20141220 02:46:00 guglielmoz
ITALIA – Jobs act, Poletti contestato a Pisa. / Boldrini: l’Italia riconosca la Palestina. /
EUROPA – SPAGNA. La sinistra può vincere, la ricetta di Podemos – Il leader di Podemos Pablo Iglesias sulla politica radicale e sulla strada da percorrere per costruire movimenti di massa. / EU-RUSSIA
I rischi del crollo del rublo. / SPAGNA. MADRID SFIDA GOOGLE. Google News Spagna ha inter-rotto le attività il 16 dicembre: le pubblicazioni degli editori spagnoli non compaiono più sulla pagina delle notizie del motore di ricerca. /
AFRICA & MEDIO ORIENTE – EU/PALESTINA. Il voto pro-Palestina del Parlamento europeo. Spinelli, Maltese, Forenza: "Atto coraggioso" . / Turchia, giro di vite contro alcuni settori dell’opposizione e mass media/
ASIA & PACIFICO – GIAPPONE. Partito Comunista del Giappone raddoppia seggi/
AMERICA CENTROMERIDIONALE – CUBA/USA. "Le nuove relazioni con gli Usa? Una vittoria del popolo cubano". Intervista a Luciano Vasapollo
AMERICA SETTENTRIONALE – "I can’t breathe". Diecimila a Washington e quarantamila a NY per protestare contro le violenze della polizia.
ITALIA
JOBS ACT, POLETTI CONTESTATO A PISA
Dura contestazione ieri sera in provincia di Pisa contro il ministro del Lavoro Giuliano Poletti intervenuto al polo tecnologico di Navacchio per un dibattito sul Jobs Act. In centocinquanta, tra cui Cobas, Rsu della Piaggio, alcuni settori della Cgil, Carc, precari della provincia e molti altri, hanno esposto striscioni contro la riforma del lavoro approvata dal governo. Qualcuno ha esploso un fumogeno, altri hanno urlato slogan contro la polizia e contro i presenti che volevano entrare all’interno dell’auditorium del polo tecnologico. Una delegazione di lavoratrici ori della provincia (occupata contro gli esuberi pari al 50% della dotazione organica se non verrà ritirato un emendamento ammazza lavoratori presente nella Legge di stabilità) è stata ricevuta non senza resistenza dall’entourage del ministro a cui hanno chiesto la salvaguardia dei posti di lavoro (inclusi quelli degli appalti). Fuori, invece, sono stati lasciati tutti gli altri: Rsu Fiom Piaggio e di altre ditte della Toscana, una delegazione del movimento lavoratori livornesi, Cobas, ex Rete 28 aprile/Cgil, Collettivo universitario Exploit, Pcl e i lavoratori della Gb licenziati nell’indotto Sat (areoporto Galilei). “Una vergogna lasciare lavoratori e precarie fuori , dibattiti addomesticati e cancellazione degli ultimi residuali spazi di democrazia, questo il commento dei Cobas e della Rsu piaggio.
ROMA
Boldrini: l’Italia riconosca la Palestina
Il tema si porrà, presto o tardi. Per Laura Boldrini, presidente della Camera, deve porsi presto: una mozione per il riconoscimento dello Stato palestinese, ha detto ieri durante gli auguri alla stampa parlamentare, «è un passaggio importante da fare quanto prima. Lo faremo non appena possibile anche perché altri parlamenti, a partire da quello europeo, si sono già pronunciati». Per la maggioranza non è un argomento pacifico, ma certo ormai i segnali che arrivano da molti paesi europei (Gran Bretagna, Francia) e da ultimo il sì votato dall’europarlamento rendono la discussione ineludibile anche da noi. Ieri gli Usa hanno fatto sapere che non appoggeranno la richiesta palestinese all’Onu. A Strasburgo il Pd ha votato sì con il Ppe (ma Forza Italia è uscita dall’aula). «Il Pd proporrà una sua mozione sulla riapertura dei negoziati di pace fra Israele e Palestina e sul riconoscimento della Palestina», ha risposto Enzo Amendola (Pd), «in un confronto che non deve essere una petizione di principio ma il sostegno reale a una strategia italiana ed europea per riaprire i negoziati di pace in Terrasanta». Per Arturo Scotto di Sel «in Italia qualcuno fa melina. Non possiamo attendere oltre, il riconoscimento dello Stato palestinese deve diventare una priorità».
EUROPA
EU/RUSSIA
I rischi del crollo del rublo
L’economia russa va verso il collasso. Il primo sintomo è l’inarrestabile svalutazione del rublo, che la banca centrale ha cercato di frenare aumentando il tasso d’interesse al 17 per cento. Il crollo del rublo è indice di una grave sfiducia nel futuro dell’economia, e Mosca potrebbe presto affrontare un’inflazione devastante. Il problema non riguarda solo la Russia: le ragioni del crollo del rublo influiscono sulle valute dei paesi emergenti e minacciano una nuova crisi generale.
La causa principale è il petrolio. La costante diminuzione del suo prezzo mette in dubbio la capacità di alcuni paesi produttori come la Russia o il Venezuela di far fronte al loro debito e ai loro impegni commerciali. Con il greggio sotto i 60 dollari al barile e un’economia sotto assedio per le sanzioni dovute alla crisi in Ucraina, la Russia entrerà in una spirale che gli investitori considerano insostenibile. La diminuzione del prezzo del petrolio sta avendo le conseguenze previste: non ha colpito i paesi che dominano il mercato, come l’Arabia Saudita, né gli Stati Uniti, a cui basterà ridurre il fracking, ma ha effetti devastanti sulle economie emergenti che dipendono dal greggio. La decisione dell’Opec (dominata dai sauditi) di non tagliare la produzione sembra calcolata per danneggiare concorrenti come la Russia, l’Iran o il Venezuela. E il danno è enorme.
Il petrolio non è l’unico fattore di crisi. Bisogna anche considerare il probabile cambiamento della politica monetaria statunitense. Quando Washington aumenterà i tassi d’interesse, gli in-vestimenti nelle valute emergenti cominceranno a calare. Non ci sono terapie per eliminare il ri¬schio di una crisi locale. L’aumento dei tassi d’interesse in Russia è una mossa disperata. Finché il mercato non correggerà al rialzo il prezzo del greggio e finché l’impatto della nuova politica monetaria statunitense non sarà assorbito, la minaccia di una crisi finanziaria sarà reale. El Pais, Spagna
SPAGNA
LA SINISTRA PUÒ VINCERE, LA RICETTA DI PODEMOS – IL LEADER DI PODEMOS PABLO IGLESIAS SULLA POLITICA RADICALE E SULLA STRADA DA PERCORRERE PER COSTRUIRE MOVIMENTI DI MASSA.
L’ultimo partito spagnolo in quanto a data di nascita è anche il primo in quanto a popolarità. Podemos affonda le sue radici nel movimento degli indignados del 2011 (anche chiamato Movimento 15-M), ma è emerso in gennaio con una petizione lanciata da una manciata di intellettuali. Alle elezioni per il Parlamento Europeo di maggio, solo pochi mesi dopo la sua formazione, ha raccolto l’8% dei voti. Oggi è il secondo partito più grande di Spagna per numero di tesserati e il primo nei sondaggi elettorali. Persino il Financial Times è stato costretto ad ammettere che “il nuovo partito appare destinato a mandare in frantumi il tradizionale sistema bipartitico spagnolo”.
Ad un’assemblea tenutasi all’inizio di quest’anno a Valladolid, in Spagna, il Segretario Generale di Podemos Pablo Iglesias ha esposto il suo pensiero su come la sinistra possa vincere. Sotto riportiamo un estratto di questo discorso. Il video (https://www.youtube.com/watch?v=6-T5ye_z5i0&feature=youtu.be) è stato caricato da Joaquin Navarro e la trascrizione qui sotto è stata fornita a Jacobin da Enrique Diaz-Alvarez.
So molto bene che la chiave per comprendere la storia degli ultimi cinque secoli è la formazione di specifiche categorie sociali, chiamate “classi”; è per questo che vorrei raccontarvi un aneddoto. Quando il movimento 15-M ebbe inizio, alla Puerta del Sol, alcuni studenti del mio dipartimento, il dipartimento di scienze politiche, studenti molto politicizzati – avevano letto Marx, avevano letto Lenin – parteciparono per la prima volta nella loro vita a iniziative politiche con persone normali.
Si disperarono. “Non capiscono niente! Proviamo a dirglielo, voi siete proletari, anche se non lo sapete!” Le persone li guardavano come se venissero da un altro pianeta. E gli studenti tornavano a casa depressi, dicendo “non capiscono niente”.
Gli avrei voluto rispondere: “Non capite che il problema siete voi? Che la politica non ha nulla a che fare con l’avere ragione, ma con il riuscire?” Voi potete fare le migliori analisi, comprendere le chiavi di lettura dello sviluppo economico a partire dal sedicesimo secolo, capire che il materialismo storico è la via da seguire per capire i processi sociali. E dopo di questo, cos’è che fate? Urlate a quelle persone “siete proletari e nemmeno ve ne rendete conto”?
Il nemico non farebbe altro che ridervi in faccia. Potete indossare una maglietta con falce e martello. Potete persino portare un enorme bandiera rossa, e tornarvene a casa con la vostra bandiera, il tutto mentre il nemico continua a ridervi in faccia. Perché le persone, i lavoratori, continuano a preferire il nemico a voi. Gli credono. Lo capiscono quando parla. Mentre non capiscono voi. E probabilmente voi avete ragione! Probabilmente potreste chiedere ai vostri figli di scrivere sulla vostra lapide: “Aveva sempre ragione – ma nessuno lo seppe mai”.
Quando si studiano i movimenti rivoluzionari di successo, si può notare con facilità che la chiave per riuscire è lo stabilire una certa convergenza tra le proprie analisi e il sentire comune della maggioranza. E questo è molto difficile. Perché implica il superamento delle contraddizioni.
Pensate che avrei qualche problema ideologico nei confronti di uno sciopero selvaggio di 48, di 72 ore? Neanche per idea! Il problema è che l’organizzare uno sciopero non ha nulla a che fare con quanto grande sia il desiderio mio e vostro di farlo. Ha a che fare con la forza dei sindacati, e sia io che voi siamo insignificanti in materia.
Voi e io possiamo desiderare che la terra sia un paradiso per l’umanità intera. Possiamo desiderare quello che vogliamo, e scriverlo su una maglietta. Ma la politica è una questione di rapporti di forza, non di desideri o di quel che ci diciamo in assemblea. In questo paese ci sono solamente due sindacati che hanno la capacità di organizzare uno sciopero generale: la CCOO e la UGT. Mi piacciono? No. Ma così è come stanno le cose, e organizzare uno sciopero generale è molto difficile.
Ho partecipato ai picchettaggi davanti ai depositi degli autobus a Madrid. Le persone che erano lì, all’alba, sapete dove dovevano andare? A lavoro. Non erano crumiri. Ma sarebbero stati cacciati dal loro posto di lavoro, perché lì non c’erano sindacati a difenderli. Perché i lavoratori che possono difendersi da soli, come quelli nei cantieri navali o nelle miniere, hanno sindacati forti. Ma i ragazzi che lavorano come venditori telefonici, o nelle pizzerie, o le ragazze che lavorano nel commercio al dettaglio, non possono difendersi.
Sarebbero segati immediatamente il giorno dopo lo sciopero. E voi non sarete lì, e io non sarò lì, e nessun sindacato sarà lì per sedersi col capo e dirgli: faresti meglio a non far fuori questa persona perché ha esercitato il diritto di sciopero, perché pagherai un prezzo per questo. Questo non succede, non importa quanto entusiasmo possiamo avere.
La politica non è ciò che io o voi vogliamo che sia. È ciò che è, ed è terribile. Terribile. Ed è per questo motivo che dobbiamo parlare di unità popolare, ed essere umili. A volte dovrete parlare con persone cui non piacerà il vostro linguaggio, con le quali i concetti che voi usate non faranno presa. Cosa possiamo capire da questo? Che stiamo venendo sconfitti da parecchi anni. Il perdere tutte le volte implica esattamente ciò: implica che il “senso comune” sia differente [da ciò che noi pensiamo sia giusto]. Ma non è nulla di nuovo. I rivoluzionari lo hanno sempre saputo. L’obiettivo è riuscire nel deviare il “senso comune” verso una direzione di cambiamento.
CÉSAR RENDULUES, un tipo molto acuto, afferma che la maggior parte delle persone sono contro il capitalismo ma non lo sanno. La maggior parte delle persone difende il femminismo anche se non ha mai letto Judith Butler o Simone de Beauvoir. Ogni volta che voi vedete un padre fare i piatti o giocare con suo figlio, o un nonno spiegare a suo nipote di condividere i suoi giocattoli, c’è più trasformazione sociale in questi piccoli episodi che in tutte le bandiere rosse che potete portare ad una manifestazione. E se falliamo nel comprendere che queste cose possono servire come fattori unificanti, loro continueranno a riderci in faccia.
Quello è il modo in cui il nemico ci vuole. Ci vuole piccoli, mentre parliamo un linguaggio che nessuno capisce, fra di noi, mentre ci nascondiamo dietro i nostri simboli tradizionali. È deliziato da tutto ciò, perché sa che finché continueremo ad essere così, non saremo mai pericolosi
Possiamo avere toni davvero radicali, dire che vogliamo organizzare uno sciopero selvaggio, parlare di popolo armato, brandire simboli, portare ritratti dei grandi rivoluzionari alle nostre manifestazioni – loro ne saranno deliziati! Ci rideranno in faccia. È quando metterete insieme centinaia, migliaia di persone, quando inizierete a convincere la maggioranza, persino quelli che votavano per il nemico – è in quel momento che inizieranno a spaventarsi. E questo è quel che è chiamata “politica”. Quello che abbiamo bisogno di capire.
C’era un compagno qui che parlava dei Soviet del 1905. C’era un tizio calvo e col pizzetto – un genio. Egli intuì l’analisi concreta della situazione concreta. In tempo di guerra, nel 1917, quando il regime russo era sull’orlo del collasso, disse una cosa molto semplice ai russi, fossero essi soldati, contadini o lavoratori. Egli disse: “PANE E PACE”.
E quando disse “pane e pace”, che era ciò che tutti volevano – che la guerra finisse e che si potesse avere abbastanza da mangiare – molti russi che non sapevano neppure se fossero di “destra”o di “sinistra”, ma sapevano di essere affamati, dissero: “Il tizio calvo ha ragione”. E il tizio calvo fece molto bene. Non parlò ai russi di “materialismo dialettico”, gli parlò di “pane e pace”. E questa è una delle lezioni più importanti del ventesimo secolo.
Cercare di trasformare la società scimmiottando la storia, scimmiottando i simboli, è ridicolo. La strada non è quella di ripetere le esperienze di altri paesi, eventi storici del passato. La strada è quella di analizzare i processi, le lezioni della storia. E comprendere in ogni momento della storia che il “pane e pace”, se non è connesso a ciò che le persone sentono e provano, è giusto una ripetizione, come farsa, di una tragica vittoria del passato. (INTERNAZIONALE | Fonte: Sandwiches di realtà, il blog di Maurizio Acerbo | Autore: Pablo Iglesias)
traduzione di Federico Vernarelli, GC Pescara
testo originale dalla rivista on line americana Jacobin: https://www.jacobinmag.com/2014/12/pablo-iglesias-podemos-left-speech/
SPAGNA
MADRID SFIDA GOOGLE
Google News Spagna ha interrotto le attività il 16 dicembre: le pubblicazioni degli editori spagnoli non compaiono più sulla pagina delle notizie del motore di ricerca. La decisione è stata presa per protestare "contro la nuova legge sulla proprietà intellettuale, che impone agli aggregatoti di notizie di pagare un compenso agli editori per i contenuti indicizzati", spiega Pùblico. La Spagna diventa così "il primo paese del mondo dove Google chiude i suoi servizi di notizie". Intanto, l’associazione degli editori, che si era battuta per l’approvazione della legge, ha espresso le sue riserve sulla scelta di Google, destinata ad "avere un impatto negativo su-gli spagnoli e sull’economia del paese".
GERMANIA
II 15 dicembre 10nila persone hanno partecipato a un corteo a Dresda (nella foto) per denunciare "l’islamizzazione dell’occidente". Croazia II 28 dicembre si svolgeranno le elezioni presidenziali. Kolinda Grabar-Kitarovic, del partito Hdz (destra), sarà la principale sfidante del presidente uscente Ivo Josipovic (centro). Grecia II 17 dicembre il parlamento non è riuscito a eleggere il nuovo presidente del paese. Il candidato governativo Stavros Dimas non ha ottenuto la maggioranza dei due terzi. Il secondo turno si terrà il 23 dicembre.
BELGIO
CONTRO L’AUSTERITA’.
"Sciopero generale, blocco totale", titola Le Soir il 15 dicembre in occasione dell’agitazione che ha paralizzato il paese per ventiquattr’ore, la seconda da quando si è insediato il governo liberalconservatore di Charles Michel, a inizio ottobre. "Aeroporti chiusi, treni, tram e autobus fermi, le porte di scuole e asili nido sbarrate, ospedali che fanno il minimo indispensabile. Numerose imprese bloccate perché i dipendenti non sono potuti andare al lavoro o perché dei picchetti ne bloccano l’ingresso": così il quotidiano di Bruxelles racconta lo sciopero. L’obiettivo della protesta dei sindacati è il piano di austerità da 11 miliardi di euro proposto del governo di Michel, che prevede tagli ai servizi pubblici, alla cultura e ai trasporti, l’innalzamento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni e la fine dell’adeguamento automatico degli stipendi all’inflazione, quella che un tempo in Italia si chiamava scala mobile. Secondo Le Soir, in una situazione così complessa Michel "ha un’occasione unica per acquisire la statura di leader al di sopra delle parti. Per questo deve porre fine allo scambio di invettive" tra i suoi ministri e le parti sociali "e proporre un compromesso".
UCRAINA
In cerca di un accordo
Il cessate il fuoco nell’est dell’Ucraina sembra tenere non solo sulla carta, ma anche sul campo. Per la prima volta dalla firma della tregua di Minsk a inizio settembre, per cinque giorni di fila non ci sono stati morti. Gli sforzi per trovare una soluzione proseguono anche a livello diplomatico, ma per il momento non sembrano esserci sbocchi concreti. Come scrive Kommersant, il 14 dicembre il segretario di stato americano John Kerry e il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov si sono incontrati a Roma (nella foto) "per discutere degli ostacoli che hanno impedito al gruppo di contatto per il Donbass di riprendere le trattative. Alla vigilia della ri-unione, tuttavia, il senato ame-ricano ha approvato una legge che autorizza la fornitura di aiuti militari ed economici a Kiev". Ad aumentare le tensioni, scrive il sito ucraino Insider, nei giorni successivi è arrivata una dichiarazione di Lavrov secondo cui "Mosca potrebbe dislocare in Crimea testate nucleari". –
MEDIO ORIENTE & AFRICA
EU/PALESTINA
IL VOTO PRO-PALESTINA DEL PARLAMENTO EUROPEO. SPINELLI, MALTESE, FORENZA: "ATTO CORAGGIOSO".
Il Parlamento di Strasburgo ha approvato ad ampia maggioranza una risoluzione sottoscritta da quasi tutti i gruppi che sostiene "in linea di principio" il riconoscimento dello Stato della Palestina sulla base dei confini del 1967, appoggia la soluzione a due Stati con Gerusalemme capitale e esorta la ripresa dei colloqui di pace. La risoluzione è stata approvata con 498 sì, 88 no e 111 astensioni. Un grande applauso di una larga parte dell’Aula di Strasburgo ha accolto oò voto, secondo molti osservatori storico, a sostegno dello stato della Palestina. In particolare, la risoluzione è stata il frutto della convergenza dei testi presentanti da cinque gruppi, quello del Ppe, del S&D, della sinistra Unita (Gue), dei liberali e dei Verdi, appoggiata anche da alcuni esponenti ‘grillini’ come Massimo Castaldo e Ignazio Corrao.
Sul voto di Strasburgo hanno rilasciato una lunga Eleonora Forenza, Maltese e Spinelli, che parla di “un atto politico coraggioso e di grande importanza”. “L’Unione in quanto tale – aggiunge Ferrero – non parla ancora con un’unica voce in politica estera, e riconoscere gli Stati è legalmente prerogativa degli Stati”.
Di positivo, secondo Ferrero, c’è che l’Assemblea dell’Unione “ha forzato abitudini, tempi, pavidità, contro il parere delle destre più gelose delle sovranità assolute degli Stati, e con il suo voto ha affermato di voler esserci e di voler dire la sua parola inequivocabile, su una questione del Medio Oriente che, irrisolta, ha generato lungo i decenni un gran numero di guerre e di morti”. “In quest’ambito – proseguono – il Parlamento non ha esitato a lanciare un messaggio di disapprovazione nei confronti del governo israeliano, che si è adoperato in tutti i modi per evitare che l’Europa uscisse allo scoperto con questa dichiarazione, e si conquistasse un diritto di presenza e di parola politica in materia, seguendo la linea degli Stati dell’Unione che già hanno riconosciuto lo Stato Palestinese. L’Alto Rappresentante Federica Mogherini vedrà fortemente accresciuto il proprio peso e la propria influenza, se vorrà esercitarli, dopo la decisione dei parlamentari riuniti a Strasburgo”.
“Alcuni gruppi politici hanno tentato di dire che la risoluzione approva e legittima lo Stato palestinese a condizione che i negoziati di pace riprendano seriamente e abbiano successo – osservano ancora i tre parlamentari europei -. È un’interpretazione del tutto fallace della mozione approvata. Il riconoscimento «va di pari passo» con i negoziati di pace – questo dice letteralmente il testo – e la condizionalità fortunatamente non c’è” (INTERNAZIONALE | Autore: fabrizio salvatori)
SIRIA
II Fronte al nusra (jihadista) ha conquistato il 15 dicembre due basi militari nella provincia di Idlib, nel nordovest del paese. Circa 200 persone sono morte nei combattimenti.
TURCHIA
GIRO DI VITE CONTRO ALCUNI SETTORI DELL’OPPOSIZIONE E MASS MEDIA
Giro di vite in Turchia contro alcuni settori dell’opposizione e intervento repressivo contro la stampa. Erdogan attacca frontalmente Fehtullah Gulen, 72 anni, scrittore e filosofo, ex imam e predicatore, da anni in esilio volontario in Pennsylvania sguinzagliando la polizia turca per una lunga serie di arresti nell’ambito di un’operazione contro esponenti politici e giornalisti legati a Gulen. Il blitz, compiuto in 13 citta’ turche ha condotto in carcere almeno 24 persone, compresi i dirigenti di un canale televisivo vicino a Gulen. E in manette e’ finito anche Ekrem Dumanli, direttore del quotidiano Zaman. In totale sarebbero stati spiccati 32 mandati di cattura. Il blitz rappresenta una escalation nella guerra tra Erdogan e Gulen, accusato dal primo di aver ordito da tempo una trama golpista utilizzando la propria influenza su magistrati, poliziotti e giornalisti che diede vita a una maxi inchiesta giudiziaria sul cerchio magico del presidente e scaturi’ in una serie di arresti il 17 dicembre di un anno fa. In carcere e’ finito, tra gli altri, Tufan Urguder, ex capo dell’antiterrorismo di Istanbul.Una serie di operazioni di polizia in tutta la Turchia ha preso di mira oggi giornalisti e personalità critiche del governo. Alcuni manifestanti si erano radunati davanti alla redazione del giornale per protestare contro l’operazione di polizia. Dumanli e’ stato infatti trasferito in caserma sotto gli occhi di tantissimi sostenitori. "Noi non abbiamo paura", ha avuto modo di dire Dumanli di fronte alle telecamere. "Hanno paura -ha aggiunto- coloro hanno commesso un crimine". Per tutti l’accusa, ha spiegato il procuratore capo della citta’ del Bosforo, Hadi Salihoglu, e’ di "aver messo in piedi un gruppo terrorista" e di aver propalato falsita’ e calunnie.
Da tempo Erdogan denuncia l’esistenza di una "struttura parallela" di Gulen all’interno dello Stato sebbene il predicatore abbia sempre negato di voler rovesciare il governo, e secondo Fuat Avni, anonimo profilo Twitter che aveva anticipato di qualche giorno la notizia dell’operazione, in cima alla lista dei mandati di cattura c’e’ proprio Fethullah Gulen. L’opposizione parlamentare e’ in tensioni: "E’ un golpe del governo", ha detto il capo del kemalista Chp Kemal Kilicdaroglu. "E’ un golpe -ha sottolineato- contro la nostra democrazia".
Per l’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione, Federica Mogherini, gli arresti dei giornalisti e dei rappresentanti dei media "vanno contro i valori europei e gli standard a cui la Turchia aspira di fare parte".Il Dipartimento di Stato americano ha ricordato che "la liberta’ di stampa, processi giusti e un sistema giudiziario indipendente sono elementi chiave in ogni democrazia". "Come alleati e amici della Turchia", ha dichiarato un portavoce di Foggy Bottom, "chiediamo alle autorita’ turche di assicurare che le loro azioni non violino questi valori chiave e le fondamenta democratiche del Paese".
Va ricordato che la Turchia proprio nel 2015 potrebbe fare uns significativo passo in avanti nel suo percorso di adesione all’Unione europea. Proprio la scorsa settimana è stato ad Ankara il premier Renzi. E alcuni giorni prima era stato preceduto da Federica Mogherini, l’Alto rappresentante per l’Ue per la politica estera. Il 13 gennaio, quando il governo italiano pronuncerà il suo discorso conclusivo del semestre europeo si concluderà il semestre di presidenza italiana, "sottolineerà l’importanza dell’allargamento in particolare alla Turchia e ad alcuni paesi dei Balcani". (INTERNAZIONALE | Autore: fabrizio salvatori)
MAROCCO
WIKILEAKS A RABAT
Da alcuni mesi l’account Twitter @chris_coleman24 pubblica link a documenti riservati della diplomazia marocchina e del makhzen, la corte di re Mohammed VI. Tuttavia la particolarità del "Wikileaks marocchino" è che non ne parla nessuno, scrive Tel Quel: nessun commento del governo o dei partiti d’opposizione, nemmeno per negare l’autenticità dei documenti. Il giornalista indipendente Ali Lmrabet è l’unico a ringraziare l’utente misterioso: "I documenti svelano i tentativi di corrompere giornalisti ed esperti marocchini e stranieri perché trattino la questione del Sahara occidentale come vogliono le autorità".
TUNISIA
ASPETTANDO IL PRESIDENTE
Il 21 dicembre si svolgerà il ballottaggio delle presidenziali. Il risultato è incerto: tra i due candidati usciti dal primo turno la differenza è di soli sei punti percentuali. In testa c’è Béji Cai’d Essebsi, del partito laico Nidaa Tounes, vincitore delle legislative. Lo sfidante è il presidente uscente Moncef Marzouki (nella foto, alcuni sostenitori), considerato un alleato del partito islamista Ennahda. Secondo Jeune Afrique, se vincesse Marzouki, "la coabitazione con il governo laico sarebbe difficile".
KENYA
II 16 dicembre il governo ha sciolto 510 ong e associazioni: 15 sono state accusate di finanziare il terrorismo, le altre di irregolarità amministrative. Mauritius La coalizione di opposizione guidata da Anerood Jugnauth (centrodestra) ha vin-to le elezioni legislative del 10 dicembre. La sconfitta del go-verno compromette un progetto di riforma costituzionale che prevedeva il rafforzamento dei poteri del presidente.
RDC
L’11 dicembre 129 persone sono morte nel naufragio di un’imbarcazione sul lago Tanganika.
SUDAN
II 13 dicembre la procuratrice della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ha annunciato la sospensione dell’inchiesta sui crimini di guerra commessi nel Darfur.
YEMEN
II 17 dicembre 26 persone, tra cui 15 bambini, sono morte in un attentato antisciita rivendicato da Al Qaeda a Rada.
ASIA & PACIFICO
AUSTRALIA
II sequestro di decine di persone in un caffè di Sydney si è concluso nella notte tra il 15 e il 16 dicembre con la morte dell’autore dell’attacco e di due ostaggi in un’operazione della polizia. L’attentatore, Man Haron Monis, 50 anni, era un militante islamico radicale di origine iraniana. Il primo ministro Tony Abbott ha annunciato l’apertura di un’inchiesta.
GIAPPONE
PARTITO COMUNISTA DEL GIAPPONE RADDOPPIA SEGGI
Il Partito comunista giapponese come minimo raddoppierà i suoi seggi in parlamento, secondo un exit poll NHK, grazie alla sua piattaforma pacifista e anti-nucleare ha fornito l’opposizione più chiara alla politica del primo ministro Shinzo Abe. Il JCP si prevede che conquisti tra i 18 e i 24 seggi, contro gli 8 prima delle elezioni, anche se la coalizione di governo può mantenere la sua maggioranza di due terzi nella camera bassa.
I comunisti hanno chiesto di rottamare un aumento delle imposte sui consumi previsto per il 2017 e che il Giappone rimanga fuori dalla Trans-Pacific Partnership, un accordo commerciale regionale favorito da Abe. Il leader del Partito Kazuo Shii si è opposto al riavvio delle centrali nucleari chiuse dopo il disastro di Fukushima nel 2011, così come alla rivisitazione della costituzione pacifista imposta dagli Stati Uniti per permettere al Giappone di difendere altri paesi.
“E’ l’unico partito di opposizione che agisce veramente come tale”, ha detto Tomoaki Iwai, un professore di politica presso Nihon University di Tokyo. “Sarà la scelta degli elettori scontenti.”
Fondato nel 1922, il Partito Comunista del Giappone è stato inizialmente un’organizzazione illegale i cui dirigenti furono perseguitati per l’opposizione all’aggressione del Giappone in Asia. Rifondato su una base giuridica legale dopo la guerra, la sua rappresentanza parlamentare ha raggiunto un picco nel 1979 con 39 seggi quando si oppose all’introduzione di una flat tax sulle vendite.
“Ho voluto fermare il LDP”, ha detto Kazuko Takahashi, una pensionata di 84 anni che vive in Tokyo, che ha detto che ha votato per i comunisti perché era preoccupata per i cambiamenti alla Costituzione pacifista. “Non voglio un’altra guerra. La mia generazine ricorda ancora la guerra e non posso lasciare che le cose tornino così com’erano”
il partito ha spinto per un aumento delle tasse sul reddito piuttosto che di quelle sui consumi per aiutare a tenere sotto controllo il debito pubblico più grande del mondo. Cerca inoltre di fermare la costruzione di una nuova base militare statunitense sull’isola di Okinawa.
fonte: Bloomberg (INTERNAZIONALE | Fonte: sito PRC | Autore: Isabel Reynolds e Maiko Takahashi)
GIAPPONE
IL VERO OBIETTIVO DI ABE.
Alle elezioni anticipate del 14 dicembre il Partito liberaldemocratico del primo ministro Shinzò Abe ha vinto ottenendo, insieme al suo partner di coalizione, il New Komeitò, 326 seggi su 475 alla camera bassa. Il risultato è stato di poco inferiore alle aspettative (i sondaggi assegnavano alla coalizione 300 seggi), mentre l’affluenza alle urne ha toccato il minimo storico del dopoguerra superando di poco il 52 per cento. Il Partito democratico, che guida l’opposizione, è passato da 57 a 73 seggi. La coalizione di maggioranza mantiene così un’ampia libertà d’azione in parlamento. A novembre Abe ha indetto le elezioni con due anni di anticipo chiedendo ai cittadini di valutare l’Abenomics, la strategia per risollevare l’economia avviata dal governo un anno e mezzo fa. La decisione è arrivata poco dopo la notizia che il Giappone è tornato tecnicamente in recessione, anche a causa dell’aumento dell’imposta sui consumi dal 3 al 5 per cento decisa lo scorso aprile. Contemporaneamente il premier ha posticipato all’aprile del 2017 il secondo aumento dell’iva, previsto inizialmente per l’ottobre del 2015. L’economia, quindi, sembrava essere il tema centrale su cui i cittadini erano chiamati a esprimersi. A urne chiuse, però, "Abe ha svelato il suo vero obiettivo e ha parlato di revisione della costituzione pacifista", scrive sull’Asahi Shimbun Satoshi Kamata, giornalista famoso per aver denunciato negli anni settanta le condizioni di lavoro nelle fabbriche della Toyota. "Inoltre, anche se il 60 per cento dei giapponesi è contrario alla riattivazione dei reattori nucleari, il governo sembra non preoccuparsene. La vittoria ha generato la sensazione che chi vince ha carta bianca e questo indubbiamente si tradurrà in un atteggiamento autoritario da parte della maggioranza", conclude Kamata
HONG KONG
SGOMBERO FINALE
Il 15 dicembre gli ultimi accampamenti del movimento Occupy centrai sono stati sgomberati dalla polizia di Hong Kong. La rimozione dei presidi a Causeway Bay segna la fine del movimento per il suffragio universale. Le proteste contro l’imposizione di candidati alla carica di governatore approvati da Pechino, alle quali si sono mescolate rivendicazioni sociali ed economiche, sono durate più di due mesi. "Gli ottanta giorni del movimento degli ombrelli hanno illuminato i cittadini, dobbiamo essere orgogliosi e pronti a lavorare per il futuro", scrive Apple Daily, il quotidiano vicino al movimento. "Pechino non riuscirà a farci il lavaggio del cervello e farci digerire la riforma elettorale".
INDIA
DIECI REATTORI DA MOSCA
L’11 dicembre a New Delhi il premier indiano Narendra Modi e il presidente russo Vladimir Putin hanno firmato venti accordi sull’energia e la difesa. La Russia realizzerà in India dieci reattori nucleari, venderà a New Delhi elicotteri e altri mezzi militari e, attraverso la compagnia petrolifera Rosneft, fornirà 200mila barili di greggio all’an-no. I due paesi, inoltre, investi-ranno un miliardo di dollari nell’energia idroelettrica. Sem-pre più isolata dall’occidente, scrive The Hindu, Mosca cerca nuovi mercati in Asia, ma l’inte-sa con l’India "sarà messa alla prova" dal riavvicinamento di New Delhi a Washington.
SRI LANKA
Un rivale per Rajapaksa
"Il piano del presidente Mahinda Rajapaksa di ottenere un terzo mandato nelle presidenziali dell’8 gennaio sta incontrando un ostacolo imprevisto", scrive The Diplomat. Il 21 novembre il ministro della sanità Maithripala Sirisena ha lasciato il partito di Rajapaksa diventando il candidato dell’opposizione. "La candidatura di Sirisena è un capolavoro politico, perché è in grado di raccogliere consensi sia tra gli elettori delusi da Rajapaksa sia tra le minoranze etniche, che rappresentano il 30 per cento della popolazione".
PAKISTAN
MARTEDÌ 16 DICEMBRE, UOMINI ARMATI SONO ENTRATI IN UNA SCUOLA IN PAKISTAN E HANNO UCCISO PIÙ DI 100 RAGAZZINI. 100 BAMBINI! CHI POTREBBE MAI FARE UNA COSA DEL GENERE?
Qualcuno che vede la scuola come il più grande ostacolo al reclutamento di questi bambini per una vita di violenza. L’istruzione non è solo il miglior antidoto possibile contro la povertà, è anche uno dei modi migliori per combattere il terrorismo. Aiuta a uscire dalla disperazione e ad avere un’opportunità. Possiamo rispondere a questa tragedia con un appello globale per dare una scuola a tutti i bambini.
I nostri governi hanno promesso che tutti i bambini del mondo avrebbero avuto accesso all’istruzione entro la fine del 2015. Possiamo renderlo possibile subito per il Pakistan e altri Paesi: unisciti a questa campagna per onorare nel miglior modo possibile la memoria dei bambini di Peshawar. L’appello verrà consegnato da Gordon Brown, l’Inviato Speciale dell’Onu per l’istruzione globale, al Primo Ministro del Pakistan e ai leader che possono realizzare questo piano. Firmalo anche tu:
https://secure.avaaz.org/it/honour_peshawar_children/?blMnrbb&v=50181
Quando i talebani spararono a Malala lei aveva 15 anni e quasi 1 milione di noi chiese al governo pakistano di realizzare il suo sogno di un’istruzione per tutti. Gordon Brown consegnò la petizione direttamente al presidente pakistano, che la firmò di persona annunciando borse di studio per 3 milioni di bambini.
Ma oggi ce ne sono ancora 5 milioni e mezzo senza accesso a una scuola, solo in Pakistan. In tutto il mondo sono più di 58 milioni. Dal 2010, la spinta per un diritto all’istruzione universale si è fermata, soprattutto dove ci sono dei conflitti come a Peshawar. Ma se gli aiuti attuali venissero concentrati sulle scuole primarie, basterebbero 6 miliardi di dollari per finanziare un’istruzione di base per tutti i bambini del mondo. Sarebbe la prima volta nella storia!
Quello di martedì è stato un attacco diretto ai figli dei militari dell’esercito Pakistano. Non sarà facile fronteggiare i talebani. Non sarà facile ricostruire la fiducia dei genitori nella scuola, e non sarà facile far mantenere al governo le sue promesse. Ma se non facciamo niente, questa sarà una vittoria dei terroristi, e una sconfitta per ogni bambino del mondo. Un movimento di massa e globale in questo momento può dare un banco e dei libri a questi bambini, invece di un’arma. Clicca qui sotto per firmare la petizione:
https://secure.avaaz.org/it/honour_peshawar_children/?blMnrbb&v=50181
Dalla Siria al Sudan, più di una volta la nostra comunità si è attivata per chiedere con determinazione che i bambini siano protetti dalla violenza, non più vittime. Ora chiederemo tutti insieme un’istruzione per tutti, la migliore soluzione nel tempo contro la violenza estremista: diamo ai bambini del mondo un futuro migliore.
MAGGIORI INFORMAZIONI
Pakistan: attacco talebani fa strage di bambini in una scuola, 141 morti (Repubblica)
http://www.repubblica.it/esteri/2014/12/16/news/pakistan_strage_di_bambini_in_una_scuola_104_morti-1..
Il diritto all’istruzione è ancora negato (Internazionale)
http://archivio.internazionale.it/news/istruzione/2014/01/29/il-diritto-allistruzione-e-ancora-negat…
Diminuisce il budget [in Pakistan, ndt] per l’educazione nonostante le promesse (Dawn.com – IN INGLESE)
http://www.dawn.com/news/1110706
Il governo [pakistano, ndt] annuncia un budget di 700 miliardi per la difesa (Tribune – IN INGLESE)
http://tribune.com.pk/story/716913/budget-2014-defence-budget-increasing-at-diminishing-rate/
Il Pakistan celebra il ‘Malala Day’ con gli aiuti alla scuola (AlJazeera – IN INGLESE)
http://www.aljazeera.com/news/asia/2012/11/20121110535489628.html
AFGHANISTAN
II 13 dicembre i ribelli taliban hanno lanciato una serie di attacchi a Kabul e nella provincia di Helmand, nel sud del paese, che hanno causato la morte di 19 persone.
AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
CUBA/USA
"Le nuove relazioni con gli Usa? Una vittoria del popolo cubano". Intervista a Luciano Vasapollo
Luciano Vasapollo, referente per l’Italia insieme a Rita Martufi, della “Red en Defensa de la Humanidad”, è stato il latore di una lettera recapitata al papa sulla liberazione dei cubani deternuti in Usa. Alla luce dell’annuncio sulla riapertura delle relazioni diplomatiche tra Cuba e Usa e del ruolo del Vaticano, quella lettera assume un valore del tutto particolare. Vasapollo, professore di Statistica all’Università di Roma, è appena tornato dall’assemblea internazionale a Caracas della Red.
Che giudizio dai di questa nuova fase nei rapporti tra Usa e Cuba?
Innanzitutto esprimo a nome della “Rete in difesa dell’umanità”, il massimo livello di soddisfazione umana ma soprattutto politica e culturale per questa grande vittoria della rivoluzione cubana, del popolo cubano e del governo dell’Avana. Si apre una prospettiva di nuove relazioni internazionali. Siamo di fronte alla fine dell’infame blocco che di fatto dimostra di non aver prodotto nulla di rilevante e di utile, se non problemi e drammi.
QUALE ERA IL CLIMA ALL’ASSEMBLEA DI CARACAS?
Questi dieci anni della Red sono stati festeggiati con delegati e referenti provenienti da 35 paesi. Dieci anni in cui la battaglia per riportare a casa i cinque cubani detenuti in Usa è stata centrale. Una rivendicazione che rimane il simbolo di una grande battaglia dell’autodeterrminazione dei popoli, prima politica e poi anche economica. Nei lavori dell’assemblea abbiamo posto il nodo della guerra, dei pericoli di guerra che non diminuiscono certo, e dell’atteggiamento degli Usa verso gli stati canaglia. Vorremmo che questo concetto non esistesse proprio al mondo. Chiediamo uno sforzo in più al premio Nobel per la pace, Obama. Che si faccia portatore di un progetto di nuove relazioni internazionali multilaterali e non più unipolari.
I TUOI INCONTRI AL VATICANO?
Ho avuto il piacere e l’onore di essere stato ricevuto dagli ultimi due papi e a tutti e due ho dato una lettera a mia firma come “Rete in difesa dell’umanità” e anche come “Comitato intenazionale, per la libertà dei cinque cubani”. Nella lettera ho chiesto un intervento umano e culturale per quanto riguarda il loro caso. Poi la diplomazia ha svolto il suo ruolo. Un grande saluto di speranza dell’umanità a questo papa che sta dimostrando una nuova maniera di vedere il mondo.
COME VA INQUADRATA LA MOSSA DEGLI USA?
Ho criticato aspramente e duramente la politica di Obama e i suoi errori. Questa volta ha prodotto l’atto più importante da quando è presidente degli Stati uniti. Un grazie va al popolo statunitense che è stato vicino al popolo cubano. Grazie quindi al popolo cubano e alla grande rivoluzione cubana.
E POI CHI RINGRAZI, ANCORA…
Il mio ringraziamento va ai cinque cubani che hanno sofferto sedici anni di detenzione inseime ai loro famigliari. Un ringraziamento anche a tutta la rete di solidarietà che si è sviluppata via via nel mondo. Le centinaia di piccole grandi iniziative, dai sit in alle presentazioni di libri sono state tutte gocce internazionali che in questi sedici anni hanno contributo a costruire l’esito che oggi abbiamo finalmente sotto gli occhi tutti. Ringrazio i compagni di Nuestra americane, Usb che come parte del sindalismo internazionale hanno dato un contributo fortissimo, Rita Martufi, e poi a tanti altri, non li posso davvero ricordare: dalla Villetta all’associazione Italia Cuba, e anche le organizzazioni politiche della sinstra, italiana ed europea, che hanno dato un aiuto diretto e concreto. Finisco con una battuta ma anche con un programma politico: se vogliamo difendere l’umanità deve continuare la a battaglia per la liberazione di tutti i prigirionieri politici in mano all’imperialismo.
Gli Stati Uniti arrivano a questo passo in un momento di grande caos internazionale in cui la lotta di tutti contro tutti rischia di metterli di fronte all’imprevedibile…
Sarebbe troppo facile per un comunista dire che questa grande vittoria evidenzia anche un momento di grande debolezza degli Usa, non voglio infierire. La politica, soprattutto in questa fase, si fa con i tempi lunghi. Quando tutti parlavano di globalizzazione noi parlavamo di competizione globale. E fino ad oggi lo sviluppo degli eventi ci ha dato ragione. E’ chiaro che la crisi economica generalizzata ha messo i nervi allo scoperto. Quando c’è il maiale grasso c’è un pezzetto per tutti. Quando il maiale è magro e malato allora comincia la guerra. In una situazione di crisi sistemica gli scenari di guerra aumenteranno ancora sotto tutte le forme, compresa quella mediatica e finanziaria. Oggi gli Stati Uniti non hanno la forza nemmeno di dieci anni fa. C’è l’Alba da dieci anni, non va dimenticato. L’Alba rappresenta in America Latina un percorso con socialismi differenti, certo, però intanto c’è un’area antimperialista che non risponde ai dettami dell’Fmi. Ci sono i Brics, poi, che pure con le loro contraddizioni sono alla ricerca del loro spazio internazionale e sicuramente non stanno rendendo la vita facile agli Usa. A sua volta l’Ue si sta caratterizzando come costruzione di un polo imperialista. Ci sono gli Usa, certo, ma anche molti concorrenti di livello internazionale. Purtroppo le grandi crisi sistemiche si sono risolte sempre con guerre mondiali. Ormai la guida unipolare statunitense si è chiusa ed è chiaro che gli Usa sono alla ricerca di nuovi equilibri. La Rete in difesa dell’umanità ha prodotto un documento che si può trovare sul sito.
LA CRISI ECONOMICA NON SEMBRA PIÙ CONTROLLABILE. QUALI SCENARI SI PROSPETTANO?
E’ difficile stabilirlo. Si accentuerà la crisi, questo sì. La parola in questo momento sta ai lavoratori. E’ questa, in fondo, la novità. Se riusciamo a trasformare la crisi dell’Unione europea in una possibilità per i lavoratori e creare condizioni di lotta e di speranza per un’alba mediterranea allora possiamo sperare di bloccare il liberismo, e i danni che sta producendo su scala mondiale. Cerchiamo di imparare dall’America Latina e dall’Alba, dalla Bolivia e dal Mas, dal Venezuela, tanto per citare qualche realtà in cui il protagonismo dei popoli e delle masse sta producendo risultati concreti.
Come metti in relazione il risultato conseguito oggi con il tuo passato in quell’alveo della sinsitra dalle grandi lotte ed esperienze degli anni settanta?
Oggi come ieri per la nostra generazione sono state e sono centrali le battaglie per la libertà. Un obiettivo che abbiamo perseguito sotto mille forme. Oggi il contributo prodotto è un tassello che in qualche modo si inserisce in una fase mondiale di grande rilievo. E quindi assume una forza determinante e nuova. Dobbiamo prendere gli elementi positivi e continuare sulla nostra strada contando sul fatto che alcune cose appartenenti alla nostra analisi oggi vengono confermate in pieno. (INTERNAZIONALE | Autore: fabio sebastiani)
CUBA E STATI UNITI
nuovo inizio
Dopo mesi di negoziati segreti con il governo cubano, il 17 dicembre il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha annunciato grandi cambiamenti per normalizzare i rapporti con l’Avana, una mossa coraggiosa che mette fine a uno dei capitoli più oscuri della politica estera statunitense. La decisione di ristabilire relazioni diplomati-che complete, cancellare Cuba dalla lista dei paesi che sostengono il terrorismo e rimuovere le restrizioni sugli spostamenti e il commercio è una svolta che è stata sostenuta con forza dal New York Times.
La Casa Bianca sta inaugurando un’era di profondi cambiamenti per milioni di cubani che hanno sofferto a causa di oltre cinquantanni di ostilità tra i due paesi. Obama avrebbe potuto fare dei passi più modesti e graduali verso il disgelo. Invece si è spinto con coraggio fino a dove gli era consentito, nei limiti di un’anacronistica legge del 1996 che impone dure sanzioni contro Cuba per ottenere un cambio di regime. "Questi cinquantanni hanno dimostrato che l’isolamento non funziona", ha detto Obama. "È ora di cambiare atteggiamento".
Il presidente cubano Raul Castro merita di essere lodato per il suo pragmatismo. Anche se Cuba rimane uno stato di polizia repressivo con un’economia al collasso, da quando lui ha preso il potere nel 2008 il paese ha avviato un processo di riforme economiche che hanno migliorato le condizioni di vita dei cubani. Gli Stati Uniti hanno giustamente premuto per ottenere più libertà personali e una svolta democratica. Ma il loro atteggiamento punitivo è stato largamente controproducente. D’ora in poi il sostegno di Washington alla società civile cubana e ai dissidenti sarà più efficace, anche perché gli altri governi occidentali non potranno più trattare Cuba come una vittima dell’inutile crudeltà statunitense.
Come previsto dai negoziati, il governo cubano ha rilasciato un agente dei servizi segreti statunitensi prigioniero da quasi vent’anni e Alan Gross, in carcere all’Avana dal 2009. In cambio gli Stati Uniti hanno liberato tre spie cubane che hanno passato più di tredici anni in prigione. Lo scambio ha spianato la strada per una svolta che potrebbe rivelarsi la più importante eredità la¬sciata da Obama in politica estera. Il governo ammette che difficilmente nel prossimo futuro il congresso adotterà le misure complementari necessarie a migliorare i rapporti con Cuba. Ma questa mossa influirà sicuramente sul dibattito riguardo ai meriti del riavvicinamento. Con ogni probabilità la storia darà
COLOMBIA
II 13 dicembre migliaia di persone hanno partecipato alle manifestazioni in varie città del paese per protestare contro una possibile amnistia per i ribelli delle Fare in discussione all’Avana, a Cuba.
ragione a Obama
MESSICO
UN’INCHIESTA SUGLI STUDENTI
"Il 26 settembre la polizia di Iguala e Cocula, nello stato messicano di Guerrero, ha attaccato gli studenti della scuola normale rurale di Ayotzinapa. Tre ragazzi sono stati uccisi e 43 sono stati consegnati al gruppo criminale dei Guerreros unidos, che li ha ammazzati e poi bruciati. La polizia ha eseguito gli ordini del sindaco di Iguala, José Luis Abarca. Questa è la versione ufficiale della sparizione degli studenti", scrive il settimanale Proceso. Ma un’inchiesta condotta da Proceso e dall’Investigative reporting program dell’università della California a Berkeley racconta un’altra storia. I giornalisti Anabel Hernàndez e Steve Fisher hanno avuto accesso a una serie di documenti ufficiali, video e testimonianze che rivelano un coinvolgimento diretto della polizia federale, con la complicità dell’esercito. Proceso, Messico
BRASILE
ABUSI SISTEMATICI
Dopo quasi tre anni di lavoro, il 10 dicembre è stato reso pubblico il rapporto finale redatto dal-la Commissione nazionale per la verità. "Sono più di quattromila pagine", scrive O Globo, "in cui si dà conto dei crimini avvenuti durante la dittatura militare in Brasile, dal 1964 al 1985. Il documento indica 377 responsabili diretti o indiretti di torture e omicidi". Tra questi ci sono capi di stato, poliziotti, medici e militari. Secondo Carta Capital, "una delle conclusioni più importanti del documento è la conferma che le gravi violazioni dei diritti umani di quegli anni sono state praticate in maniera sistematica".
AMERICA SETTENTRIONALE
USA
"I CAN’T BREATHE". DIECIMILA A WASHINGTON E QUARANTAMILA A NY PER PROTESTARE CONTRO LE VIOLENZE DELLA POLIZIA.
Una folla pacifica, composta da circa 10.000 persone, ha conquistato ieri Pennsylvania Avenue a Washington marciando verso il Capitol Hill. Molti con le mani alzate, a simboleggiare i ragazzi neri disarmati uccisi dalla polizia. Molti con felpe e striscioni con la scritta ‘I can’t breathe’, non posso respirare, la frase pronunciata da Eric Garner poco prima di morire per mano di un agente. La marcia e’ in memoria e per chiedere giustizia per i casi piu’ eclatanti che si sono verificati negli ultimi anni: da Trayvon Martin a Tamir Rice, da Eric Garner a Michael Brown. A New York, 44mila persone hanno partecipato a un’altra marciada Washington Square fino al quartier generale del New York Police Department a lower Manhattan.
La famiglie dei quattro ragazzi sono simbolicamente riunite nella marcia. E le mamme rilasciano la prima intervista congiunta: ai microfoni della Cnn esprimono il loro dolore, ma anche la rabbia. ”I nostri figli sarebbero vivi se fossero stati bianchi” affermano. E cercano di spiegare come la comunita’ nera vive quella che per loro e’ una mancanza di giustizia. I poliziotti che hanno ucciso Brown e Garner non sono stati incriminati. Neanche la guardia privata responsabile della morte di Martin. Decisioni che hanno sollevato critiche e tensioni, come quelle a Ferguson dopo l’uccisione di Brown. E dato vita a un movimento spontaneo che, sotto la guida del reverendo Al Sharpton e della sua National Action Network, e’ arrivato alla marcia sulla capitale e nelle maggiori citta’ americane. ”Basta violenza della polizia”, ”Black lives matter”, la vita dei neri conta, sono alcuni degli striscioni agitati nella vie delle citta’ americane.
A New York circa 3.000 persone marciano verso il quartier generale della polizia per protestare contro l’atteggiamento razzista, confermato con il caso Garner ma gia’ emerso in passato con la pratica dello stop-and-frisk, fermare e perquisire, adottata nella maggior parte dei casi nei confronti dei neri. Il caso Garner, l’uomo di colore ucciso a Staten Island, ha riaperto il dibattito. ”Se fosse stato bianco e fosse stato preso a fare la stessa cosa, vendere sigarette, sarebbe stato fermato e non avrebbe perso la vita” afferma Gwen Carr, la madre di Eric Garner. Il video dell’uccisione mostra come l’uomo, disarmato e con le mani alzate, sia stato attaccato dagli agenti che non si sono fermati neanche quando a terra diceva di non poter respirare (INTERNAZIONALE | Autore: fabrizio salvatori)
USA
NEWTOWN DUE ANNI DOPO
A due anni dalla strage nella scuola Sandy Hook di Newtown, in Connecticut, le famiglie di nove delle vittime hanno annunciato che faranno causa alle aziende che hanno fabbricato e venduto il fucile che Adam Lanza ha usato per uccidere la madre, venti bambini e sei insegnanti. Per gli avvocati delle famiglie il fucile d’assalto Ar-15, prodotto dalla Bushmaster, non doveva essere venduto a civili. Secondo un sondaggio del Pew Research Center, oggi negli Stati Uniti le persone che difendono il diritto al possesso di un’arma sono più di quelle che chiedono un maggiore controllo. Il New York Times spiega che il sostegno al possesso di armi non era così forte da circa vent’anni.
STATI UNITI
II 16 DICEMBRE IL PRESIDENTE BARACK OBAMA ha firmato la legge di bilancio per il 2015, approvata in via definitiva dal congresso tre giorni prima. Jeb Bush, fratello dell’ex presidente George W. Bush, ha annunciato il 16 dicembre che potrebbe candidarsi con il Partito repubblicano alle elezioni presidenziali del 2016. È considerato un conservatore moderato
(Le principali fonti di questo numero:
NYC Time USA, Washington Post, Time GB, Guardian The Observer, GB, The Irish Times, Das Magazin A, Der Spiegel D, Folha de Sào Paulo B, Pais, Carta Capital, Clarin Ar, Le Monde, Le Monde Diplomatique ,Gazeta, Pravda, Tokyo Shimbun, Global Time, Nuovo Paese , L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e INFORM, AISE, AGI, AgenParle , RAI News e 9COLONNE" Avaaz.)
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