Critiche finte e sostegni veri degli USA a Israele

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Gli aiuti: dalle batterie missilistiche al supporto d’intelligence. Tel Aviv colpisce grazie a Biden

 

di Riccardo Antoniucci (da Fatto Quotidiano, 22 Ottobre 2024)

La batteria missilistica made in USA Thaad è “in posizione” da ieri, in Israele. Pronta a diventare operativa, ha assicurato il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin. Per funzionare, il sistema di intercettazione di missili balistici a medio raggio, il Terminal High Altitude Area Defense testato per la prima volta negli Emirati Arabi Uniti nel 2022, ha bisogno di un centinaio di marines specializzati schierati sul territorio dello Stato ebraico. Un contingente con funzione puramente tecnica e difensiva, ha specificato il Pentagono, ma questi non sono gli unici “stivali americani sul terreno” dall’inizio della guerra a Gaza. Altri hanno il marchio della CIA. In più di un anno di guerra a Gaza lanciata da Israele contro Hamas in risposta al massacro del 7 ottobre, l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale si è concentrata spesso sugli armamenti forniti dagli Stati Uniti a Tel Aviv. Bombe e munizioni (tra cui diecimila famigerate testate ad alto potenziale della serie Mk-80) direttamente usati a Gaza, un volume di pezzi da 17,9 miliardi di dollari, secondo una stima della Brown University (a differenza di quanto accade con l’Ucraina, la Casa Bianca non quantifica pubblicamente gli aiuti forniti all’alleato israeliano). Nella regione, gli Stati Uniti hanno schierati anche 42 mila marines e dozzine di navi militari e portaerei, con scopi di deterrenza per l’Iran e di contrasto degli attacchi dei suoi proxy, contro le navi nel Mar Rosso o contro Israele.

Ma la cooperazione più fruttuosa tra Washington e Tel Aviv, e molto meno discussa, è quella di intelligence, che si svolge anche sul terreno. Subito dopo il massacro del 7 ottobre 2023, il Pentagono ha inviato con discrezione diverse decine di militari delle forze speciali: tra gli ostaggi rapiti da Hamas, del resto, ci sono anche dei cittadini americani e gli USA hanno interesse a recuperarli. Qualche giorno dopo, si aggiunge un drappello di agenti in arrivo direttamente da Langley, Virginia, il quartier generale della Central Intelligence Agency. Il mandato della task force americana in Israele è ufficialmente di localizzare gli ostaggi, scambiando informazioni con i colleghi dello Shin Bet israeliano. Le informazioni recuperate dall’intelligence statunitense hanno contribuito, per esempio, a localizzare i quattro ostaggi salvati dai commando israeliani a giugno, nell’operazione di Nuseirat (che è finita in bagno di sangue per i palestinesi, morti circa in 200). Ma i militari USA in trasferta sono stati anche molto impegnati a cercare Yahya Sinwar.

Anche se l’eliminazione dell’ideatore del 7 ottobre è stato un evento casuale (il generale Patrick S. Ryder ha detto che “è stata un’operazione israeliana”), gli USA hanno investito molte risorse per localizzare i leader di Hamas. Dopo l’uccisione del leader di Hamas a Rafah, la scorsa settimana, Joe Biden si è lasciato scappare l’esistenza di questa collaborazione di intelligence: “Poco dopo i massacri del 7 ottobre ho dato ordine al personale delle operazioni speciali e ai nostri professionisti di intelligence di lavorare fianco a fianco con le loro controparti israeliane per aiutare a localizzare e rintracciare Sinwar e altri leader di Hamas che si nascondono a Gaza”.

Washington ha iscritto Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche e avevano tutto l’interesse a dare la caccia a quello che consideravano il Bin Laden di Israele, ma a motivare la Casa Bianca era soprattutto la speranza che consegnare a Benjamin Netanyahu la testa dell’autore del massacro del 7 ottobre avrebbe reso Tel Aviv più incline ad accettare un cessate il fuoco. “Abbiamo dedicato notevoli sforzi e risorse agli israeliani nella caccia ai vertici di Hamas, in particolare a Sinwar. Abbiamo avuto persone in Israele sedute nella stanza con gli israeliani a lavorare su questo problema”, ha confermato a gennaio Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca.

Oltre che nella caccia agli ostaggi e a Sinwar, gli USA sostengono l’IDF nella ricerca e nella mappatura dei tunnel. Un’attività che confina con l’individuazione dei bersagli da colpire. Sui cieli israeliani volano almeno sei droni ultra-tecnologici del modello Reaper, manovrati dagli USA, che monitorano i segni di vita nella Striscia e riversano un flusso continuo di informazioni alle Forze di Difesa Israeliane. Un supporto di intelligence “inestimabile”, ha ammesso un funzionario israeliano al New York Times.

I sensori dei Reaper non sono in grado di penetrare il terreno fino a raggiungere la vasta rete di tunnel sotterranei di Hamas, ma come hanno spiegato funzionari militari al quotidiano statunitense si sono specializzati a individuare tracce di calore (corpi umani) che apparivano o scomparivano improvvisamente, potenziale indizio della presenza di una botola di accesso a una galleria.

Fin dall’anno scorso, inoltre, gli USA hanno attivato in Israele alcuni radar specifici per scandagliare il sottosuolo. I funzionari del Dipartimento della Difesa hanno insistito sul fatto che queste attività non sono equiparabili al sostegno diretto alle operazioni militari israeliane sul terreno a Gaza, e quindi che gli Stati Uniti non sono complici del massacro di oltre 42 mila palestinesi e della distruzione di buona parte degli edifici e delle infrastrutture della Striscia.

Tuttavia, chi a Washington si occupa di tenere i rapporti con l’intelligence alleata israeliana non è contento dello scambio. Il rapporto sarebbe “molto sbilanciato”, si è lamentata mesi fa una fonte anonima del Dipartimento di Stato con i media: gli americani condividono più di quanto gli israeliani diano in cambio. Dal lato opposto, il governo di Tel Aviv è spesso diffidente rispetto all’alleato: Netanyahu teme che le informazioni condivise con Washington vengano usate per frenare i suoi piani bellici a tutto campo. È successo con ogni probabilità con l’annunciato attacco israeliano in Iran per rispondere all’aggressione missilistica del 1º ottobre. È noto che Biden non apprezzava l’iniziativa israeliana nel timore di un’escalation regionale. L’autore della fuga di notizie che ha rivelato i piani d’attacco israeliano sui social resta ignota per ora. L’FBI indaga, ma di certo l’effetto dell’operazione è stato di ritardare di un altro po’ l’attacco di Israele.

 

 

FONTE: Il Fatto Quotidiano, 22 Ottobre 2024

 

 

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