Premierato e giustizia, il governo costretto al rinvio dalle sue contraddizioni

 

di Alfiero Grandi

Premesso che le decisioni della Presidenza della Camera sul calendario possono sempre essere cambiate con un dietrofront, la maggioranza e il governo hanno deciso di prendere tempo su premierato e modifiche della Costituzione sui magistrati presentate da Nordio.

La proposta fatta dalla Presidenza della Camera, quindi dalla maggioranza, ha sorpreso, ma segnali in questa direzione c’erano anche se limitati al premierato, invece ora il rinvio al 2025 riguarda entrambe le proposte di modifica della Costituzione.

Perché. Anzitutto la raccolta delle firme per il referendum abrogativo della legge Calderoli, che va meglio delle previsioni, e i ricorsi di 4 regioni alla Corte costituzionale. Calderoli ha tentato di forzare, spinto da Zaia e Fontana, fissando per fine settembre il tempo limite ai Ministeri per esprimere le loro opinioni, trascorsi i quali avrebbe aperto le trattative con le singole regioni richiedenti. Una autentica provocazione. Se 4 regioni chiedono alla Corte di pronunciarsi sulla costituzionalità della legge. Se a gennaio la Corte dovrà decidere sull’ammissibilità del referendum è complicato per il governo ignorare questi appuntamenti senza dimostrare con chiarezza di voler forzare per creare un fatto compiuto. Il governo non sembra in condizioni di farlo.

Se la Lega non può procedere nello sberleffo a regioni e promotori del referendum è evidente che entra in sofferenza il legame con l’elezione diretta del presidente del Consiglio (voluto da Giorgia Meloni) e la separazione delle carriere dei giudici (cara a Tajani). In sostanza il simul stabunt simul cadent che lega i tre provvedimenti e su cui è fondato il patto di potere tra le destre obbliga al rinvio.

Naturalmente ci sono anche altre ragioni per questa scelta. Ad esempio non risulta che la maggioranza abbia sciolto il nodo della legge elettorale maggioritaria che si è impegnata a presentare in modo da far capire a tutti come intende uscire dai numerosi “cul de sac” tecnici in cui si è messa da sola e che rendono molto difficile attuare le modifiche costituzionali che vorrebbe introdurre, stando al testo approvato dal Senato.

Anche la sofferenza politica di settori della destra sull’autonomia regionale differenziata che coinvolge autorevoli Presidenti del Sud, e fasce importanti di elettorato nel Sud, ma anche nel Nord. Sottolineo quanto ha scritto Innocenzo Cipolletta, con un passato importante in Confindustria, che ha dato voce a settori imprenditoriali che temono i vincoli delle singole regioni e l’arretramento da norme nazionali, proprio nel momento in cui le aziende italiane affrontano la possibilità di giocare un ruolo europeo (Draghi è avvisato) e vengono fermate da una levata di scudi a cui si aggiungono posizioni dei governi più che discutibili alla luce delle regole europee e per dare un futuro all’Unione, come hanno indicato due rapporti come quelli di Letta e di Draghi. E’ evidente che le vicissitudini Unicredit/Commerzbank parlano di questo, sottolineando la distanza tra l’essere e il dover essere. Si possono ricostruire barriere in Italia quando ne esistono fin troppe in Europa ? che per di più questo governo non vede perché si attarda su una politica che lo vedono nelle scelte di fondo schierato con i passatisti e contro le innovazioni, in particolare su energia e ambiente.

Le preoccupazioni sono al Sud ma sono ben presenti anche al Nord. Nei prossimi giorni Confindustria dovrà prendere posizione sull’autonomia regionale differenziata ed è sperabile che abbia il coraggio di dire no alle istanze para-secessioniste della Lega.

L’opposizione dovrebbe avere ancora più chiara l’importanza delle decisioni riguardanti l’autonomia regionale differenziata. Su questo punto si deciderà molto del futuro dell’Italia, che potrebbe ripiegare in un dualismo interno mortale o riprendere un cammino di innovazione e modernizzazione con al centro il ruolo del lavoro.

I referendum della prossima primavera se – come è auspicabile saranno confermati – affronteranno la discriminante tra passatismo e innovazione, chiederanno di votare e di decidere ad elettrici ed elettori, con una svolta rispetto all’astensionismo crescente e saranno un altolà forte alla maggioranza. Se è vero che quello che la tiene insieme è un patto di potere del tipo: questo a me, questo a te, pazienza. Vuol dire che si tornerà a votare ed è sperabile che la legge elettorale venga cambiata in tempo utile per evitare un nuovo 2022, quando la maggioranza parlamentare è stata regalata ad una minoranza di voti.

I referendum per la prossima primavera, tutti con 1 milione di firme compresa l’autonomia regionale differenziata, chiedono l’abrogazione di norme che hanno indebolito le tutele del lavoro, per ridare diritti e salute, e per impedire che la Lega ottenga venti anni dopo quello che non ha ottenuto quando ha iniziato a parlare di padania (area solo idrografica) e di un regionalismo egoista e miope che porterebbe ad un secessionismo senza futuro.

 

 

 

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