
Il record di “deportazioni” lo detiene ancora Bill Clinton: ben 12 milioni di persone in due mandati; Obama 5 e Trump “solo” 1.5 milioni tra 2O17 e 2021
di Roberto Festa (da Il Fatto Quotidiano del 26 gennaio 2025)
Per stare al passo dei suoi predecessori, Donald Trump dovrà mettercela tutta. Il presidente americano non manca di fiducia in se stesso. Figlio di New York, dove niente è mai piccolo, Trump ha sempre pensato in grande, arrivando a definirsi, in un vecchio vertice Nato, “un genio piuttosto stabile”. Certo, quindi, che a breve rivendicherà il primato anche in tema di deportazioni. È stato del resto lui stesso a dire di voler realizzare “la più vasta deportazione della storia americana”.
L’impresa potrebbe risultargli più difficile del previsto. Terra di immigrazione, l’America è da sempre anche terra di deportazione. Improvvise esplosioni di violenza, una furia incontrollata contro gli stranieri sono emerse spesso nella sua storia e hanno prodotto persecuzione, esclusione, ingiustizia. Per l’America, le deportazioni di stranieri sono state la cosa più bipartisan che ci sia. Ci si sono impegnati tutti, presidenti illuminati e oscurantisti. Anzi, il deporter in chief non è certo chi ci si sarebbe immaginato.
Per capire quanto antica sia la pratica di espellere gli stranieri sgraditi e temuti, basta un particolare. In campagna elettorale, Trump ha proclamato di volersi disfare della gang dei venezuelani di Aurora, Colorado, ricorrendo all’Alien Enemies Act del 1798, quando il Paese era a un passo dalla guerra con la Francia. L’isteria si diffondeva incontrollata, si avvertivano spie e delatori ovunque. L’Alien Enemies Act permise di deportare gli “stranieri”, leggi i francesi, senza processo e per il solo fatto di essere francesi.
Mai revocata, la legge è stata usata in altri momenti della storia americana e sempre con intenti chiaramente razzisti. Fu impugnata contro tedeschi e cittadini dell’impero austroungarico durante la Prima guerra mondiale. Contro italiani e soprattutto giapponesi – mandati dal presidente Roosevelt a migliaia nei campi di concentramento – durante la Seconda guerra mondiale.
Oggi Trump ritira fuori quella vecchia norma perché gli consente di fare una cosa che lui adora. Saltare l’imbarazzo fastidioso dei tribunali.
A metà Ottocento toccò agli irlandesi trasformarsi in bersaglio della furia popolare. Erano arrivati in America a migliaia, in fuga dalla Grande carestia.
Accusati di pesare con la loro povertà sulle casse statali, osteggiati perché il loro cattolicesimo sfidava l’egemonia protestante, vennero presi – si dice circa 50 mila –, sbattuti in Canada, riportati in Irlanda. Dopo aver escluso a fine Ottocento i cinesi dall’entrata nei confini americani, arrivarono la Rivoluzione bolscevica e i “rossi” ad alimentare paure e fratture dell ’immaginario americano.
Quando un giovane anarchico italiano, Carlo Valdinoci, fece esplodere una bomba davanti alla casa dell’attorney general A. Mitchell Palmer, partirono raid, rastrellamenti, deportazioni. Gran parte dei rastrellati erano attivisti di sinistra di Europa orientale, Russia e Italia. Fu Palmer a dire che “almeno il 90% dei responsabili sono stranieri”. Quei raid sono sembrati l’antecedente di un altro scoppio tragico e furioso, quello che prese l’America dopo l’11 settembre.
Nelle ore successive agli attentati, circa 1.200 uomini di origine araba e musulmana vennero prelevati e scomparvero nel nulla, per mesi, senza che venisse formalizzata alcuna accusa.
Molti di loro non tornarono più a casa. Furono appunto deportati, nei Paesi d’origine o in Paesi terzi.
“Non venite, se arrivate alle nostre frontiere,
sarete rimandati indietro”Kamala Harris, Guatemala,
7 giugno 2021
C’è, però, un episodio della storia americana che nei primi giorni di Donald Trump alla Casa Bianca viene spesso ricordato e che ha probabilmente fornito da modello e ispirazione, soprattutto mediatica, per le deportazioni di questi giorni. Si tratta dell’Operation Wetback, scatenata nel 1954 da Dwight D. Eisenhower contro l’immigrazione messicana. A partire dagli anni della guerra, in tempi di scarsità di uomini, manodopera messicana legale e illegale era andata a lavorare nel settore agricolo, soprattutto in Texas. La difficile integrazione che molte comunità dell’America più profonda sperimentarono venne sfruttata da Eisenhower, che scatenò quindi sulle fattorie una forza militare degna di una di una vera guerra.
Un milione circa di lavoratori, tra regolari e irregolari, venne rastrellato e riportato in Messico.
Oltre che per la presenza degli ispanici e per il cinico sfruttamento politico della vicenda, l’episodio è interessante per un altro aspetto. Una buona parte di chi lasciò gli Stati Uniti allora, non lo fece perché arrestato o costretto con la forza. Lo fece per paura. Le deportazioni non devono per forza avvenire. Le deportazioni sono il fantasma che segue i migranti e le loro famiglie in ogni momento della giornata. Alla fine, la tensione è insostenibile e la gente decide di partire.
È quanto viene segnalato in questi giorni nella californiana Central Valley. La raccolta delle arance è ferma. I lavoratori, per la gran parte ispanici, sono spariti. Pare del resto che quello che l’amministrazione sta facendo in questo momento sia proprio agire sulla percezione più che sui fatti.
I cambiamenti reali di politica, rispetto agli anni di Biden e di Obama, sono infatti minimi.
Si sa, per esempio, che con questa amministrazione gli agenti dell’immigrazione potranno condurre fermi e arresti anche nei pressi di scuole, chiese, ospedali, cosa che Biden aveva vietato. Ed è emerso che in diverse basi militari al confine con il Messico i soldati stanno costruendo strutture per ospitare i migranti arrestati. Per il resto, si procede su una linea di sostanziale continuità con il passato.
Trump proclama di voler “sigillare” la frontiera. Ma la frontiera era già stata “sigillata” da Biden, con la decisione dello scorso anno di sospendere le entrate quando gli arrivi giornalieri superavano alcune migliaia di unità. Quanto agli arresti di queste ore, con le persone mostrate in catene, sono ancora normalità, più che novità: arresti e deportazioni di illegali sono una realtà da anni.
Nel solo 2024, ultimo anno di presidenza Biden, sono stati 271 mila gli irregolari deportati. In nessuno dei suoi primi quattro anni di mandato, Trump aveva fatto tanto.
Altro dato. Tra il 2017 e il 2021, sempre gli anni di Trump alla Casa Bianca, sono state deportate un milione e mezzo di persone.
In due mandati, Barack Obama ha deportato cinque milioni di irregolari; George W. Bush, sempre in due mandati, dieci milioni; Bill Clinton, ancora in due mandati, dodici milioni.
Il deporter in chief, al momento, non è quindi Donald Trump. Donald Trump è piuttosto colui che ha deciso di portare alla luce quello spazio cupo, di caos, paura, instabilità, che fa da sempre parte della storia americana.
FONTE: Il Fatto Quotidiano del 26 gennaio 2025
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