Quel peccato originale del documento Draghi

Di Quirinale.it, Attribution, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=99535285

di Pasquale Tridico (da Il Fatto Quotidiano, 13 Sett 2024)

Il rapporto Draghi nasce sotto un peccato originale: il suo proponente. Chi lo ha redatto infatti non arriva da quei settori della società, dell’economia, dell’università e della politica che hanno sempre criticato l’attuale governance dell’UE, quella struttura orientata alla deflazione, ai vincoli di bilancio, fino alla austerità soprattutto nel periodo della gestione della crisi finanziaria iniziata nel 2007.

Mario Draghi è uno dei principali protagonisti di quella governance che perfino nel periodo più recente, dopo il Covid, ha avallato la riforma del Patto di Stabilità e la sua spinta rigorista che costringe il nostro Paese a un rientro dal disavanzo dello 0,6% ogni anno, circa 13 miliardi in meno di spesa pubblica che potrebbero essere orientati alla sanità, alla scuola, alle politiche sociali.

Ex governatore della Banca d’Italia, ex presidente del Consiglio per la stabilità finanziaria, ex presidente della BCE e infine ex primo ministro, Mario Draghi non è la persona più credibile per portare avanti la proposta di un debito comune europeo, di un bilancio comune di almeno 800 miliardi euro di investimenti e di un Next Generation EU permanente (tutte cose che si ritrovano puntualmente nel programma alle elezioni europee del M5S). Per noi c’è una differenza tra il dire e il fare le cose e questa si chiama coerenza.

La mancanza di competitività denunciata nel rapporto Draghi è figlia di politiche neoliberiste e dell’assenza dello Stato negli investimenti industriali e nei comparti tecnologici dell’economia. Draghi non è il più titolato a muovere questa critica e soprattutto non l’ha mai affrontata nei tanti ruoli di potere che ha avuto. Anzi, ha fatto esattamente il contrario, fin dal suo ruolo nelle privatizzazioni di Stato negli anni 90 durante la sua permanenza al Tesoro.

La mancanza di competitività in UE nasce dall’assenza di una politica industriale europea surclassata dalla grande vitalità di Cina e USA (si confronti ad esempio l’IRA americano che mobilità circa 1 trilione di dollari in investimenti pubblici con il nulla dell’UE) ed è figlia della mancanza di una strategia tecnologica e di una politica sociale per ridurre le povertà, i divari e le diseguaglianze e aumentare il capitale umano investendo in formazione, istruzione e scuola.

Per rispondere a questa sfida abbiamo proposto di trasformare la Banca Europea degli Investimenti (BEI) in Banca Europea per lo Sviluppo e la Transizione Ecologica (BEST). Questo istituto, a nostro avviso, dovrebbe sostenere lo sviluppo di filiere strategiche per la transizione e finanziare l’innovazione tecnologica nei settori dell’efficienza energetica, dei trasporti e della produzione di energia da fonti rinnovabili.

Oggi questi settori sono abbandonati a loro stessi, senza regia e senza capacità di spesa. Il rapporto Draghi verrà presto archiviato e cestinato per due ragioni. La prima è che la futura Commissione von der Leyen nasce debole e senza figure di spicco. La seconda risiede nella natura reazionaria della maggioranza in Consiglio dove molte capitali preferiscono gestire l’esistente piuttosto che ambire a riformare i Trattati.

Nel rapporto Draghi, osannato a priori da alcuni politici senza neanche averlo letto, ci sono anche clamorosi buchi: manca la necessità di avviare una seria lotta contro elusione ed evasione fiscale per giganti del web e multinazionali, con politiche in linea con la sentenza della Corte di Giustizia Europea sul tax ruling applicato dall’Irlanda ad Apple che permetteva a quest’ultima di non pagare le tasse.

Secondo alcune stime con le risorse recuperate dall’elusione fiscale potremmo coprire un quinto degli 800 miliardi di euro di aumento del bilancio europeo proposti da Draghi. Manca una prospettiva per un fisco equo, con una tassa sui multi-milionari e per una tassa unica sulle società di capitale che si mobilitano liberamente nella Eurozona.

Manca infine una seria analisi dell’attuale crisi demografica europea, conseguenza diretta dei tagli al welfare voluti dall’austerity. Le misure di sostegno al reddito di una Europa sociale, dal reddito minimo europeo al salario minimo, dalla lotta alla precarietà alla settimana corta di quattro giorni che possono contribuire a rallentare la decrescita della popolazione e quindi alla futura crescita europea. Che futuro vogliamo costruire con gli Eurobond di guerra? Non certo quello a cui ambiscono tutti i cittadini e cioè pace, giustizia sociale e prosperità.

 

 

 

 

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