
01 – Schirò (Pd) – Il governo fa marcia indietro: rimane (per ora) il bonus prima casa per gli emigrati. Il Governo fa marcia indietro e stralcia dal Decreto Fiscale pubblicato in G.U. l’articolo che prevedeva la cancellazione delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa in Italia da parte degli italiani residenti all’estero.
02 -Alfiero Grandi. Maggioritario è il vecchio, proporzionale è liberazione di energie positive
03 – Brevi dal mondo: Guantanamo, Stati uniti. Stati uniti: la Corte Suprema lascia in vigore la legge del Texas; Un giudice Usa: la detenzione di Assadullah Haroon Gul a Guantanamo è illegale
04 – Pier Giorgio Ardeni*: La sinistra svanisce, mentre il Paese si allontana
05 – Alfiero Grandi.*: Riflessioni sull’Italia che ha bisogno democratico del sindacato e sul pericolo neofascista
06 – Giorgio Vincenzi*: Piero Bevilacqua, dieci storie di lotta e di anarchia Intervista. Consegnare alle generazioni che verranno una memoria delle vicende calabresi che hanno come protagonisti persone umili e per questo private della possibilità di raccontare la loro verità: è la ragione per cui lo storico e presidente dell’Istituto meridionale di storia e scienze sociali ha coordinato una ricerca i cui frutti sono ora raccolti nel libro «Storie di lotta e di anarchia», da Donzelli.
01 – SCHIRÒ (PD) – IL GOVERNO FA MARCIA INDIETRO: RIMANE (PER ORA) IL BONUS PRIMA CASA PER GLI EMIGRATI. IL GOVERNO FA MARCIA INDIETRO E STRALCIA DAL DECRETO FISCALE PUBBLICATO IN G.U. L’ARTICOLO CHE PREVEDEVA LA CANCELLAZIONE DELLE AGEVOLAZIONI FISCALI PER L’ACQUISTO DELLA PRIMA CASA IN ITALIA DA PARTE DEGLI ITALIANI RESIDENTI ALL’ESTERO.
Resta quindi – almeno per ora e a scanso di sorprese nella Legge di Bilancio – la possibilità di beneficiarne senza la necessità di trasferire la residenza in Italia entro 18 mesi dall’acquisto.
Nella bozza del Decreto che è circolata fino a venerdì scorso dopo l’approvazione del provvedimento in Consiglio dei Ministri, all’articolo 6 – intitolato “Procedure di infrazione europee in materia fiscale” – (e che ora non esiste più) il Governo aveva cancellato il bonus prima casa per gli italiani all’estero e cioè la norma che prevedeva tutta una serie di agevolazioni fiscali senza l’obbligo di stabilire (come avviene invece per gli italiani residenti in Italia e per gli stranieri) entro diciotto mesi la propria residenza nel Comune in cui è situato l’immobile acquistato.
L’agevolazione (per ora quindi ancora in vigore) consiste nel versamento di un’imposta di registro del 2 per cento, anziché del 9 per cento, sul valore catastale dell’immobile acquistato, e delle imposte ipotecaria e catastale snella misura fissa di 50 euro o, quando a vendere l’immobile è un’impresa soggetta a IVA, l’applicazione di un’aliquota del 4 per cento, anziché del 10 per cento, e il versamento di imposte di registro, catastale e ipotecaria nella misura fissa di 200 euro ciascuna.
Si leggeva nel testo del Decreto fiscale in versione Bozza, e di cui avevamo subito dato notizia, che dalla legge attualmente in vigore, “le parole “se trasferito all’estero per ragioni di lavoro… e nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, che l’immobile sia acquistato come prima casa sul territorio italiano” sono soppresse”.
Avevamo appreso che l’agevolazione veniva soppressa per venire incontro ai rilievi della Commissione europea che aveva deferito l’Italia alla Corte di Giustizia europea perché l’applicazione dell’aliquota ridotta del 2 per cento dell’imposta di registro, e le altre agevolazioni, per l’acquisto della prima casa senza alcun vincolo di residenza, concesse ai soli cittadini italiani emigrati (e non a tutti i cittadini europei), contrasta con il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che non ammette trattamenti discriminatori basati sulla cittadinanza.
Era sembrato quindi che per evitare una sicura condanna (e conseguenti sanzioni) da parte della Corte di Giustizia europea il Governo aveva evidentemente ritenuto utile ed opportuna una nuova formulazione della norma eliminando appunto la parte reputata discriminatoria (che favorisce solo i cittadini italiani), allineandosi così ai trattati UE, perchè mantenere la norma ed estendere quindi le agevolazioni a tutti i cittadini europei sarebbe stato troppo oneroso (attualmente infatti i cittadini di altri Stati membri non hanno diritto alle agevolazioni se non risiedono effettivamente nel comune in cui si trova il bene o se non si trasferiscono entro 18 mesi dall’acquisto).
Ora invece nel Decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Governo ha eliminato la nuova norma che avrebbe cancellato le agevolazioni: non ci sono più infatti modifiche alla normativa di riferimento. Non sappiamo perché il Governo abbia fatto marcia indietro all’ultimo momento ma riteniamo che probabilmente è solo questione di tempo (magari il provvedimento verrà ripresentato nella Legge di Bilancio) perché l’Italia deve allinearsi alle indicazioni dell’UE, così come putroppo è accaduto nel caso dell’esenzione IMU per i pensionati italiani residenti all’estero e iscritti all’AIRE, agevolazione abolita dalla Legge di Bilancio 2020 (e sostituita successivamente con una norma . di cui siamo stati promotori – che, senza far riferimento alla cittadinanza, concede lo sconto IMU del 50% a tutti i titolari di pensione in regime internazionale con l’Italia e proprietari di un immobile in Italia).
*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati)
02 -ALFIERO GRANDI. MAGGIORITARIO È IL VECCHIO, PROPORZIONALE È LIBERAZIONE DI ENERGIE POSITIVE. 25 Ottobre 2021
Il risultato delle elezioni comunali è stato sfavorevole alla destra e favorevole al Pd, riferimento di una coalizione a geometria variabile, e ha registrato il disastro del Movimento 5 Stelle. La battuta d’arresto per la destra è evidente. I tentativi di Salvini di millantare scenari favorevoli, subito dopo il voto, sono durati ben poco. Giustificazioni senza fondamento. In sé il risultato ha segnato certamente una boccata di ossigeno per le forze che contrastano, non sempre con piena consapevolezza, la destra.
Tuttavia è indispensabile guardare oltre il risultato immediato che potrebbe trarre in inganno.
La sconfitta della destra, come risulta evidente dai ballottaggi, è il risultato di una maggiore perdita di voti rispetto al Pd e ai suoi alleati. Se immaginiamo due ascensori, uno è precipitato, l’altro è sceso di meno, ma è comunque sceso. Rutelli infatti ha rivendicato che prese, un’epoca fa, più voti di tutti i votanti attuali. L’astensione, la disaffezione al voto, è la vera protagonista delle elezioni amministrative che segnalano il crollo del ruolo del Movimento 5 Stelle che sembrava essere il possibile interprete di una critica di fondo ai partiti storici. Infatti l’affermazione elettorale del M5Stelle si è manifestata prima con l’exploit del 2013, poi nel 2018 quando ben un terzo degli elettori ha consegnato la sua rappresentanza critica ma attiva al M5Stelle. Ora non è più così, una parte rilevante degli elettori – più di destra che di sinistra – non ha più trovato un soggetto politico in grado di rappresentarli e hanno scelto il non voto. In particolare questo è avvenuto nelle periferie, nelle zone popolari dove l’astensione dal voto ha raggiunto percentuali mai viste, anche il 70, 80 per cento. Per fortuna non dappertutto ma i picchi sono questi.
Alcuni anni fa, nel novembre del 2014, è stato rapidamente archiviato un episodio politico rilevante, antesignano di quanto è avvenuto adesso nelle elezioni amministrative, e cioè la prima elezione di Bonaccini a presidente della Regione Emilia Romagna, quando vinse ma con una partecipazione al voto del 37%. Questo in una regione come l’Emilia Romagna che ha una tradizione politica di partecipazione al voto altissima. Non era un semplice episodio ma il segnale preoccupante che elettrici ed elettori non rispondono più ad appartenenze, ma si muovono con grande scioltezza e se non sono convinti non votano. La riflessione nel Pd su questo avvenimento, di prima grandezza, come su altri altrettanto importanti come la fase infausta di Renzi segretario del Pd, non c’è mai stata e ora si rischia la replica, come dimostra qualche entusiasmo di troppo. Eppure in quel momento in Emilia Romagna è venuto un segnale forte del distacco tra rappresentanze politiche ed elettrici ed elettori. Questo voto amministrativo segnala che la destra sta peggio, ma le sinistre non debbono inorgoglirsi perché la disaffezione le colpisce, meno ma le colpisce.
Quando si manifesta un distacco politico di questa ampiezza e profondità la democrazia non è in buona salute.
Una democrazia come quella italiana, con un elettorato estremamente mobile o che decide di rimanere a casa, è un problema. È un orientamento mutevole, influenzabile dai media, una vera incognita. Mentre non ci sono più partiti o sedi politiche in grado di costruire partecipazione, cultura politica, ispirare fiducia, promuovere la partecipazione attiva delle persone. La crisi dei partiti, sempre più autoreferenziali, lontani dai problemi delle persone, permane, non trova soluzione. In altri paesi non è così, ad esempio in Germania i partiti continuano ad essere contenitori importanti di partecipazione. Del resto la Costituzione italiana prevede che i partiti svolgano un ruolo importante nella vita democratica, organizzando partecipazione e battaglia politica su proposte, su alternative. Questa possibilità si è inaridita, lasciando spazio a partiti personali, non solo a destra, a gruppi dirigenti autoreferenziali, distaccati, attenti agli umori ma incapaci di avanzare piattaforme e di organizzare il raggiungimento degli obiettivi. L’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione potrebbe aiutare a rilanciare la vita democratica interna, a stabilire regole precise di funzionamento per arrivare a decisioni, candidature comprese, al rispetto delle minoranze e delle regole nella selezione interna. Questa è la legislatura in cui Renzi ha deciso di fatto buona parte delle candidature del Pd, al punto che quando ha lasciato il partito si è portato dietro un notevole gruppo di parlamentari, indebolendo fortemente quelli del Pd. La decisione su chi eleggere ha creato un rapporto di fedeltà con chi ne aveva deciso l’elezione in parlamento.
In questa fase il punto di fondo è la legge elettorale.
Quella in vigore è il pessimo rosatellum, peggiorato dalla legge voluta dalla Lega ai tempi del Conte 1 per coordinarlo con il taglio del parlamento. La Lega nell’accettare il patto con il Movimento 5 Stelle di tagliare i parlamentari dalla legislatura che verrà ha ottenuto di decidere contestualmente la legge elettorale e in particolare di confermare il rosatellum con qualche peggioramento in senso maggioritario, maggio 2019. Questo pasticcio ha trovato attuazione con il governo Conte 2 nel gennaio 2021, dopo il referendum del settembre 2020 che ha confermato il taglio. È vero che il governo deve attuare la legge in vigore, ma proprio per questo avrebbe dovuto tentare di cambiare la legge elettorale anziché limitarsi a darle attuazione. Difficile dire se la ormai prossima elezione del nuovo Presidente della Repubblica possa originare soluzioni che porteranno al voto anticipato. Potrebbe accadere. In ogni caso questa è la fase in cui il parlamento dovrebbe tentare di arrivare ad approvare una nuova legge elettorale, che potrebbe valere in caso di elezioni anticipate o alla scadenza ordinaria nel 2023.
Approvare una nuova legge elettorale è indispensabile.
Quella in vigore ha già dimostrato di essere una legge sbagliata, incapace di rilanciare il rapporto tra partiti ed elettori. Anzi affida il potere ai vertici dei partiti di mettere i candidati al posto giusto in lista per risultare. I vertici non vogliono rinunciare a questo potere, ma è indispensabile farlo se si vuole ristabilire un rapporto di fiducia tra elettori ed eletti. Il parlamento è ai livelli storici più bassi in termini di credibilità. Quando ha votato il taglio dei suoi componenti ha compiuto una sorta di suicidio politico, perché non ha trovato la forza di reagire. Da tempo i governi hanno usato ed abusato dei loro poteri, imponendo le loro scelte al parlamento, con voti di fiducia, uso sempre più frequente dei decreti legge, maxiemendamenti. Ci sono stati impegni a cambiare atteggiamento, ma sono stati disattesi e questo andazzo è proseguito governo dopo governo. L’unica legge di iniziativa parlamentare approvata di qualche peso in questa legislatura è quella sulla parità retributiva tra donne e uomini, per il resto il parlamento ratifica quello che il governo decide. Con il governo Draghi questo meccanismo di rovesciamento dei ruoli previsti dalla nostra Costituzione (il parlamento decide le scelte e il governo si muove nel loro ambito) è diventato permanente. È il governo il punto di decisione e di eventuale mediazione, il parlamento è inondato di decreti di attuazione delle cosiddette riforme. Si tratta di un numero consistente di provvedimenti che prevedono deleghe al governo a decidere. Questa modalità tende così a diventare permanente, perde il carattere di fase contingente per diventare sistema e finisce con il mutare il ruolo del parlamento che non rivendica il proprio ruolo di rappresentanza.
Questa è l’affermazione di una Costituzione materiale diversa da quella scritta e di questo passo prima o poi qualcuno porrà il problema di riscriverla.
Per questo la legge elettorale è un passaggio cruciale. Se il parlamento è al punto più basso di credibilità lo si deve anche alla modalità della sua composizione che sfugge al controllo degli elettori ed è appannaggio dei vertici dei partiti che decidono gli eletti. Ridare ai parlamentari il ruolo di rappresentanti dei cittadini vuol dire avere una rappresentanza proporzionale alle liste, senza meccanismi ulteriori di accentramento visto che la soglia del 3% per eleggere è già aumentata di fatto di un terzo dalla diminuzione del numero degli eletti, prevedendo recuperi in modo da garantire il più possibile la rappresentanza culturale, politica, sociale, territoriale, altrimenti ci sarebbero esclusioni radicali. Inoltre occorre che i cittadini possano scegliere la persona in cui ripongono fiducia. Se la composizione avvenisse in futuro su queste basi avremmo fatto un passo avanti contro l’astensionismo, l’allontanamento dalla partecipazione politica. Infine, la Germania sta dimostrando che le coalizioni di governo si possono formare dopo il voto sulla base del consenso ottenuto, anziché insistere su coalizioni preventive incentivate dal maggioritario che hanno fallito sia a destra che a sinistra. Sono molto più solidi patti di coalizione conquistati faticosamente con confronto e mediazioni, dopo che ciascun partito si è presentato agli elettori e sa su quale consenso può contare.
Quindi una legge elettorale proporzionale, con eletti scelti direttamente dagli elettori, è un primo recupero di credibilità del ruolo del parlamento e dei parlamentari e probabilmente anche la sua composizione ne trarrebbe un beneficio di qualità importante. Non basta la legge elettorale, ma certo una cattiva, come quella in vigore, impedirebbe un rilancio del ruolo del parlamento favorendo una modifica di fatto della Costituzione.
Un confronto politico forte, tra piattaforme potrebbe sciogliere nodi nella formazione delle coalizioni che stanno ormai raggiungendo punti preoccupanti. Forse a destra si liberebbero energie per costruire una posizione di destra costituzionale, ben diversa dalla subalternità attuale a sovranismi ed estremismi. Anche a sinistra questo porterebbe al chiarimento dei ruoli e ciascuno dovrebbe conquistare i propri consensi nel vivo della battaglia politica.
*(Alfiero Grandi)
03 – BREVI DAL MONDO: GUANTANAMO, STATI UNITI. STATI UNITI: LA CORTE SUPREMA LASCIA IN VIGORE LA LEGGE DEL TEXAS; UN GIUDICE USA: LA DETENZIONE DI ASSADULLAH HAROON GUL A GUANTANAMO È ILLEGALE
STATI UNITI: LA CORTE SUPREMA LASCIA IN VIGORE LA LEGGE DEL TEXAS
La Corte Suprema degli Stati uniti ha di nuovo rifiutato di bloccare l’applicazione della Senate Bill 8, la legge del Texas che proibisce l’aborto dopo le sei settimane, finché non sentirà – il primo novembre – gli argomenti contro la legge del Dipartimento di giustizia.
Unica in dissenso dei nove membri della corte la giudice Sonia Sotomayor, che condanna una decisione che per la seconda volta (dopo quella del primo settembre che non accoglieva l’appello delle strutture che offrono interruzioni di gravidanza e in questo modo consentiva l’entrata in vigore della SB8) «rifiuta di agire immediatamente per proteggere le donne da un danno irreparabile».
UN GIUDICE USA: LA DETENZIONE DI GUL A GUANTANAMO È ILLEGALE
Fra i 39 detenuti ancora a Guantanamo, uno dei due soli afghani rimasti, e fra i 20 mai accusati di alcun crimine, Assadullah Haroon Gul si è visto riconoscere dal giudice di Washington Amit P. Mehta l’habeas corpus: la sua detenzione nella prigione cubana è illegale.
«È una vittoria epocale per lo stato di diritto e ci ricorda che ci sono limiti a ciò che è lecito fare in nome della sicurezza nazionale», ha commentato la sua avvocata Tara Plochocki. La decisione del giudice è la prima in questo senso da 10 anni, ma come gli altri prigionieri di Guantanamo a cui è stato riconosciuto l’habeas corpus Gul rischia di rimanere nella prigione ancora a lungo in attesa dell’appello del governo e che venga deliberato che può venire rimpatriato
04 – Pier Giorgio Ardeni*: LA SINISTRA SVANISCE, MENTRE IL PAESE SI ALLONTANA
Il risultato elettorale potrà pure soddisfare il centro-sinistra imperniato sul Pd, ma ciò non toglie che sia stata una «vittoria a metà», come ha titolato questo giornale il 5 ottobre. L’astensionismo record ha penalizzato i 5 Stelle, la destra e anche la sinistra, rivelando così il rovescio della medaglia di quel voto.
E la sinistra, tanto quella «governativa» quanto quella «alternativa», ha poco di cui andare fiera. I numeri parlano chiaro.
A Bologna, dove i votanti sono stati 22mila in meno di cinque anni fa, la lista di sinistra di Coalizione civica, che sosteneva il candidato Pd Lepore che pure ha vinto al primo turno, ha preso 10.722 voti (il 7.3%). Nel 2016, in solitaria opposizione, ne aveva avuti 12.017 (il 7.1%). Le tre liste «bonsai» della sinistra ottengono insieme appena 6.096 voti, tre volte tanti i 1.869 del 2016 (ma solo 4.227 in più), forse raccogliendo qualcuno degli elettori di sinistra delusi dell’abbraccio a Lepore. Pd e liste «satelliti» si fermano a 76.613 voti (appena 4.289 in più) e i Verdi a 4.113 (1.538 in più). A Bologna, quindi, i 23mila voti persi dai 5 Stelle (ne avevano 28mila, oggi meno di 5mila) sono stati compensati dai moderati di centro confluiti sul centro-sinistra (la destra perde 14mila voti), il «campo largo» non pare stendersi a sinistra, mentre la performance di Coalizione civica e delle altre liste bonsai resta deludente.
A Roma, la sinistra, con un suo candidato, aveva ottenuto 52.780 voti, mentre l’unica altra lista alla sua sinistra si era fermata a 9.917. Oggi, nonostante il crollo della candidata 5 Stelle e con 220mila astenuti in più, la lista Sinistra civica ecologista (a sostegno del candidato Pd) ne prende 20.493, mentre le liste bonsai «alternative» (ben 5), ne ottengono 17.472. È evidente come, pur nel frastagliato panorama elettorale romano, la sinistra arranchi e perda consensi (24.732 nel complesso), comunque la si giri.
A Napoli, invece, in un contesto meno strutturato (in termini partitici), la lista Napoli solidale sinistra a sostegno di Manfredi prende 12.596 voti, mentre le altre liste a sinistra (tre) ne raccolgono ben 17.732. Nel 2016, con De Magistris che poi si affermò (e aveva una sua lista), la lista Napoli in comune a sinistra prese 19.945 voti, mentre le due liste bonsai di sinistra si fermarono a mille (è la sinistra «governativa» in questo caso a perdere a favore di quella alternativa).
A Milano, nel 2016, Sinistra per Milano, a sostegno di Sala, aveva ottenuto 19.281 voti, contro i 19.743 delle altre di sinistra. Oggi, Sala «fa il pieno» con appena i 7.012 voti di Sinistra per Sala Milano unita, mentre le quattro liste bonsai ne mettono insieme 5.770. In totale, meno della metà.
A Torino, invece, Sinistra per la città aveva appoggiato il candidato Pd al primo turno, ottenendo 7.253 voti, mentre il candidato della sinistra, appoggiato da tre liste, ne aveva presi 13.346 e le altre due liste bonsai ne avevano messi insieme 3.807. Oggi, nonostante la debacle 5 Stelle, e la perdita di voti del centro-sinistra, Sinistra ecologista arriva a 10.807 voti, mentre le altre (sei) liste bonsai arrivano, separate, a 9.372. Anche qui, una perdita secca.
In sostanza, nonostante in queste cinque città il Pd e il centro-sinistra si affermino in termini percentuali, pur perdendo voti, e nonostante i 5 Stelle vadano ovunque liquefacendosi, la sinistra arranca, per quota e numero dei voti.
Se l’astensionismo è aumentato sarà pure perché la destra non aveva candidati «credibili» e sarà anche perché la confluenza dei 5 Stelle nell’alveo del centro-sinistra non ha più corrisposto all’originale motivazione di quel consenso, ma il fatto è che né il Pd, né tantomeno la sinistra governista e d’opposizione paiono intercettare uno solo dei voti non espressi dai milioni di elettori «delusi».
Non è solo il frazionismo del «piccolo mondo antico», lamentato da Norma Rangeri, a penalizzare la sinistra.
È, evidentemente, il suo stesso messaggio, quale che sia, a non trovare più ascolto. Certo, ci sono stati casi interessanti, come quello di Trieste o Savona, ma anche quello di Bologna – portato sugli scudi – appare mistificante. I ceti che avevano abbandonato le sinistre in favore dei 5 Stelle – quei precari e giovani adulti delle periferie urbane – si sono definitivamente astenuti, non attratti né dal «campo largo» del centro-sinistra – invero allargato, ma al centro – né da quello ormai incolto della sinistra «antagonista» (sulla carta).
Così, la sinistra svanisce, stretta tra la sua adesione al rigorismo salubrista, padronale e classista di Draghi e i richiami alla «equità» e alla «conversione» ecologica, mentre il Paese che soffre, cui pure vorrebbe rivolgersi, si allontana, sfiancato da una pandemia che ha acuito le disuguaglianze, diviso tra chi è «protetto» e chi non ha più fiducia in nulla, escluso. Un’Italia spaesata, impoverita, dimenticata dalla politica sdegnante e che emerge solo nell’esasperazione, sopravvive accanto a quell’altra, solidaristica e «attiva» ma ormai totalmente disillusa da una sinistra che da una più di una generazione ha dissipato i suoi profeti e perso ogni progetto di una società diversa.
*( Pier Giorgio Ardeni, Dal 2006 organizza e dirige la summer school on monitorning and evaluation of international development programmes presso l’Università di Bologna.)
05 – Alfiero Grandi.*: RIFLESSIONI SULL’ITALIA CHE HA BISOGNO DEMOCRATICO DEL SINDACATO E SUL PERICOLO NEOFASCISTA LA MANIFESTAZIONE PROMOSSA DA CGIL, CISL, UIL IN PIAZZA SAN GIOVANNI CONTRO LO SQUADRISMO FASCISTA, IN SEGNO DI SOLIDARIETÀ CONTRO L’ATTACCO ALLA SEDE NAZIONALE DELLA CGIL, È STATA UN SUCCESSO DI PARTECIPAZIONE.
Questa manifestazione è un importante segnale di ripresa della partecipazione democratica dopo la lunga pausa dovuta al Covid, ma non solo al Covid. Molta partecipazione, tanta combattività, con un’attenzione significativa del mondo politico, associativo, culturale che riconosce al sindacato un ruolo fondamentale nei momenti difficili del nostro paese. Un attacco squadrista fascista alla Cgil, al sindacato è un segnale da non sottovalutare e non è stato sottovalutato, non solo dal sindacato.
La prima considerazione riguarda il fatto che da anni si sono chiaramente manifestati segni di rivalutazione del fascismo sempre più espliciti, a cui sono seguite manifestazioni politiche aggressive, razziste, squadriste, verso le quali c’è stata una colpevole e a volte interessata sottovalutazione. Questa rivalutazione del fascismo, e in qualche caso perfino del nazismo, da parte di settori della società italiana, per quanto delimitati, è stata guardata per troppo tempo come un folklore fuori tempo.
In realtà i segnali preoccupanti erano evidenti e purtroppo la destra italiana non ha avuto lo stesso percorso di quella francese che ha segnato da tempo una precisa distinzione verso manifestazioni di neofascismo. Il gaullismo, ad esempio, ha connotati di destra ma è antifascista. Invece la crescita di questa rivalutazione del peggiore passato del nostro paese, che ci ha affondato in una guerra sanguinosa, è avvenuta senza che la destra politica attuale sentisse il bisogno di una chiara distinzione, indicando un confine da non oltrepassare. Anche l’arco delle forze antifasciste ha sottovalutato troppo spesso il pericolo di questo recupero del peggiore passato, lasciando fin troppo sola l’Anpi a denunciare e a proporre iniziative che segnassero con chiarezza il confine con quello che non poteva e non doveva più tornare.
Il tentativo di beneficiare di un serbatoio di voti neofascisti da parte della destra, che ha fin troppo flirtato con queste aree elettorali, e qualche sottovalutazione di troppo dal fronte opposto hanno consentito al lavorio dei soggetti che si richiamano esplicitamente al fascismo di essere protagonisti di episodi, nel tempo, che avrebbero dovuto essere stroncati senza indulgenze.
LA STESSA SVOLTA DI FIUGGI VOLUTA DA FINI È STATA DIMENTICATA. NON A CASO FINI IN QUESTI GIORNI COERENTEMENTE SI È DICHIARATO PER LO SCIOGLIMENTO DI FORZA NUOVA.
Questi episodi avrebbero dovuto spingere a indagare e a cercare di comprendere il complesso di motivi che porta a sguarnire una netta condanna corale del fascismo. Ad esempio che esiste una grave lacuna nell’insegnamento e in generale nell’attività scolastica, lasciando una mancanza di formazione all’antifascismo, che finisce con il diventare terreno di coltura in cui si inseriscono senza immediati contrasti narrazioni apertamente neofasciste. Per questo è stata una scelta giusta organizzare la memoria del rastrellamento del ghetto di Roma attuato dai nazisti con la complicità dei fascisti italiani. Come in precedenza sono state importanti le tante iniziative per affermare una memoria consapevole del passato, che non deve essere più dimenticato. Il mondo dei giovani e in particolare della scuola è il più delicato e purtroppo è rimasto per troppo tempo troppo sguarnito, l’insegnamento della storia fatica ad arrivare alla Resistenza e perfino l’insegnamento dell’educazione civica, e quindi della Costituzione, ha avuto traversie per affermarsi, quasi fosse un optional e non un fondamento della stessa democrazia.
La proposta dell’Anpi di creare una alleanza attiva contro i neofascismi, individuando un piano di iniziative con questo obiettivo, è giusta e va appoggiata. Il 29 ottobre ci sarà un incontro convocato dall’Anpi, che dobbiamo appoggiare in modo corale, e che dovrà puntare ad una discontinuità positiva nella lotta ai risorgenti neofascismi. Per questo è importante che al governo arrivi un messaggio chiaro e forte per spingerlo ad applicare le leggi con coraggio, sciogliendo senza tentennamenti le organizzazioni neofasciste come è previsto, in coerenza con la Costituzione. Anche la destra che partecipa al governo avrebbe interesse a non ostacolare questa decisione, in ogni caso il governo deve avere la forza di decidere comunque lo scioglimento. Al governo deve essere chiesto un impegno che non deve limitarsi allo scioglimento delle organizzazioni neofasciste ma deve impegnarsi per una più generale iniziativa per fare conoscere il dramma che il fascismo ha rappresentato per l’Italia e per reagire sul piano culturale, della conoscenza, della reazione ai suoi rigurgiti.
Il sindacato si è indebolito per una crisi economica e soprattutto occupazionale, per l’esplosione di una precarietà diffusa e incontrollata che dura da anni, che ha finito con il corrodere il potere contrattuale delle aree dei lavoratori più forti. La conseguenza di questa corrosione del potere contrattuale avvenuta nel tempo ha diverse conseguenze di cui l’aumento delle morti e degli incidenti sul lavoro è uno degli esempi più tragici. Il mondo del lavoro ha perso potere contrattuale, si è frantumato, e ora fatica a trovare i momenti di unificazione, in certe aree il lavoro è diventato ricattabile, soggetto a schiavismo. Tuttavia, il sindacato, malgrado questo indebolimento, resta l’aggregazione rappresentativa di una parte decisiva della società italiana, senza la quale verrebbero a mancare al nostro paese energie fondamentali per uscire dalla crisi. È un problema economico, sociale e di sostanza della democrazia.
Chi ha lavorato per indebolire il sindacato dovrebbe oggi farsi l’autocritica, ha agito da apprendista stregone, ha guardato al suo interesse immediato, dimenticando che nella storia del sindacato italiano c’è insieme la rappresentanza del mondo del lavoro, quindi una distinzione di interessi, e la capacità di proporre obiettivi tendenti all’unificazione del mondo del lavoro e di progresso per tutto il paese, fino al suo ruolo decisivo nei momenti difficili della democrazia italiana. Oggi è uno di questi momenti.
Tutti dovrebbero aiutare il sindacato a riuscire a superare evidenti difficoltà nell’ottenere i risultati necessari per i lavoratori e per chi vorrebbe lavorare. Abbiamo bisogno che riesca a svolgere di nuovo questo ruolo di pilastro della partecipazione e della democrazia in Italia. Questo nell’interesse del paese, oltre che di chi lavora. Per realizzare questo risultato occorre recuperare la frantumazione del mondo del lavoro, ridefinire le linee di solidarietà e di generalizzazione delle condizioni del lavoro.
Al contrario, l’attacco squadrista alla Cgil punta ad indebolire la rappresentanza del sindacato, il suo ruolo. È giusto ricordare che non a caso 100 anni fa furono le sedi sindacali il principale obiettivo dell’attacco fascista per rompere il tessuto connettivo del mondo del lavoro dell’epoca. Giustamente individuato come un ostacolo sul cammino della conquista del potere da parte del fascismo. L’ondata neoliberista ha tentato in ogni modo di ridimensionare il ruolo del sindacato. Basta ricordare che nelle sue espressioni più radicali non riconosceva una condizione sociale, tantomeno di classe, ma si rivolgeva solo ad individui, monadi individuali nel mare magnum della società.
Oggi la situazione è diversa, di mezzo c’è stata la seconda guerra mondiale, la Resistenza, la ricostruzione dell’Italia resa possibile dal patto costituzionale che ha a suo fondamento il no al fascismo vecchio e nuovo. È difficile immaginare che sia possibile che il fascismo si ripresenti oggi, rialzando la testa. Tuttavia non bisogna smobilitare, distrarsi perché se il neofascismo dovesse riuscire a diventare un elemento di pericolo reale inevitabilmente provocherebbe uno spostamento a destra, politico e sociale e porterebbe l’attenzione lontana dai problemi di fondo, come clima, occupazione, sviluppo compatibile con l’ambiente, educazione e formazione permanente ai migliori livelli possibili. Quindi questo è il momento della risposta per bloccare una possibile deriva neofascista, a partire dallo scioglimento delle organizzazioni neofasciste, responsabili dell’attacco squadrista alla Cgil, per consentire all’Italia di affrontare positivamente sfide già difficili senza bisogno di arretrare a causa di un inquinamento neofascista del clima politico e sociale.
*( Alfiero Grandi è un politico e sindacalista italiano.)
06 – Giorgio Vincenzi*: PIERO BEVILACQUA, DIECI STORIE DI LOTTA E DI ANARCHIA INTERVISTA. Consegnare alle generazioni che verranno una memoria delle vicende calabresi che hanno come protagonisti persone umili e per questo private della possibilità di raccontare la loro verità: è la ragione per cui lo storico e presidente dell’Istituto meridionale di storia e scienze sociali ha coordinato una ricerca i cui frutti sono ora raccolti nel libro «Storie di lotta e di anarchia», da Donzelli
È in libreria Storie di lotta e di anarchia in Calabria (Donzelli, euro 20) curato da Piero Bevilacqua, presidente dell’Istituto meridionale di storia e scienze sociali, e frutto della collaborazione di un gruppo di studiosi con lo scopo di far luce su alcuni fatti tragici successi in quella regione dal 1903 al 1972 in modo da consegnare alle generazioni che verranno una memoria delle vicende che hanno come protagonisti persone umili e per questo private della possibilità di raccontare la loro verità.
Bevilacqua, nel libro si raccontano dieci storie in gran parte ignote al grande pubblico. Perché questa scelta?
Alcune, poche per la verità, sono rimaste nella memoria collettiva degli italiani anche per molto tempo, come ad esempio l’eccidio di contadini a Melissa nel 1949. Ma anche su questo episodio le nuove generazioni non sanno nulla. Sono ignote al grande pubblico perché in alcuni casi sono rimaste confinate nella cronaca regionale, ma anche perché sono rimaste fatti isolati, incidenti, che non hanno mai composto una narrazione unitaria, un filo rosso che ha contraddistinto una lunga pagina di storia meridionale.
Si legge di lotte per la terra nel secondo dopoguerra, quando il grande scontento bracciantile del Mezzogiorno d’Italia s’incontra col movimento sindacale e social comunista. Cosa ne esce?
In Calabria, precisamente nel Crotonese, esisteva la più grande concentrazione latifondistica d’Italia. Lì si sono svolte alcune delle lotte più epiche di tutto il dopoguerra, dapprima spontanee, poi organizzate dal sindacato unitario e soprattutto dal Partito Comunista Italiano. Il risultato è la riforma agraria del 1950 e soprattutto un processo di democratizzazione di parte della società calabrese, la formazione di un gruppo dirigente del PCI di primissimo ordine. Uno di loro, per esempio, Gennaro Miceli fu vice di Pietro Ingrao quando questi era presidente della Camera.
La vicenda drammatica della brigata Catanzaro cosa sta a ricordare?
Il comportamento ottuso e criminale durante la Grande Guerra del generale Cadorna, ideatore delle decimazioni: la scelta casuale di dieci soldati da fucilare tra quelli considerati disertori. I due casi della Brigata Catanzaro narrati sono particolarmente odiosi perché si trattava di soldati già premiati per la loro condotta in precedenti battaglie, alcuni con medaglia d’oro. Secondo gli ordini di Cadorna venivano dichiarati disertori anche i soldati che, di fronte al rischio della vita, perché in una situazione di sovrastante inferiorità di fronte al nemico, cercavano di salvarsi. Per non essere dichiarati disertori dovevano morire con le armi in pugno.
Uno sguardo particolare va riservato alla storia di Giuseppe Zangara che attentò alla vita del Presidente del New Deal americano Franklin Delano Roosevelt…
Una strana figura di anarchico che voleva farsi giustizia da solo uccidendo, secondo una rozza esemplificazione, quello che lui considerava il capo del capitalismo mondiale, per l’appunto il presidente degli Stati Uniti. Bisogna tenere presente il clima di allora, il razzismo americano furoreggiava anche contro gli europei immigrati, specie se di pelle scura, come siciliani e calabresi.
C’è spazio anche per una vicenda oscura e tragica, che ha trovato poche testimonianze e mai una verità, come la morte di cinque giovani anarchici, tra i 18 e i 22 anni, avvenuta nel settembre del 1970…
Una delle tante vicende sanguinose del secondo ’900 in cui molto probabilmente ebbero un ruolo i servizi segreti deviati, ma su cui non si è ancora fatta luce. Come per i moti di Reggio la destra eversiva lavorava per rovesciare gli equilibri politici creati dalle lotte studentesche e operaie.
Una storia di donne calabresi?
Tra le vicende narrate c’è la figura di Giuditta Levato, una giovane contadina, scesa in lotta insieme ai suoi compagni, uccisa con una fucilata al ventre senza alcun motivo, come un tempo usavano con facilità polizia e carabinieri.
Il libro si chiude con la cantautrice e cantastorie Francesca Prestìa che ha messo in versi e musica quasi tutti gli avvenimenti trattati nel libro. Com’è venuta questa idea?
L’idea del libro è proprio di Francesca, una voce ormai nota anche fuori Calabria. Lei ha anche scritto quasi tutti i testi e le musiche per i diversi episodi, tranne che per gli attentati ai treni del sindacato. Per quell’episodio canta l’impareggiabile ballata di Giovanna Marini.
La Calabria di oggi come sta nella storia del nostro Paese?
I miti neoliberistici e la frantumazione del ceto politico, incapace di contrastare una potente criminalità, mantengono la Calabria in uno stato di disorientamento e marginalità, nonostante le energie.
*( Giorgio Vincenzi, Veronese, giornalista professionista. Fino al 2015 sono stato direttore responsabile di “Vita in Campagna” (mensile a tiratura nazionale)
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