto. I coloni verrebbero a derubare anche loro”.
Anche ottenere i permessi di costruzione è estremamente difficile per i palestinesi nella Valle del Giordano e in tutta l’Area C: tra il 2016 e il 2021, Israele ha approvato meno dell’1% delle richieste di permesso presentate. Nel 2015, con il pretesto di “aver costruito senza permesso”, l’esercito israeliano ha demolito la scuola locale che serviva Khirbet Samra e i villaggi circostanti, costringendo i bambini a recarsi in una scuola a 25 chilometri di distanza per continuare gli studi.
Verso la fine della prima amministrazione Trump, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha promesso di annettere la Valle del Giordano e Trump ha dato a Israele il via libera per farlo. Mentre Netanyahu alla fine ha deciso di non procedere all’annessione formale in seguito alle forti pressioni internazionali, l’annessione de facto del territorio da parte di Israele ha subito una forte accelerazione, con la creazione di 46 nuove fattorie e avamposti di coloni tra il 2017 e il 2021.
Due di questi avamposti, che i coloni israeliani Uri Cohen e Asael Kurnitz hanno eretto vicino a Khirbet Samra rispettivamente nel 2016 e nel 2019, hanno rapidamente limitato l’accesso dei pastori palestinesi ai loro pascoli. A differenza degli insediamenti consolidati, che hanno confini ben definiti e richiedono ingenti risorse, questi avamposti pastorali – tipicamente costruiti su “terre statali” designate da Israele – si espandono fino a dove il pastore sceglie di spingersi, richiedono infrastrutture minime e spesso sono composti solo da una giovane famiglia e da alcuni volontari. Di conseguenza, facilitano il furto della terra più rapidamente degli insediamenti tradizionali e hanno favorito lo sfollamento forzato dei palestinesi in tutta la Cisgiordania.
I coloni che erigono questi avamposti tendono a essere molto più violenti e aggressivi nei confronti dei palestinesi. Nel 2021, i palestinesi di Khirbet Samra hanno presentato una petizione all’Alta Corte israeliana elencando più di 30 episodi di violenza da parte dei coloni, tra cui il lancio di pietre, il danneggiamento delle loro proprietà e la minaccia ai pastori e alle loro greggi in sella a quad o cavalli. Secondo i firmatari, la comunità non ha mai ricevuto una risposta.
Nel suo rapporto di prossima pubblicazione, Yesh Din osserva che i coloni degli avamposti operano come “milizie armate sostenute dallo Stato”. “Israele usa i coloni per conquistare la terra, dando loro denaro, sicurezza e infrastrutture”, ha spiegato Yonatan Kanonich, responsabile della ricerca di Yesh Din. “Lo Stato gode dei risultati di questa violenza”.
Il Ministero dell’Agricoltura ha fornito 1,66 milioni di NIS (450.000 dollari) in finanziamenti alle aziende agricole illegali dal 2018 al 2024, che sono stati in gran parte trasferiti come parte del supporto per “preservare le aree rurali attraverso il pascolo animale”. Nel 2022 e 2023, Asael Kurnitz ha ricevuto oltre 255.000 NIS (70.400 dollari), mentre Uri Cohen, della fattoria Nof Gilad, ha ricevuto oltre 595.000 NIS (164.000 dollari). Sono stati documentati casi di molestie da parte di Cohen alle comunità palestinesi mentre indossava l’uniforme militare.
Nel tentativo di allontanarsi il più possibile dai coloni, Abu Aram e la sua famiglia si stanno dirigendo verso Tammun, una città dell’Area B, dove l’Autorità Palestinese esercita nominalmente il pieno controllo amministrativo, mentre condivide il controllo della sicurezza con Israele. Ma anche lì potrebbero essere esposti alla violenza israeliana; per la prima volta dagli accordi di Oslo, nell’ultimo anno sono stati fondati almeno 8 avamposti di coloni nell’Area B.
ASSEDIATI DAI COLONI
All’ombra della guerra di Israele contro Gaza, i residenti di Khirbet Samra sono stati cacciati dalle loro terre a un ritmo serrato. Tareq Hmeid, vicino di casa di Abu Aram, è stato il primo a fuggire con la sua famiglia nell’ottobre 2023. “Eravamo sotto assedio da parte dei coloni”, ha raccontato Hmeid a +972. “Non potevamo radunare il nostro gregge e procurarci l’acqua stava diventando estremamente difficile”.
Le molestie contro Hmeid e la sua proprietà da parte dei coloni, compresi i ripetuti atti di minzione sulla sua terra, erano aumentate drammaticamente anche prima della guerra. Nell’estate del 2023, nel tentativo di impedire ai coloni di entrare nel villaggio, Hmeid aveva posizionato, invano, degli pneumatici lungo la strada sterrata che portava alla comunità. Nell’ottobre dello stesso anno, dopo l’inizio della guerra, Uri Cohen e altri due coloni hanno comunque preso d’assalto la sua residenza, attaccando Hmeid, suo fratello e suo cugino di 15 anni con dei bastoni. Un colono ha colpito Hmeid sotto l’orecchio sinistro e sulla gamba sinistra con una pistola, lasciandolo sanguinante e zoppicante per una settimana.
Secondo Hmeid, la polizia israeliana è arrivata mentre l’attacco era in corso, ma gli agenti non hanno fatto nulla per fermare i coloni. Al contrario, Hmeid e suo fratello sono stati arrestati e rilasciati la sera stessa. Mentre erano detenuti, i membri della famiglia di Hmeid hanno smontato le tende e hanno evacuato le donne e i bambini. Hmeid non è più tornato a Khirbet Samra dopo il suo rilascio (la polizia non ha risposto a una richiesta di commento sull’incidente).
“È stata una tragedia”, ha detto Hmeid. “Non potevo fare nessuna magia per migliorare la situazione. Alla fine della giornata, vuoi solo proteggere i tuoi figli e la tua famiglia”.
La polizia israeliana, responsabile dell’applicazione della legge penale sui civili israeliani in Cisgiordania, ha sistematicamente fallito nell’affrontare i crimini contro i palestinesi. Tra il 2005 e il 2024, il 94% dei casi di reati a sfondo ideologico commessi da israeliani contro palestinesi nei territori occupati sono stati chiusi senza un’incriminazione.
“Il governo israeliano e i suoi organi governativi, compresi la polizia e l’esercito, sostengono i coloni”, ha detto Etkes di Kerem Navot. “Continua anche adesso. Mentre parliamo, altre comunità sono esposte a questo terrore”.
Secondo Yesh Din, la violenza dei coloni, aiutata o nel migliore dei casi ignorata dalle autorità israeliane, ha eroso gravemente e sistematicamente la resistenza delle comunità di pastori palestinesi. “Non ne parliamo, ma le molestie e le violenze dei coloni compromettono completamente la vita privata di queste comunità”, ha dichiarato Ayman Gharib, un attivista palestinese per i diritti umani dei Comitati di Resistenza Popolare nella Valle del Giordano. “Molte comunità che subiscono molestie esitano a parlarne o a denunciarle perché ciò provoca loro vergogna”.
Ora, per i residenti di Khirbet Samra, lo sfollamento non significa solo rimanere senza casa: il loro stesso sostentamento e la loro cultura sono in pericolo. Come pastori, Abu Aram e Hmeid fanno entrambi affidamento sulla produzione e sulla vendita di yogurt, latte e formaggio nelle città palestinesi. Senza l’accesso ai pascoli e alle fonti d’acqua naturali, non saranno più in grado di sostenere il loro stile di vita.
“Invece di controllare la nostra terra, le nostre risorse, il nostro lavoro, noi [palestinesi] siamo costretti a diventare consumatori, a dipendere dalla generosità dei nostri occupanti”, ha lamentato Hmeid.
Dikla Taylor-Sheinman è una Shatil Social Justice Fellow della rivista +972. Attualmente vive ad Haifa, ma ha trascorso l’anno scorso ad Amman e i sei anni precedenti a Chicago.
*(Georgia Gee è una giornalista investigativa che si occupa di diritti umani, abusi ambientali e sorveglianza. Il suo lavoro è apparso su stampa, podcast e documentari, anche per The Intercept, Foreign Policy e Organized Crime and Corruption Reporting Project. In precedenza è stata ricercatrice investigativa principale per Ronan Farrow al New Yorker e alla HBO e redattrice dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project.) traduzione di Federica Riccardi.
07 – Antonio Mazzeo*: L’AERONAUTICA ITALIANA INTENSIFICA I VOLI SPIA E DI TRASPORTO ARMI ALL’UCRAINA – L’AERONAUTICA ITALIANA INTENSIFICA I VOLI SPIA E DI TRASPORTO ARMI ALL’UCRAINA
MENTRE WASHINGTON SEMBRA VOLER SGANCIARSI PROGRESSIVAMENTE DAL CONFLITTO RUSSO-UCRAINO, BUONA PARTE DEI PAESI EUROPEI DELLA NATO CONTINUANO A SOSTENERE LE OPERAZIONI BELLICHE DELLE AUTORITÀ DI KIEV. TRA I PIÙ ATTIVI PARTNER UE DELL’UCRAINA SPICCA IN PARTICOLARE L’ITALIA DEL GOVERNO MELONI-CROSETTO-TAJANI.
Come rilevato dagli analisti di ItaMilRadar che effettuano il monitoraggio dei voli militari in Italia e nell’area mediterranea, nelle notti del 17 e del 21 marzo un aereo spia CAEW Gulfstream E.550 (registrato con la matricola MM62293), in forza al 14° Stormo dell’Aeronautica Militare ha effettuato due operazioni top secret sui cieli della Romania orientale e nel Mar Nero.
In particolare l’operazione effettuata il 17 marzo ha coinciso temporalmente con il pesante attacco aereo russo contro la città di Odessa. Il velivolo italiano ha operato congiuntamente con un aereo d’intelligence Boeing RC-135W della Royal Air Force decollato dallo scalo britannico di Waddington e con un Gulfstream 650 “Artemis” dell’Esercito USA in missione SIGINT (raccolta e intercettazione di informazioni e dati di intelligence) ai confini tra Ucraina, Romania e Moldavia.
Il velivolo CAEW Gulfstream E.550 aveva raggiunto l’area del Mar Nero anche il 4 marzo scorso. Come rileva ItaMilRadar nelle prime tre settimane di marzo l’Aeronautica italiana ha effettuato tre missioni in vicinanza del fronte di guerra russo-ucraino “dopo un lungo periodo in cui non era stata registrata alcuna attività nella regione”.
Tutte le missioni dell’aereo CAEW (Conformal Airborne Early Warning) del 14° Stormo dell’Aeronautica hanno preso il via dalla base di Pratica di Mare (Roma). Basato sulla piattaforma del jet sviluppato dall’azienda statunitense Gulfstream Aerospace, appositamente modificato e potenziato dalla israeliana Elta Systems Ltd. (società del gruppo IAI), il velivolo in dotazione all’Aeronautica italiana non è semplicemente un “radar volante”, ma possiede anche compiti di “gestione” delle missioni alleate nei campi di battaglia e di disturbo delle emissioni elettroniche “nemiche”.
Il sofisticato velivolo in dotazione all’Aeronautica italiana ha fatto il suo debutto nelle aree di conflitto l’8 marzo 2022 con una missione nello spazio aereo della Romania fino ai confini con Moldavia e Ucraina. Da allora i Gulfstream E.550 di Pratica di Mare sono stati uno degli attori più richiesti dai comandi NATO che coordinano le operazioni di sorveglianza e “contenimento” dei reparti di guerra della Federazione russa in territorio ucraino e nel Mar Nero.
Sempre sabato 22 marzo ItaMilRadar ha tracciato il volo di un grande aereo cargo Boeing KC-767A (reg. MM62228) dell’Aeronautica da Pratica di Mare fino allo scalo aereo di Rzeszow (Polonia orientale), dove gli alleati del governo ucraino hanno allestito un grande hub logistico in cui convergono gli aiuti militari (munizioni, sistemi d’arma, blindati, ecc.) destinati alle forze armate di Kiev. L’aereo cargo è decollato da Pratica di Mare alle ore 8.24 ed è rientrato in Italia alle 15.30 circa. Prima di dirigersi verso la Polonia orientale il Boeing KC-767A ha effettuato uno scalo tecnico di un’ora presso l’aeroporto di Villafranca Verona, molto probabilmente per ricevere a bordo un nuovo pacchetto di “aiuti militari” italiani all’Ucraina. “L’esatta natura del carico dell’aereo è sconosciuto, ma l’Italia è un forte supporter dell’Ucraina nella sua guerra contro la Russia e ha già fornito aiuti militari e umanitari per miliardi di dollari”, spiegano gli analisti di ItaMilRadar.
Un altro Boeing KC-767A dell’Aeronautica Militare italiana (reg. MM62227) aveva effettuato due voli sulla rotta Pratica di Mare – Rzeszów nella giornata del 13 marzo 2025. Il velivolo ha una capacità di trasporto fino a 25 tonnellate di carico bellico.
*( Fonte: Pagine estere. Antonio Mazzeo – giornalista)
08 – FERITO E ARRESTATO HAMDAN BALLAL, REGISTA DI NO OTHER LAND – QUANDO IL 3 MARZO NO OTHER LAND VINSE L’OSCAR, IL MINISTRO DELLA CULTURA ISRAELIANO MIKI ZOHAR DEFINÌ IL RICONOSCIMENTO ASSEGNATO AL DOCUMENTARIO PALESTINESE-ISRAELIANO “UN MOMENTO TRISTE PER IL MONDO DEL CINEMA” PERCHÉ IL PRESTIGIOSO PREMIO ERA STATO ASSEGNATO A UN “FILM CHE DIFFAMA ISRAELE”.
Sul posto erano presenti anche alcuni pacifisti ebrei statunitensi che hanno riferito di un improvviso lancio di pietre contro le case e le auto palestinesi da parte dei coloni del locale insediamento. “Hanno distrutto le cisterne dell’acqua e tagliato le le ruote di alcune auto”, hanno raccontato i testimoni. Pochi minuti dopo, Ma a distanza di poche settimane l’unica tristezza è quella che ha vissuto Hamdan Ballal, uno dei quattro registi del film, arrestato ieri dall’esercito dello Stato ebraico dopo che un gruppo di coloni israeliani mascherati e armati lo avevano ferito durante l’attacco alla sua abitazione nel villaggio palestinese di Susia, a sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata.
diversi soldati sono arrivati sul posto e hanno arrestato il regista palestinese, facendolo scendere da un’ambulanza giunta sul posto per prestare le prime cure agli aggrediti. Arrestati anche altri due palestinesi e un colono minorenne, rilasciato subito. Hamdan Ballah è stato rilasciato questo pomeriggio, non si hanno notizie degli altri palestinesi arrestati.
Il regista e attivista ha raccontato al suo avvocato, subito dopo il suo rilascio, di essere stato condotto in una base militare israeliana dove è stato bendato e ammanettato e ulteriormente picchiato dai militari. Il 36enne e gli altri due palestinesi arrestati sono stati costretti a passare la notte al freddo in uno spazio esterno della base militare.
La versione dell’esercito israeliano è che a Susia ci sarebbe stato un lancio di pietre da parte di “terroristi” contro “cittadini israeliani”.
Secondo Basel Adra e Yuval Abraham, due dei quattro registi di No Other Land – la quarta è Rachel Szor -, l’attacco dei coloni sarebbe una rappresaglia per il riconoscimento ottenuto dal loro film. Non è la prima volta che i registi del documentario vincitore dell’Oscar denunciano attacchi dei coloni.
“NO OTHER LAND” racconta proprio le demolizioni di case e villaggi ad opera dell’esercito israeliano nella zona di Mesafer Yatta, a sud di Hebron, proclamata unilateralmente dallo Stato ebraico “area per le manovre militari”. Sul palco a Los Angeles, Adra e Avraham chiesero insieme diritti per i palestinesi, la fine della guerra a Gaza e una soluzione negoziata al conflitto.
*(redazione)
09 – Roberto Barzanti*: ISNENGHI, VIAGGIO NELL’ISTRUZIONE ITALIANA – STORIA CONTEMPORANEA DA DE SANCTIS A DON MILANI, DAL LICEO D’AZEGLIO ALLA NORMALE, MARIO ISNENGHI RICOSTRUISCE CON GIUDIZIO E SENTIMENTO UNA AUTOBIOGRAFIA DELLA SCUOLA (il Mulino)
«Perché non ti decidi a venire anche tu dal De Sanctis? Se fai tanto da sentirlo una volta sarai dei nostri». A un invito tanto perentorio non si poteva sottrarre. Così anche Pasquale Villari, il futuro storico positivista, senatore e ministro, si unì alla schiera degli entusiasti alunni del trentenne maestro di Morra Arpina (Avellino) nel clima di rivolta antiborbonica che maturava tra una lezione e l’altra. Durante il tumulto scoppiato nel maggio ’48 Luigi La Vista, il discepolo prediletto, fu ferito a morte e divenne l’eroe simbolo di una comunità in cui erano uniti studio e azione. Il docente che la conduceva ricordò quell’esperienza con parole inequivocabili: «quando venne il giorno della prova, e la patria ci chiamò, maestro e discepoli decidemmo. Ma che? La nostra scuola è per avventura un’accademia? Siano noi un’arcadia? No, la scuola è la vita».
Il viaggio che propone Mario Isnenghi, prestigioso e prolifico cattedratico di Storia contemporanea a Padova, Torino e Venezia, può prendere avvio da qui. Nella sua avvincente Autobiografia della scuola Da De Sanctis a don Milani (il Mulino «Biblioteca storica», pp. 368, € 26,00) la peregrinazione degli insegnanti e l’intarsio dei loro trasferimenti invitano alla conoscenza di un’Italia lontana da quella tratteggiata dalla Storia della letteratura italiana (1870-’71) che De Sanctis aveva cominciato a scrivere nel 1858. Se per quell’opera l’autore aveva deliberatamente scelto la struttura di un «romanzo», come con una punta di sufficienza la bollarono i filologi, la geografia degli itinerari disegnati da Isnenghi illumina un insieme di luoghi e presenze dotati di una loro autonomia: una rigogliosa pluralità di tradizioni e di lingue, di scuole e tendenze. E scuola è intesa quale funzione educativa in grado di coprire ogni ordine e grado dell’istruzione, tesa a istillare un senso di condivisa appartenenza nazionale. Le officine sparse per la penisola erano – e sono – caratterizzate da identità che ambivano a convivere in un panorama solidale di scambi e rapporti.
L’autobiografia collettiva di questa macchina amministrava si giova di diari e registri di classe, dei più compulsati manuali e di una letteratura che aveva a tema-fulcro la pedagogia praticata con dedizione, il vissuto del «nomadismo professorale» e non solo l’architettura burocratica con la quale era necessario fare i conti. Intensa appare la circolarità tra cultura alta e divulgazione accessibile.
Grosso modo sono tre i periodi attraversati, salvo «un finale in dissolvenza» che non risparmia lapidari giudizi sui nostri giorni. Il primo – dalla faticata e mai raggiunta unità alla vigilia delle avventure coloniali e del conflitto mondiale deflagrato nel 1914 – si concretizza in un continuo scontro tra un’esigente statualità laico-liberale e l’accanita volontà della Chiesa cattolica di preservare il dominio accumulato nei secoli. Il motore ideologico ha sede a Napoli e ha per protagonista Benedetto Croce, uno dei due consoli di un idealismo diversamente declinato.
L’altro è il palermitano Giovanni Gentile, che assumerà la guida del Ministero della pubblica istruzione, già affidato a Croce, e varerà nel 1923 – capo del governo Mussolini – una riforma sistematica destinata a durare a lungo. Il fine dichiarato era fare della scuola lo spazio formativo della classe dirigente borghese e al contempo proseguire nell’insufficiente lotta contro l’analfabetismo. Il libro di Isnenghi alterna puntuali analisi di fondo con distese narrazioni su casi emblematici. Indubbia l’influenza della mappa squadernata da Carlo Dionisotti nella sua cruciale Geografia e storia della letteratura italiana (1967): una prospettiva che sconvolge e sostituisce l’evolutiva e finalistica sistemazione desanctisiana.
Spicca subito l’emblematica vicenda della toscana Italia Donati (1863-1886), una delle tante maestrine che raggiunsero un ruolo eminente. Conquista che si rovesciava talvolta in insidiose malignità a sfondo sessuale. Nei suoi confronti, nel paesino di Cintolese, furono talmente feroci da indurla al suicidio. Al fratello scrisse del funerale che desiderava: «Non voglio ragazze ad accompagnarmi, ma soli quattro incappati e bambini e bambine compresi i miei scolari».
Lungo il viaggio si registrano atmosfere e costumi, i differenti intrecci tra scuola e società, tra insegnamenti impartiti nelle aule e consolidata mentalità popolare. Se si dovesse sintetizzare in indicative categorie il succo delle lezioni ascoltate sarebbe forse lecito impiegare per i periodi abbozzati, anche quindi per gli anni del fascismo e per il movimentato dopoguerra, la propensione (con varianti) per uno storicismo (giustificazionista) di marca hegeliana e per un fiducioso provvidenzialismo di ascendenza guelfa.
Modelli, momenti, autori compongono un saggio che non disdegna narrazione e incisi. Edmondo De Amicis sceneggiò in Cuore (1886) un’Italia corporativa e interclassista al suo difficoltoso sorgere. E Matilde Serao nel coevo Scuola Normale Femminile ritrasse un mondo sorretto da un «civismo clerico-patriottico» declamato nell’inno dell’Istituto: «Son tre raggi in una fiamma / Che ci scalda e cuore e mente, / io cristiana e figlia ardente / Cittadina ognor vivrò». A Lucca, a un tavolo dello sgargiante Caffè Caselli, il romagnolo Manara Valgimigli, famoso grecista, poteva conversare con Giovanni Pascoli e Giacomo Puccini: in una cittadina bianca per eccellenza il professor Giulio Salvadori si permetteva di replicare ai benpensanti che era assurdo adottare manuali concepiti dai nemici della patria: «Le nostre Scuole sono italiane, non clericali; rispettiamo chi crede diversamente da noi, ma non siamo con loro».
A Bologna fa da padrone Giosue Carducci, nelle sacerdotali vesti di un poeta-vate pronto ad accompagnare l’Italia in ardite strategie belliche. Poi tocca a Torino svolgere la missione che era sorta a Napoli, la città di Piero Gobetti e Antonio Gramsci, liberale e operaia, con il mitico Liceo D’Azeglio dove il profe Augusto Monti ebbe allievi Norberto Bobbio, Cesare Pavese, Massimo Mila, Giulio Einaudi, Leone Ginzburg, Vittorio Foa, Michele Giua. Quanto alle impostazioni scolastiche non si dimenticava il culto del nudo documento, ma con l’altro grande De Sanctis (Gaetano) si era consapevoli che per farne storia era indispensabile «portarvi ciò che esso non ci dà: spirito e vita».
Gaetano De Sanctis fu uno dei professori che si rifiutarono, nell’ottobre 1931, di giurare fedeltà al fascismo. Su un migliaio furono appena 12 a compiere il gesto ribelle e val la pena elencarli tutti: Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Francesco ed Edoardo Ruffini, Lionello Venturi, Vito Volterra. Molti dei firmatari – tra i quali Norberto Bobbio e Giorgio La Pira – spiegarono l’atto degradandolo a rituale passaggio burocratico. Resta una macchia dell’intellighenzia universitaria. Pensiamo a cosa sarebbe successo se qualche centinaio di docenti avesse avuto il coraggio di astenersi.
Discorso a parte merita la Scuola Normale di Pisa. Giovanni Gentile ne fu il sesto direttore, dal 1928 al 1943. Teorico sommo del Fascismo quale compiuta dottrina è stato oggetto di contrastanti giudizi e di diatribe interminabili. Isnenghi ne ricostruisce da storico un ritratto in bianco e nero che non si presta a sintesi sbrigative. La Normale non fu quell’oasi di liberalità che si tende a propagandare, ma la cospirazione antifascista, magari astutamente nicodemitica, ebbe in essa uno dei focolai più attivi. Nelle commosse pagine memoriali che le sono state dedicate i toni si alternano. Si scorrano i tre casi selezionati dall’autore: Gentile, Luigi Russo (1892-1961) e il fucino allievo cattolico Vittore Branca (1913-2004), seguace di Giovanni Battista Montini. Non è credo soltanto segno di affetto personale quanto si riconosce a personalità che non mossero riserva alcuna al totalitarismo del regime. Sebastiano Timpanaro, commemorando Pasquali, sottoscrisse la parole di Attilio Momigliano: «Pasquali era fuori dal Fascismo» e dall’uso volgare che faceva della romanità: «Rimase greco».
Delio Cantimori non aveva un cuor di leone: Alessandro Natta, normalista dal 1936 al 1940, ha scritto con franchezza (1955): «io sono stato legatissimo a Cantimori, sono stato vicino a lui per un anno, ma non sono mai riuscito a farmi dire che non solo era antifascista, ma anche era comunista». Pure il 1938, l’anno delle leggi razziali, non assisté a pubbliche prese di posizione avverse. Dopo l’esecuzione gappista di Gentile (15 aprile 1944) evocò il filosofo con disarmata semplicità: «la Normale è stata la sua innocenza». L’impetuoso Luigi Russo succedette a Gentile per un breve stacco nel ’43 e tenne la carica di direttore dal ’44 al ’48. Non esitò a schierarsi con il Fronte popolare, a farsi sodale di Togliatti, fiancheggiatore dei comunisti. Al suo posto il ministro Guido Gonella chiamò lo spaesato biologo Ettore Remotti, che nel discorso di insediamento (23 novembre 1948) si lanciò in un retorico appello alla riconciliazione nel segno dell’amore: «La relatività delle nostre conoscenze, le incompatibilità dei nostri istinti ci dividono; l’amore solo ci unisce».
A conclusione del suo viaggio, Mario Isnenghi dà un rapido sguardo al panorama dello smemorato e indulgente dopoguerra, terzo tempo della sua imponente ricerca. Lo preoccupano la mostruosa impalcatura burocratica che opprime la scuola. Lo colpiscono parecchi abbagli occorsi a chi dovrebbe battersi per radicali innovazioni, qua e là disordinatamente promosse. Non risparmia staffilate. La Lettera a una professoressa (1967) del generoso don Lorenzo Milani, ad esempio, persegue una ribellione in odore di misoginia e sfocia in un modello competitivo e rigido di affannosa scuola nozionistica. Malgrado le intenzioni, sa davvero di restaurazione.
*( Roberto Barzanti – è un politico italiano)
10 – Barbara Weisz *: DAZI USA SULLE MERCI UE AL 20% DAL 9 APRILE – NEL SUO LIBERATION DAY, DONALD TRUMP HA SVELATO I NUOVI DAZI USA: TARIFFE DOGANALI AL 10% PER TUTTE LE IMPORTAZIONI USA, PER L’EUROPA AL 20% DAL 9 APRILE.
Dopo settimane di attesa, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato la consistenza dei dazi sulle importazioni e i paesi verso i quai sono diretti: per l’Unione Europea le tariffe doganali sono del 20% e si applicheranno dal 9 aprile; la Cina ha una barriera all’ingresso del 34% e ci sono Stati verso i quali le misure sono ancora più rigide.
La decisione della Casa Bianca è modulata nel seguente modo: c’è un dazio di base del 10% su tutte le importazioni negli Stati Uniti e tariffe più alte verso un gruppo di paesi che l’amministrazione USA ritiene abbiano politiche commerciali penalizzanti nei confronti degli Stati Uniti. I dazi base del 10% partono dal 5 aprile, quelli verso i paesi con barriere più alte dal 9 aprile.
LA STRATEGIA DELLA GUERRA COMMERCIALE
Donald Trump ha definitivamente intrapreso la via protezionistica, che la strategia comunicativa definisce Liberation Day, dopo mese di annunci e marce indietro che hanno contribuito a creare un clima internazionale di incertezza. Ora le carte sono in qualche modo scoperte, e si attendono di conseguenza le contromosse dei diversi paesi. Da capire, infatti, in che modo risponderanno i vari paesi in termini di diversificazione delle strategie commerciali.
Sullo sfondo resta la variabile rappresentata dall’impatto sulla stessa economia americana. L’obiettivo di Trump è sostenere la produzione nazionale, e magari attirare imprese straniere a produrre negli Stati Uniti. Ma i dazi rischiano di avere un più immediato impatto sull’inflazione e, di conseguenza, sui consumi e sulla crescita.
Comunque, la strategia stessa fin qui seguita, con roboanti annunci seguiti da marce indietro, non può far escludere nuovi colpi di scena.
LE MERCI COLPITE DAI DAZI USA
I dazi riguardano praticamente tutti i prodotti importati negli Usa, con alcune eccezioni. Non sono ricompresi acciaio e alluminio, già colpiti da tariffe del 25% dallo scorso 12 marzo, auto e componentistica, per i quali sono scattati oggi i dazi del 25%, rame, prodotti farmaceutici, semiconduttori, legname, alcune materie prime, energia e prodotti energetici.
I DAZI PER LA UE
Dazi Trump, von der Leyen: UE pronta a rispondere1 Aprile 2025L’Europa risulta particolarmente colpita da questa ondata di tariffe, non essendo fra le aree del mondo a cui si applica il dazio di base del 10%, ma non è nemmeno fra i più penalizzati. Ora bisognerà capire come intende rispondere l’Unione Europea alle tariffe doganali del 20% dal 9 aprile, che ha già a più riprese annunciato la volontà di attuare contromisure adeguate, pur non abbandonando la strada del negoziato con quello che resta comunque il più importante partner economico.
Per l’Italia si tratta di un duro colpo, essendo la sua esposizione netta sul mercato statunitense pari al 24% del valore totale dell’export.
GLI STATI CON I DAZI PIÙ ELEVATI
Particolarmente rigide le misure nei confronti dei paesi della penisola indocinese: VIETNAM, LAOS, CAMBOGIA, MYANMAR HANNO TARIFFE SUPERIORI AL 40%, THAILANDIA AL 38%. MENO PESANTI, MA COMUNQUE PIÙ ALTI DI QUELLI EUROPEI, ANCHE I DAZI VERSO INDIA, 27%, INDONESIA, 32%, TAIWAN, 32%. TARIFFE PIÙ ALTE DI QUELLE UE PER SVIZZERA, 32%, LIECHTENSTEIN, 37%, BOSNIA HERZEGOVINA, 36%.
LA GRAN BRETAGNA È INVECE FRA GLI STATI A CUI SI APPLICA IL DAZIO DI BASE DEL 10%.
*( Fonte: PMI.it – Barbara Weisz – Giornalista professionista, scrive di economia, politica e finanza per la stampa specializzata, tra testate online quotidiani e riviste a diffusione nazionale.)
Views: 98
Lascia un commento